Genova e AMIU: il ciclo che non si chiude
Quando vediamo dei cassonetti stracolmi di spazzatura pensiamo subito che qualcuno non stia facendo il proprio lavoro. Di solito il ragionamento si ferma lì. Ma la filiera della rumenta è molto più complessa, e la responsabilità raramente ricade solo su chi deve raccoglierla.
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Le vere scelte — quelle che determinano se un sistema funziona o si inceppa — si prendono altrove: nelle stanze dove si decidono strategie spesso sbagliate o incomplete. È lì che qualcuno “sbaglia” la collocazione di un impianto TMB, o propone un inceneritore in aree già fragili dal punto di vista geotecnico.
E così, inevitabilmente, tutto si trasforma in una gazzarra da cortile, con i soliti scambi di accuse e nessuna soluzione concreta.
Genova si guarda allo specchio e scopre che i suoi rifiuti raccontano una storia più grande: quella di una città che non riesce ancora a chiudere il cerchio della sostenibilità. AMIU naviga tra bilanci in equilibrio e difficoltà strutturali, mentre la promessa dei cassonetti intelligenti si è trasformata in un boomerang.
Va chiarito subito che i cassonetti “nuovi” sono stati scelti e ordinati dal Consiglio di Amministrazione che era in carica prima del 2022, e quindi le caratteristiche tecniche e funzionali rispondono a scelte progettuali di quella gestione.
Si tratta di cassonetti pensati per essere utilizzati con automezzi “bilaterali”, cioè mezzi in grado di operare su entrambi i lati della carreggiata e con un solo operatore a bordo, una soluzione che sulla carta dovrebbe ottimizzare tempi e costi di raccolta.
Questi contenitori sono inoltre predisposti per diventare “intelligenti”, ovvero dotati di sensori che consentano di monitorare il livello di riempimento, la temperatura interna o eventuali anomalie.
Tuttavia, al momento, i sensori non sono ancora installati, e la loro funzione si limita alla predisposizione per l’apertura tramite tessera o chiave magnetica, un passo preliminare verso una gestione più controllata e tracciabile del conferimento.
Va aggiunto che anche le bocchette di conferimento rispondono alle specifiche introdotte dalle normative più recenti, con aperture più piccole, pensate per limitare il deposito improprio di ingombranti o rifiuti non conformi.
In sostanza, i cassonetti ci sono, e sono tecnologicamente pronti per una gestione moderna dei rifiuti — ma restano, per ora, una potenzialità inespressa, in attesa che qualcuno decida di attivare davvero le funzioni “smart” per cui sono stati progettati.
Ora la sfida non è solo tecnica ma culturale: Se il sacchetto gigantesco che si sta cercando di inserire nel cassonetto non entra, è poco intelligente lasciarlo per strada.
AMIU, un bilancio in equilibrio precario tra costi e sostenibilità
Il bilancio 2024 di AMIU Genova S.p.A. racconta una realtà complessa: un’azienda pubblica che tiene i conti in ordine, ma con margini sempre più sottili. L’utile netto supera di poco 1,3 milioni di euro, una cifra modesta se confrontata con un valore della produzione di oltre 203 milioni. In pratica, ogni cento euro di servizi erogati, ad AMIU ne restano meno di uno.
Dietro a questa apparente stabilità si nasconde una dinamica più delicata. I ricavi da vendite e prestazioni sono scesi di circa due punti percentuali rispetto al 2023, mentre i costi del personale sono cresciuti fino a rappresentare oltre la metà dei ricavi totali. Un dato che fotografa la natura “labour intensive” dell’azienda — il servizio di igiene urbana vive delle persone che lo garantiscono — ma che al tempo stesso limita la capacità di investimento e di manovra finanziaria.
Il margine operativo lordo (EBITDA), che misura la solidità della gestione industriale, è sceso dal 16% al 12,6%. Segno che l’equilibrio economico si regge più sulla disciplina contabile che su una vera espansione della redditività. Tuttavia, l’EBIT (il risultato operativo) cresce leggermente, superando i 3,6 milioni, grazie a una gestione attenta dei costi non ricorrenti e a un provento straordinario legato ai rimborsi post-Ponte Morandi.
Sul fronte patrimoniale, AMIU continua a ridurre l’indebitamento, ma la posizione finanziaria netta mostra una tensione crescente: meno flussi di cassa, più oneri per mutui e fornitori. Non siamo davanti a un allarme, ma a un equilibrio che richiede manutenzione costante.
Eppure, nonostante la pressione dei costi, l’azienda ha continuato a investire: nuove eco-isole con accesso controllato, rinnovo della flotta mezzi, e un bilancio di sostenibilità che fotografa l’impegno ambientale e sociale in linea con gli standard ESG. AMIU prova così a conciliare numeri e missione pubblica, in un contesto dove la sostenibilità non è solo ambientale, ma anche economica.
In definitiva, il bilancio 2024 di AMIU è quello di un’azienda che resiste, ma che non può permettersi distrazioni. Tiene i conti in equilibrio mentre affronta le sfide strutturali del servizio pubblico locale: costi crescenti, domanda di efficienza e transizione ecologica. Il rischio, come spesso accade, è che la sostenibilità economica finisca per correre più lentamente di quella ambientale.
A Genova, il tema dei rifiuti torna ciclicamente come un riflesso inevitabile. Basta poco: qualche giorno di rallentamento nella raccolta, cassonetti che si riempiono troppo in fretta, e la città torna a interrogarsi sul funzionamento di AMIU, la sua azienda pubblica per l’igiene urbana. Negli ultimi mesi la tensione è risalita, tra disservizi visibili e una discussione politica che si riaccende a ogni emergenza.
Sul piano contabile, AMIU mostra numeri rassicuranti: il bilancio 2024 si è chiuso con un piccolo utile, segno di una gestione in equilibrio. Ma dietro i numeri, la realtà resta più complessa. I debiti accumulati in passato continuano a pesare come un macigno, limitando la capacità di investimento e costringendo la società a muoversi in una precarietà costante.
Il nodo principale resta quello degli impianti. Genova non ha ancora un’infrastruttura in grado di chiudere il ciclo dei rifiuti sul proprio territorio.
Senza un impianto di trattamento dell’indifferenziato, la città è costretta a spedire fuori buona parte dei rifiuti, con costi crescenti e un sistema fragile che basta poco a mandare in crisi. Quando un impianto di destinazione chiude per manutenzione o riduce la capacità di accoglienza, la catena si blocca: i camion si accumulano, i rifiuti restano a terra e il problema diventa immediatamente visibile. È un modello che non regge più e che da anni attende una soluzione strutturale.
Eppure, la risposta non può limitarsi a “fare un impianto”. La vera sfida è più profonda: costruire una filiera circolare, dove la differenziata non sia solo un obbligo civico ma una risorsa economica e ambientale.
Servono impianti per il compostaggio, piattaforme per la selezione dei materiali, centri per il recupero della frazione organica. Ma serve soprattutto una visione integrata che coinvolga i cittadini, perché nessuna infrastruttura può funzionare senza comportamenti coerenti e consapevoli.
In questo contesto si inserisce una delle pagine più controverse della storia recente di AMIU: quella dei cassonetti “intelligenti”. Dovevano essere il simbolo di una città più efficiente e moderna, capaci di misurare i conferimenti, migliorare la qualità della raccolta e avvicinare Genova alla tariffazione puntuale.
In pratica si sono trasformati in un investimento problematico: costosi, spesso malfunzionanti, e percepiti dai cittadini come un ostacolo più che un aiuto. L’idea, sulla carta innovativa, si è scontrata con la realtà quotidiana: guasti, difficoltà di utilizzo, scarsa comunicazione. Alla fine, il progetto si è rivelato più un fardello che una soluzione.
L’episodio dei cassonetti mostra un punto cruciale: la tecnologia, se isolata dal contesto e priva di una strategia complessiva, rischia di diventare solo un’altra fonte di spreco.
Le politiche di tariffazione basate sul principio “chi inquina paga” restano un obiettivo giusto, ma richiedono infrastrutture solide e un’educazione ambientale diffusa. Altrimenti la promessa di equità si trasforma in malcontento, e il cittadino finisce per sentirsi punito invece che coinvolto.
Genova, tra impianti fermi e progetti in ritardo: il nodo della filiera dei rifiuti
L’incapacità di costruire l’impianto TMB – il cuore della futura filiera del trattamento dei rifiuti genovesi – rischia di diventare il simbolo di una transizione mai davvero iniziata.
Il progetto, che avrebbe dovuto entrare in funzione da tempo nell’area di Scarpino, accumula ritardi su ritardi, rallentato da modifiche progettuali, problemi geotecnici e rimpalli amministrativi.
A oggi, la prospettiva di completamento si spinge ben oltre le scadenze contrattuali iniziali, mentre cresce l’incertezza su quale sarà davvero il modello di gestione dei rifiuti in città.
Da più parti si parla di una sospensione “in attesa dell’inceneritore”, come se la costruzione di un grande impianto di combustione potesse assolvere il sistema dalle proprie mancanze.
Ma la verità è che un TMB non è un accessorio, bensì una tappa obbligata in una moderna catena del trattamento: serve a separare, recuperare, ridurre i volumi destinati allo smaltimento finale. Senza di esso, tutto il ciclo rischia di restare monco, con conseguenze economiche e ambientali che si riverberano sul territorio e, in ultima analisi, sui cittadini.
Ma Scarpino reggerebbe un inceneritore?
Un altro aspetto su cui vorremmo porre l’accento è strettamente collegato ai problemi geotecnici già citati. Se la zona interna di Scarpino non regge il TMB, come potrà reggere un eventuale inceneritore, anche se di piccole dimensioni?
E ancora. Quali sono i tempi reali di costruzione di un inceneritore?
Domande che se non troveranno una risposta tempestiva potrebbero prolungare i problemi dei genovesi che avranno la spazzatgura per la strada soprattutto nei momenti di maggior raccolta, e cioè nei periodi di fermo o rallentamento del servizio.
L’altra partita che incide sulla qualità della raccolta e dello smaltimento è l’impianto di Sardorella che è fermo da oltre due anni.
Quello che avrebbe dovuto essere un punto di forza nella gestione del rifiuto differenziato è oggi un impianto semi-abbandonato, ostaggio di guasti, sequestri e ritardi nei lavori di manutenzione.
Il risultato è una rete impiantistica inceppata, dove ogni nodo si trasforma in un collo di bottiglia, e dove il conferimento all’esterno diventa una necessità più che una scelta.
In questo contesto, la tanto discussa introduzione dei cassonetti “intelligenti” – con i loro limiti e contraddizioni – finisce quasi per apparire come il male minore.
Mentre gli impianti restano fermi e i progetti si incagliano, l’innovazione si riduce a un gesto di superficie: si cambiano le attrezzature, ma non si affrontano le cause strutturali dell’inefficienza.
E così, tra promesse di modernizzazione e annunci di svolte imminenti, Genova continua a convivere con un sistema dei rifiuti che sembra muoversi a due velocità: veloce nei proclami, lentissimo nei fatti.
La sfida che attende Genova è tutta qui: garantire un servizio efficiente oggi, costruire nel frattempo un sistema impiantistico moderno e, sul lungo periodo, chiudere davvero il cerchio della sostenibilità. Non è una questione solo tecnica, ma culturale e politica. Servono trasparenza sugli investimenti, chiarezza sugli obiettivi e la capacità di guardare oltre l’emergenza.
Ogni volta che i rifiuti si accumulano per strada, la città sembra sorpresa, come se il problema fosse nato da un giorno all’altro. In realtà è il risultato di anni di scelte rimandate, di interventi parziali e di strategie mancate.
Di fronte ai cassonetti traboccanti che costellano le nostre strade, la reazione più immediata è puntare il dito contro chi non raccoglie la spazzatura. Ma la questione è molto più ampia, e chiama in causa anche chi dovrebbe gestire con lungimiranza una filiera complessa e fragile.
Il Comune e gli azionisti di Amiu dovrebbero chiedersi — e spiegare ai cittadini — quale sforzo concreto intendano fare per individuare aree di stoccaggio temporaneo quando il sistema si inceppa, come accade puntualmente durante le festività o in momenti di picco della produzione di rifiuti. Perché è in quelle fasi critiche che si misura la capacità amministrativa e la serietà della pianificazione.
Ma la responsabilità non è solo istituzionale. La collaborazione dei cittadini resta un tassello essenziale. Chi produce rifiuti — cioè tutti noi — ha sì il diritto di vederli raccolti, ma anche il dovere di esercitare un minimo di senso civico: se il cassonetto sotto casa è già pieno, basterebbe spesso camminare duecento metri per trovarne uno meno colmo.
Non è solo una questione di buon senso, ma di rispetto per il bene comune, per la città in cui viviamo e per chi ogni giorno lavora per mantenerla pulita. Una comunità che funziona si riconosce anche da questi piccoli gesti quotidiani, che fanno la differenza molto più di tante polemiche a posteriori.
Ma proprio per questo, la crisi può diventare un’occasione. Se Genova riuscirà a trasformare il tema dei rifiuti da fardello a opportunità, potrà finalmente costruire un modello urbano più sostenibile, meno dipendente dalle contingenze e più vicino ai cittadini.
In fondo, i rifiuti raccontano molto del luogo da cui provengono: mostrano quanto un territorio sa organizzarsi, collaborare, immaginare il proprio futuro. È da lì che si misura la qualità di una città.