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Nani, ballerine, sangue e merda

Dalla giacca d’ordinanza in Sala Rossa ai “nani e ballerine” di Rino Formica, riflessioni di un giornalista boomer

Tempo di lettura 6 minuti

Mi è d’obbligo confidarvi che sull’opportunità di scendere in campo, scongelando quella sorta di ritrosia che da un po’ di tempo mi costringe a guardare da una certa distanza la scena politica nazionale e locale, ci ho pensato parecchio. Troppo protagonismo, a volte – anzi, abbastanza spesso – rivelatosi di cattivo gusto fra i protagonisti.
Eppure, stavolta, proprio non sono riuscito a tirarmi indietro, anche se temo che ormai la notizia sia di pubblico dominio. Anzi, io stesso l’ho letta su qualche sito o pubblicazione online, e persino negli atti del consiglio comunale che, in tempo quasi reale, vengono messi a disposizione del pubblico interessato via social.

In ogni caso, da boomer e per una sorta di romanticismo legato alla mia professione d’antan – non tanto quella di comunicatore, ma di giornalista – mi fa piacere tornare sull’argomento: quello del richiamo a un consigliere comunale che ha avuto la sventatezza di comparire in Sala Rossa in pullover, anziché indossare la giacca d’ordinanza, come del resto prescrive il regolamento del consiglio comunale. Con tanto di appendice: l’intervento dello stesso sindaco, Silvia Salis.

Da boomer, dicevo, perché al precedente storico citato da molti giornalisti io ero presente. E per romanticismo, perché in quell’occasione non si trattò di mera dimenticanza, ma di un atto di formale protesta del compianto consigliere radicale Andrea Tosa, sulle orme del suo capo storico e fondatore del Partito Radicale, Marco Pannella.
E il sindaco socialista di allora, Fulvio Cerofolini, a capo di una coalizione di centrosinistra, che dirigeva il consiglio comunale – così prevedeva allora il regolamento – dovette sudare le proverbiali sette camicie per riportare l’ordine nella sacralità della Sala Rossa. Fino a far intervenire i vigili, che portarono di peso fuori dall’aula consiliare il recalcitrante consigliere in maniche di camicia.

Ecco, per onestà di cronaca, della cosa si interessarono i giornali e il povero Andrea ebbe il suo momento di gloria per aver messo volutamente in discussione un regolamento che lui stesso definì anacronistico. Ma già allora la sacralità istituzionale ebbe la meglio. Tanto che ricordo come anche fra i giornalisti che frequentavano il parterre della stampa fosse raccomandata la giacca. Almeno sino al momento di varcarne la soglia.

E Tosa fu portato all’esterno non tanto perché non indossava la cravatta, ma addirittura perché non portava la giacca. Tutto questo per restituire al compianto consigliere comunale radicale il merito – o il demerito – di una protesta in Sala Rossa. Cosa diversa da quanto accaduto ieri.
Perché nel caso più recente appare ovvio che si sia trattato solo di una dimenticanza. Tanto che il consigliere di AVS, in questione Massimo Romeo, è ritornato dalla buvette indossando la giacca d’ordinanza. Insomma, tutto come preteso dal presidente dell’assemblea su sollecitazione di un consigliere di minoranza.

Ragioni di forma, formalismi e opportunità. Anche se nella passata amministrazione, in qualche caso, persino con il sindaco Marco Bucci, proprio durante il consiglio comunale si è sfiorato l’incidente diplomatico.
Quando, nel bel mezzo di una seduta e durante l’intervento in aula di un consigliere, il primo cittadino – evidentemente prostrato dai morsi della fame – addentò e fece fuori un toast. In quel caso, nessuno osò intervenire per rilevare la mancanza di educazione del sindaco di tutti.
Ma lui era “il sindaco, veda un po’ lei”. E intendeva offrire un’immagine di sé dedita allo stacanovismo. Come quella volta che, per un allarme bomba a Palazzo Tursi, gli venne intimato di allontanarsi dal suo ufficio, ma – “Io sono il sindaco, veda un po’ lei” – rispose che aveva da lavorare. E non si allontanò.

Vezzi e malvezzi della politica, da sinistra a destra e da destra a sinistra.
Come quella volta che l’allora capogruppo di Fratelli d’Italia Alberto Campanella – era il gennaio di sei anni fa – scavalcò il recinto del canile comunale in piena notte, dopo il consiglio comunale, facendosi riprendere per poi postare il filmato dell’impresa sul suo profilo social. Protesta anche quella, per la mancata presenza di un custode che si occupasse degli animali e delle iniziative estemporanee di qualche politico eccellente.

Ma anche la sacralità, o presunta tale, dei nostri rappresentanti regolarmente eletti – nonostante l’assenteismo alle urne sempre crescente – sembra ormai venuta meno.
Tal Rino Formica, parlamentare socialista, già ai tempi dei tempi osò definirla, la politica, “sangue e merda”, cercando di coniugare insieme i sacrifici dei politici d’antan e il gusto per il compromesso. Coniando per i suoi colleghi di allora l’epiteto di “nani e ballerine”.
Non osò mai definirli “guitti”, nonostante il gesto delle corna del presidente napoletano – e quindi naturalmente superstizioso – Giovanni Leone. Ma “nani”, sì.

Probabilmente aiutato da una naturale antipatia verso il democristiano Amintore Fanfani, cinque volte presidente del Senato, sei volte presidente del Consiglio e nove volte ministro della Repubblica.

Altri tempi e altri personaggi. Altri tempi anche per una definizione – “nani” – che oggi rasenterebbe il bullismo, certamente il “body shaming”, ove non fosse addirittura una palese discriminazione nei confronti di una categoria sfortunata.

Già, “nani”: termine ripetuto proprio ieri dal sindaco Silvia Salis, nel bel mezzo della stessa seduta del “senza giacca/con la giacca”.
Una polemica nata per un video in Sala Rossa del consigliere ed ex assessore Paola Bordilli, puntualmente denunciato da un esponente di AVS, Lorenzo Garzarelli, con intervento difensivo di Nicholas Gandolfo (FdI) a rilevare che la stessa cosa era accaduta più volte in Sala Rossa con la sindaca Silvia Salis, ripresa nientepopodimeno che dal marito, il regista Fausto Brizzi.
Già, lo stesso Brizzi che si è occupato dell’immagine della moglie durante la campagna elettorale, puntando sull’immagine della mamma – con tanto di figlioletto in braccio – che si spende per la sua gente, i genovesi, nonostante gli impegni e rinunciando alla vicepresidenza del CONI.

Naturalmente, Salis insorge, difendendo il consorte, oltre che valente regista, comunicatore di “razza” e, come tale, una spanna superiore agli altri, che definisce “nani”. Ovviamente nel senso di “bassa levatura” come comunicatori. E spiega: “Perché quando ti contorni di nani perdi le elezioni”.
Un dato di fatto, quello della sconfitta elettorale del centrodestra.

Anche se, da boomer, mi sia consentito dire qualcosa sulla sacralità della Sala Rossa e su qualche eventuale profanazione e caduta di stile degna di un asilo o di una scuola elementare.
Mentre fra i giornalisti – o forse solo fra i giornalisti, e non fra i comunicatori – si continua a discutere su quanto sia giusto pubblicare i volti dei minorenni sui social e sulle pagine dei giornali, discettando di caso in caso e, soprattutto, della volontà o meno dei genitori.
Mentre la politica, quella dei “nani e ballerine”, come disse una volta autorevolmente Rino Formica, socialista ed ex ministro della Repubblica, si conferma sempre di più “sangue e merda”.
Anzi, in particolari occasioni, più merda che sangue.
E mi viene da dire… tutti sotto, che la ricreazione è finita.

Paolo De Totero

Copertina:foto d’archivio ©fivedabliu

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