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Povertà in Italia: Paese sospeso tra disuguaglianze e resistenza sociale

Tra stagnazione e disillusione, l’Italia del 2024 vive una povertà che non fa più notizia: siamo un Paese che si sta abituando alle proprie disuguaglianze

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L’Italia del 2024 si scopre ancora sospesa, stretta tra la fatica quotidiana e la capacità di resistere. Le cifre restano ferme, ma dietro quei dati si muove un Paese vivo, segnato da profonde disuguaglianze e da una crescente distanza tra chi riesce a mantenere una stabilità e chi invece vede erodersi, giorno dopo giorno, le basi della propria dignità.

Il volto della povertà è molteplice: famiglie giovani e numerose, lavoratori che non arrivano a fine mese, anziani soli, stranieri che portano sulle spalle il peso di una doppia fragilità. Ma accanto alla sofferenza si intravedono anche i segni di una resistenza silenziosa, fatta di reti solidali, di comunità locali che non si arrendono, di piccoli gesti quotidiani che tengono insieme il tessuto sociale.
Nel nostro Paese, quindi, il futuro dipende dalla capacità collettiva di trasformare la solidarietà in politiche, l’emergenza in progetto, la fragilità in risorsa. Solo così si potrà smettere di essere un luogo di diseguaglianze e tornare a essere una terra di opportunità condivise.

I numeri del rapporto ISTAT

Il nuovo rapporto dell’ISTAT sulla povertà nel 2024 racconta un Paese spaccato tra Nord e Sud, tra chi riesce appena a mantenersi e chi scivola sempre più ai margini.
Dietro le percentuali ci sono famiglie numerose, giovani precari, minori e stranieri che pagano il prezzo più alto di una crisi diventata ormai strutturale.
Nel 2024, in Italia, oltre 2,2 milioni di famiglie vivono in condizione di povertà assoluta, pari all’8,4% del totale. In termini individuali, si tratta di 5,7 milioni di persone, cioè il 9,8% dei residenti, un dato che ricalca quasi esattamente quello dell’anno precedente.

Famiglie e territori: un’Italia a più velocità

Le differenze territoriali restano profonde. La povertà assoluta colpisce il 10,5% delle famiglie del Mezzogiorno, il 7,9% nel Nord e il 6,5% nel Centro.
Quasi il 40% delle famiglie povere risiede nel Sud e nelle Isole.

Anche la povertà relativa si mantiene stabile: coinvolge 2,8 milioni di famiglie (10,9%) e 8,7 milioni di individui (14,9%), con un lieve incremento rispetto al 2023.

La povertà incide in modo particolare sulle famiglie con persona di riferimento operaio o assimilato (15,6%), mentre è molto più contenuta tra dirigenti, quadri e impiegati (2,9%).
I minori poveri assoluti sono 1,28 milioni, pari al 13,8% del totale dei minori residenti.

L’intensità media della povertà, cioè la distanza dalla soglia minima di spesa, è stabile a 18,4%, ma in aumento nel Mezzogiorno (18,5%).

Famiglie numerose e bassa istruzione tra i più vulnerabili

La dimensione familiare continua a essere uno dei principali fattori di rischio.
Tra le famiglie con cinque o più componenti, la povertà assoluta raggiunge il 21,2%, mentre scende all’11,2% per quelle con quattro membri e all’8,6% per quelle con tre.

Le coppie con tre o più figli sono povere nel 19,4% dei casi; tra le famiglie monogenitore la quota è dell’11,8%.
La povertà diminuisce con l’età della persona di riferimento: 6,7% tra gli over 65, oltre 10% tra i più giovani.

Il livello di istruzione si conferma un fattore protettivo: 4,2% di incidenza per chi ha almeno il diploma, 12,8% per chi possiede la licenza media, 14,4% per chi ha solo la licenza elementare o nessun titolo.

Dal punto di vista occupazionale, tra le famiglie con persona di riferimento operaio o assimilato l’incidenza raggiunge il 15,6%, mentre tra i disoccupati arriva al 21,3%.
Rimane bassa tra i pensionati (5,8%).

Minori e stranieri: il doppio svantaggio

Nel 2024 la povertà assoluta coinvolge 1 milione e 283 mila minori, pari al 13,8% dei bambini e ragazzi residenti.
La quota varia dal 12,1% nel Centro al 16,4% nel Mezzogiorno, con un picco del 14,9% tra i minori tra i 7 e i 13 anni.

Le famiglie con minori in povertà assoluta sono quasi 734 mila (12,3%). Tra le coppie con figli, la povertà cresce con il numero dei minori: 7,3% con un figlio, 10,6% con due, 20,7% con tre o più.
Tra le famiglie monogenitore con figli minori, l’incidenza è del 14,4%.

Nelle famiglie di soli italiani l’incidenza è dell’8%, ma sale al 33,6% se vi sono membri stranieri e al 40,5% se tutti i componenti sono stranieri.

Stranieri e affittuari: due categorie ad alto rischio

La povertà assoluta colpisce oltre un terzo degli stranieri residenti: 1,8 milioni di persone, pari al 35,6%.
L’incidenza tra le famiglie di soli stranieri è del 35,2%, cinque volte quella delle famiglie di soli italiani (6,2%).
Nel Mezzogiorno il divario raggiunge i 33,6 punti percentuali (42,5% contro 8,9%), nel Nord 25,2 punti e nel Centro 24,9 punti.

Le famiglie in affitto con persona di riferimento tra i 45 e 54 anni registrano un’incidenza del 27,3%, mentre scende al 17,7% tra gli over 65.
Tra le famiglie povere composte da stranieri, il 75,9% vive in affitto.
L’affitto medio per le famiglie povere è di 373 euro al mese, contro i 437 euro pagati in media da quelle non povere.

Povertà relativa: una su dieci le famiglie sotto la soglia

La povertà relativa interessa 2,8 milioni di famiglie (10,9%) e 8,7 milioni di individui (14,9%).
L’intensità media resta stabile al 20,8%, ma cresce nel Mezzogiorno (21,7%).
Il divario territoriale è netto: 20% di incidenza nel Sud, 6,6% nel Nord e 6,5% nel Centro.

Le regioni con i valori più alti sono Puglia (24,3%), Calabria (23,5%) e Campania (20,8%), mentre Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Veneto e Toscana restano sotto il 6%.

Nel 2024 l’Italia resta intrappolata in un equilibrio precario: un Paese che sembra essersi abituato alla disuguaglianza. Le cifre non cambiano, ma dietro l’apparente stabilità si consuma un logoramento silenzioso, fatto di lavori poveri, diritti compressi e nuove generazioni senza prospettive. La povertà non è più emergenza, ma condizione strutturale. E mentre la politica rincorre slogan e misure tampone, cresce la distanza tra chi può permettersi il futuro e chi vive solo nel presente. L’Italia resiste, sì — ma sempre più spesso, resistere significa soltanto sopravvivere.

QUI il report ISTAT






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