Genova, il trasporto pubblico al bivio tra conti e consenso
Conti in difficoltà e accuse incrociate: il nodo AMT rivela come il trasporto pubblico genovese paghi anni di equilibrio precario tra bilanci e politica.
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C’è un numero che pesa più di tutti: quasi cento milioni di euro. È il buco che oggi minaccia di inghiottire l’AMT, l’azienda del trasporto pubblico genovese, e con essa una parte fondamentale della mobilità cittadina. Un’emorragia economica che non nasce ieri, ma che oggi si manifesta in tutta la sua gravità, mettendo a nudo una crisi strutturale che va ben oltre la gestione contabile.
La due diligence condotta nei mesi scorsi ha fotografato una realtà preoccupante: perdite stimate tra 71 e 99 milioni di euro, debiti complessivi per oltre 150 milioni, di cui circa cento verso fornitori e quasi sessanta verso gli istituti di credito.
A questo si aggiungono le difficoltà di cassa: solo per garantire stipendi e contributi fino al 2026 servirebbero altri 40 milioni di euro.
La crisi, insomma, è di sistema. E il Comune di Genova, pur essendo socio di maggioranza, non è l’unico attore in campo: fanno parte della compagine anche diversi Comuni della Città Metropolitana, coinvolti a vario titolo nel capitale e nel servizio. Un mosaico che complica le scelte e diluisce le responsabilità.
Una crisi che arriva da lontano
Il disavanzo di oggi non nasce da un singolo errore di gestione, ma da anni di sottovalutazioni e da una struttura economica che ha preferito rinviare le correzioni piuttosto che affrontarle.
Gli investimenti per la manutenzione dei mezzi, i progetti di elettrificazione, i nuovi servizi nelle vallate hanno avuto un costo crescente.
Eppure, i ricavi da bigliettazione e il contributo pubblico non sono mai stati adeguati al ritmo delle spese.
Il Comune ha aperto una procedura di composizione negoziata della crisi, affidandosi a consulenti esterni per definire un piano di risanamento. È un passo obbligato, ma non sufficiente: senza una revisione del contratto di servizio e senza una governance più chiara, qualsiasi piano rischia di essere un tampone, non una cura.
Dietro il volante e dietro la scrivania
Nel dibattito sull’efficienza si parla spesso del personale viaggiante — autisti e verificatori, — la parte più visibile e, in molti casi, quella che tiene letteralmente in moto l’azienda.
Ma ogni grande azienda pubblica vive anche di uffici, procedure e burocrazie interne. E qui, talvolta, il confine tra necessità e inerzia diventa più sfumato.
È legittimo chiedersi se la stessa attenzione dedicata alla flotta e alle corse venga riservata anche all’aggiornamento e alla valorizzazione del personale non viaggiante.
Chi non può più guidare trova percorsi di riqualificazione o semplicemente una scrivania?
E le competenze interne si stanno evolvendo abbastanza da reggere la sfida della transizione digitale e ambientale?
Domande scomode, ma indispensabili se si vuole davvero parlare di efficientamento e non solo di risanamento contabile.
Un’occasione che Genova non può perdere
C’è poi un tema che da anni torna ciclicamente sul tavolo e che oggi diventa ineludibile: la necessità di un accordo stabile tra RFI e AMT.
Genova è una delle poche città italiane di medie dimensioni a poter contare su una rete ferroviaria urbana capillare, con circa ventidue stazioni distribuite all’interno del perimetro cittadino. Un numero da primato, se rapportato a una popolazione inferiore ai seicentomila abitanti.
Quelle stazioni potrebbero diventare la dorsale naturale del trasporto pubblico genovese, una vera e propria metropolitana di superficie capace di integrare la gomma con il ferro, riducendo tempi di percorrenza e congestione stradale.
La prospettiva è chiara: una governance unica che gestisca in modo coordinato bus, metro e treni locali, come avviene a Milano, dove ATM controlla sia la rete metropolitana che il trasporto di superficie, garantendo un servizio più efficiente e riconoscibile.
Ma a Genova, come spesso accade, le buone idee finiscono per scontrarsi con interessi divergenti: talvolta legittimi, altre volte meno trasparenti, almeno agli occhi dei cittadini.
Resta la sensazione che un’occasione concreta di modernizzazione — una città finalmente connessa da un sistema unico e integrato — rischi ancora una volta di perdersi nei meandri della burocrazia e della politica.
Il riflesso politico
Come sempre, quando i conti scoppiano, arriva la politica.
C’è chi accusa l’attuale amministrazione di aver gonfiato i toni per giustificare nuovi finanziamenti, e chi denuncia le giunte precedenti per aver nascosto la polvere sotto il tappeto. Ma in questo caso la polemica è un lusso che Genova non può permettersi.
Il trasporto pubblico non è un terreno di scontro, è un diritto collettivo.
Eppure, nella dialettica tra Comune, Città Metropolitana e Regione, il dibattito sembra ruotare più attorno ai ruoli e alle colpe che alle soluzioni.
Nel frattempo, gli utenti restano a guardare: autobus che saltano, metropolitana che chiude in anticipo, disagi quotidiani che finiscono per minare la fiducia nel servizio pubblico.
Oltre la propaganda
Risanare AMT richiederà scelte coraggiose: un piano industriale realistico, una revisione del contratto basata su obiettivi di efficienza, e una trasparenza assoluta sulla gestione.
Ma servirà soprattutto un cambio di prospettiva: la politica deve smettere di fare politica nel senso piccolo e autoreferenziale del termine.
Quando un servizio pubblico entra in crisi, l’obiettivo non può essere salvare la faccia di un’amministrazione, ma ricostruire la fiducia dei cittadini.
Perché senza autobus, senza metropolitana, senza collegamenti efficienti, una città come Genova si ferma.
E se la politica non capisce che il trasporto è un bene primario, non solo economico ma sociale, allora la crisi di AMT sarà soltanto il sintomo di un male più profondo: l’incapacità di guardare oltre la prossima scadenza elettorale.
Il caso AMT è un banco di prova per Genova.
O diventerà l’ennesimo terreno di scontro tra fazioni, oppure l’occasione per ripensare il modello di mobilità metropolitana in chiave sostenibile, trasparente e davvero al servizio dei cittadini.
La differenza, come sempre, la farà la politica. Quella con la “P” maiuscola.