In una lettera il manifesto del clan: “La popolarità è una realtà. Onora il nostro nome con venerazione, siamo i Pascali”
Taranto – Un video su YouTube come inno, dirette Facebook contro gli “infami” e lettere spedite dal carcere per consacrare il manifesto del gruppo Pascali, clan mafioso con base a Taranto, rione Paolo VI. È quanto è emerso da un’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce che stamattina ha fatto il partire il blitz della Polizia di Stato di Taranto contro 38 soggetti affiliati: 28 in carcere e 10 ai domiciliari con il braccialetto elettronico. Tutti sono indagati a vario titolo per associazione mafiosa aggravata dalla disponibilità di armi da fuoco, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e altri reati tra cui estorsione, detenzione e porto illegale di armi e munizioni, lesioni personali.
L’operazione “Città Nostra”
L’operazione di oggi è il frutto di una lunga e complessa attività della Squadra Mobile di Taranto, svolta con il supporto della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato. Le indagini, legate all’operazione “Città Nostra” che ha disarticolato i clan Di Pierro, Diodato, e Pascali, hanno permesso di accertare come quest’ultimo, già destinatario del “sigillo della mafiosità”, abbia continuato, nonostante la detenzione, a operare sotto la guida del capo storico e di suo fratello.
Nicola Pascali era stato condannato in via definitiva per aver promosso e diretto un gruppo mafioso, parte della Sacra corona unita, da settembre 2015 a ottobre 2017. Il fratello, Giuseppe Pascali, l’11 novembre 2014 mentre era ai domiciliari ferì a colpi di pistola un esponente di un gruppo rivale.
Il pestaggio in carcere per ribadire la propria egemonia
Malgrado la detenzione dei fratelli, il clan ha continuato a operare con una rete di affiliati portando avanti le direttive affidate alle mogli, reggenti e postine che avrebbero anche assistito in videochiamata all’aggressione di un ragazzo, dopo la scoperta di un incontro con esponenti del clan rivale. Dopo le botte, lo avrebbero costretto a scrivere una lettera in cui rappresentava la volontà di dissociarsi dal gruppo criminale di appartenenza.
Gambizzato per aver chiesto l’amicizia su Facebook a una donna del clan
Le indagini sono partite la mattina del 31 ottobre 2018 quando due pregiudicati a bordo di uno scooter spararono alle gambe di un giovane, colpevole di aver richiesto l’amicizia su Facebook alla compagna di uno dei due fratelli.
E sulle donne del clan gli investigatori hanno raccolto elementi tali da sostenere che la moglie del capo storico fosse diventata la “reggente” in libertà di tutte le attività illecite del sodalizio secondo le precise disposizioni del coniuge detenuto, oltre a svolgere, insieme alla cognata, la funzione di “supervisore” delle attività del clan per ciò che attiene il settore delle estorsioni.
In particolare, le donne avrebbero avuto il compito di recapitare all’esterno del carcere messaggi contenenti ordini e direttive dei boss detenuti e di procedere alla riscossione del denaro di provenienza delle attività estorsive.
Il boss detenuto che guida del narcotraffico
Traffico di droga, canali di rifornimento e contatti con clan affiliati alla camorra, e richiesta di royalty per lo spaccio, royalty che assicurava loro di poter spendere il “buon nome” dei fratelli e usufruire di canali di approvvigionamento di stupefacenti vicini agli stessi. E poi estorsioni chieste come “pensieri per le famiglie” del clan a imprenditori e commercianti.
Il gip Marcello Rizzo ha contestato anche profili di estorsioni ambientali sottolineando, che il clan non avesse necessità di ricorrere alla forza godendo di fama criminale.
I video su Youtube
Fama vantata anche sui social. Su YouTube il video “Si frate a me” che “costituisce un inno apologetico dello stile di vita mafioso”. Tra gli attori, anche tre uomini che reciterebbero il vero ruolo nel gruppo. Uno avrebbe spiegato la genesi del brano dicendo che il testo era dedicato a una persona in carcere.
In quattro dirette su Facebook, lo stesso Giuseppe Pascali avrebbe inveito contro esponenti della malavita locale, accusati di aver reso dichiarazioni che avrebbero causato la condanna del fratello e del padre.
In una lettera il manifesto del clan: “La popolarità è una realtà. Onora il nostro nome con venerazione, siamo i Pascali”
Sequestrate anche diverse lettere. Tra queste, quella scritta da Giuseppe Pascali, considerata il manifesto del clan: “Siamo l’esempio della buona fama, dell’onore e del buon nome. La popolarità è una realtà. Onora il nostro nome con venerazione: siamo i Pascali”. Sul telefono di un’indagata, un video in cui familiari minorenni cantano: “Sangue criminale, prendi le pistole”.
Mazzette di banconote sottovuoto, armi e droga
Nel blitz di stamattina, la polizia ha effettuato anche numerosi sequestri. Tra gli altri quasi 3 kg di cocaina, 200mila euro in banconote di vario taglio conservate anche in mazzette sottovuoto, armi e munizioni tra cui una pistola semiautomatica clandestina Beretta modello 98F calibro 7,65, una pistola tipo revolver marca Weihrauch modello HW38 calibro 38 special con matricola abrasa, risultata poi essere provento di furto, una pistola “da guerra” semiautomatica e automatica con matricola abrasa, con funzionamento sia a colpo singolo sia automatico a raffica, una penna pistola calibro 6,35 (“arma camuffata” e quindi “arma tipo guerra”), un silenziatore perfettamente compatibile, e numerosi proiettili calibro 7,65 e 38 special.
Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta