Dove va il porto di Genova

Genova – Ieri al CAP nell’ospitale fortilizio dei portuali si è svolto il meeting di Vasta, ispiratore Claudio Burlando. Presente tutta la costellazione del mondo portuale, industriale, sindacale, associazionistico di settore, armatori, spedizionieri, terminalisti, portuali di Genova e Savona, brokers, politici cittadini, cantiere navale, riparazioni navali, Capitaneria, Chiesa di Genova, Sindaci di Savona e Vado Ligure.

Interventi competenti, brillanti applauditi, che hanno tenuto viva l’attenzione della platea con momenti di pathos particolarmente significativi, ben orchestrati dall’attenta ed efficace Regia di Claudio Burlando che non solo non ha perso un colpo, ma ha saputo mettere insieme tutte le anime in un unicum, a dimostrazione della riuscita dell’evento, senza eguali a Genova da molti anni.

Tra i tanti (ci sarebbe da scrivere per giorni tutta l’umanità che trasudava dagli interventi), vorrei focalizzare l’attenzione su uno, quello del Terminalista PSA-SECH Giulio Schenone, che ho trovato particolarmente interessante e che ricalca quello che credo del porto da anni, utile nel pensare guardando il futuro da un punto di osservazione privilegiato.

Vorrei partire da più lontano e sollevare un problema che quasi mai viene affrontato nelle stanze dei bottoni (spesso umide, in ombra e mal frequentate), e cioè i limiti orografici di Genova e del suo porto. È noto che Genova sia porto, ma anche tanto altro e che quindi il porto ha il diritto-dovere di convivere con la città in armonia.

Fino ad oggi il porto ha usato violenza sul tessuto urbano, a partire dall’inizio del ‘900 fino alla realizzazione dello scalo di Prà-Voltri, sacrificando la costa da San Benigno a Voltri. Oggi non è più il tempo di ragionare devastando la città, i costumi sono cambiati e le esigenze maturate nella consapevolezza che serva armonia e rispetto reciproco di porto e città.

Detto questo esiste un fatto inequivocabile, la difficile orografia della città, l’incombere dell’Appennino sulla stessa fanno capire che ci si possa sviluppare solo consapevoli che esistono dei limiti invalicabili, anche dopo aver realizzato tutte le infrastrutture portuali previste (banchina, terminals, piazzali, ultimo miglio ferroviario, diga), di valico (ferroviarie e autostradali), di corridoio ferroviario (Genova-Tortona-Milano Chiasso).

La saturazione della linea ferroviaria del Terzo Valico pone limiti precisi, anche perché l’opera servirà alla Regione di Nord-Ovest per muovere oltre che le merci anche i passeggeri, di Genova-Milano, Torino. Pensare che il traffico camionistico cresca oltre un certo limite senza danneggiare la viabilità, anzi paralizzandola, è follia, oltre alle implicazioni sul traffico e la mobilità nasce un problema gigantesco di sostenibilità, irrisolvibile.

Giustamente Schenone ha dichiarato l’esito degli studi di settore sui traffici, anch’essi non possono crescere all’infinito, come taluni hanno fatto credere senza spiegarne il perché, giustificando la costruzione della nuova diga con numeri che andrebbero riponderati (stanno già facendo retromarcia, auguriamoci che il buon senso trovi più spazio in futuro).

Il delta TEU/containers che Genova può ragionevolmente raggiungere nella sua catchment area (Padania, Svizzera, Sud-Germania) viene universalmente riconosciuto da approfonditi studi di settore sfiorare i 5 milioni di TEU, includendo gli 800.000 da e per l’Italia che utilizzano i porti del Northern Range (Anversa/Rotterdam).

Questo cosa significa?
Per saturare la sovra-capacità dei terminal containers dei porti di Vado, Genova (Prà-Sampierdarena), e La Spezia, che nel 2016 sfiorava già il 30%, ci vorranno anni, considerando anche le opere marittime previste a breve e medio termine. Lo ricorda Schenone citando lo studio commissionato nel 2016 da Del Rio e sottolineando che “l’over capacity, a conti fatti, arriverà a sfiorare il 50%”.
Esistono limiti della capacità operativa e portuale (spazi operativi di terminal, depositi di TEU pieni e vuoti), e di smaltimento delle merci oltre giogo. Anche con tutte le infrastrutture previste completate e utilizzate al massimo della loro capacità, Genova non potrà crescere all’infinito.

Non cito numeri definitivi fino a che tutti metteranno le carte in tavola in modo serio e strutturato, mi limito a ribadire che tutte queste considerazioni portano a dire che esiste un limite ed è reale, fatto di diversi fattori, orografici e logistici e di mercato, ed è bene iniziare a ragionare su di esso nel determinare il futuro del porto.

Si consideri anche l’altro comparto, l’area destinata ai traghetti e alle navi RO/RO (traffici che col re-shoring mediterraneo e le autostrade del mare col cabotaggio nazionale, sono destinati a vorticosa crescita) oggi già satura e che non può essere mutilata da una sconsiderata delocalizzazione dei depositi petrolchimici a Ponte Somalia, sfrattando Grimaldi, il primo armatore europeo del settore, non essendoci aree libere o liberabili in porto senza danneggiare altre attività.

In questo quadro si può delineare il futuro della città senza voli pindarici, mantenendo in efficienza il Terminal Container SECH per altri 30 anni, senza potervi rinunciare a favore delle crociere, anch’esse peraltro desiderose di nuovi accosti. Gli spazi non sono infiniti e bisogna ragionare bene sul futuro.

Nel fare scelte la bussola nell’amministrare il bene pubblico dovrà essere il tasso di occupazione, il lavoro, con precisi impegni e KPI di controllo.

Enrico Nicola Vigo

Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta

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