Mi è capitato a lungo di pensare che la politica debba essere una cosa seria
E di conseguenza che una certa veste di serietà comportamentale e istituzionale sia costretto ad indossare chi politicamente dovrebbe rappresentarci negli enti amministrativi. Eppero’ ultimamente, ma nemmeno troppo ultimamente, quello che fino a qualche tempo fa mi sembrava dovesse essere un dogma imprescindibile ha finito per vacillare. Vabbe’, diranno quelli che come me hanno anni, esperienza, e soprattutto memoria lunga…., c’è stato il presidente della Repubblica che faceva le corna in pubblico. Ma, a sua giustificazione sono disposto ad obiettare che era napoletano, e da buon napoletano, era disposto a tutto pur di sottrarsi alla jella. Poi, molti anni dopo, ci fu il presidente operaio che raccontava barzellette, d’antan, mandate a memoria quando, da giovane, si guadagnava da vivere facendo il musicante a bordo delle navi da crociera. Inoltre non disdegnava la compagnia delle giovani “Olgettine” e, soprattutto gli capito di giudicare la povera Angela Merkel una “culona inchiavabile” o di domandare al “diversamente bianco” Barack Obama, allora presidente degli Stati Uniti, come facesse ad essere sempre così abbronzato.
Le cose suscitarono, al tempo dei tempi, dei quasi scandali. “Quisquilie e pinzillacchere” direbbe strizzando l’occhio il principe De Curtis, alias Totò. Quello di “Votantonio, Votantonio” urlato è amplificato dall’eco del water. Perche’ le cose che racconto risalgono al medio evo mediatico, cioè all’epoca in cui i social non esistevano e il nickname attribuito a Leone per lo scandalo Lockeed era “Antelope Kobler”, e comunque poi il presidente diede veramente le dimissioni, anche se dopo molti tentennamenti, solo in seguito alle polemiche per la morte di Aldo Moro. Come dicevo 41 anni fa. Tanto che il cattedratico napoletano è ormai presente nella percezione popolare più per quella mania antijella di sventolare le corna che per le dimissioni vere e proprie.
Eppero’ mi viene da dire egualmente: “altri tempi”. Anche se in molti dei commentatori politici attuali continuano a sostenere che il “Telecavaliere” con le sue Tv private, e il berlusconismo e il conseguente antiberlusconismo, fu il vero antesignano della degenerazione dell’attuale classe politica con cui ci ritroviamo a fare i conti nell’era liquida. Quando la realtà supera l’immaginazione, l’informazione si confonde spesso e volentieri con la comunicazione, la cronaca diventa narrazione e storytelling. Non a caso qualcuno ha insistito su una logica successione per la fase successiva a Berlusconi. Parlando, perché al peggio non vi è mai fine, perfino di degenerazione. Quando da un premier barzellettiere siamo passati nelle mani di un comico assurto al ruolo di vero e proprio “vate” tuttologo.
Va da se, perciò, che qualcosa della serietà di cui parlavo all’inizio abbia finito per risultare in qualche modo violentemente compromessa. Al cospetto di quella realtà, più o meno virtuale, più o meno in linea con uno spettacolo del “Bagaglino” (non a caso l’ultima andata in scena della compagnia risale al 2017 e profeticamente si intitola “Magnamose tutto”) che supera, comunque di gran lunga, la più fervida delle fantasticherie e delle immaginazioni. Tanto da suggerire veri capisaldi del cabaret d’antan. Tipo lo storico “Vieni avanti cretino”, dei fratelli De Rege e del duo comico Walter Chiari e Carlo Campanini, debitamente riveduto e corretto. Mentre furoreggia il refrain “Io sono Giorgia”, oppure si ingozzano i gattini “anti-sardina” di Salvini, facendo a gara con il circolo dei pinguini.
L’ultimo tormentone del momento potrebbe risultare quello dei “babbi di minchia”, epiteto con il quale il consigliere delegato alla Protezione Civile, Antonino Sergio Gambino, ha etichettato, in favore di telecamera, alcuni sfortunati genovesi che sabato sera durante il nubifragio sarebbero rimasti intrappolati con l’auto all’interno del sottopassaggio di Brin, rischiando di lasciarci le penne.
Ed eccovi l’audio:
Episodio, quello di Gambino, riportato con dovizia di particolari dal collega Marco Preve con un articolo su “La Repubblica” in cui proprio Preve racconta: “Babbi di minchia, così il consigliere delegato alla protezione civile di Genova Sergio Gambino ha definito gli automobilisti che per imprudenza o per sfortuna sono rimasti intrappolati nelle loro vetture sabato durante l’alluvione che ha colpito la Valpolcevera, il quartiere del ponte Morandi. Gambino, il primo a sinistra con la barba nel video, stava accompagnando sui luoghi colpiti dal maltempo il governatore Giovanni Toti e l’assessore regionale alla protezione civile Giacomo Gianpedrone. Toti ha chiesto informazioni sulle persone che erano state salvate e perché fossero finite lì. La risposta di Gambino (già noto alle cronache per aver partecipato con i neofascisti di Lealtà Azione alle commemorazioni dei caduti di Salò), Fratelli d’Italia, viene accolta senza commenti da Toti e Gianpedrone. Nello staff di Toti c’è chi si accorge della gaffe e invita al silenzio. Ma è troppo tardi e Gambino sorride. Poi il tour prosegue”.
Insomma niente a che vedere…, oppure, forse addirittura troppo con un analogo tormentone frutto della fervida fantasia dal cabarettista genovese Andrea Di Marco. Proprio quello del “Movimento estremista ligure”, del”CiaoMilano” e del”MilanoSuca”, sberleffo ai padani, una sorta di presagio a viadotti chiusi e tristemente premonitori dell’isolamento verso cui si protende la Liguria anche per il carattere scontroso dei suoi abitanti. Fra ponti crollati, veri o presunti che fanno il paio, potere delle suggestioni, con i tunnel veri o presunti come quello dei neutrini del gran Sasso dell’ex ministro all’istruzione Maria Stella Gelmini o quello del Brennero dell’ex ministro alle infrastrutture Danilo Toninelli. Sempre per citare due esempi che hanno reso la politica surreale cabaret.
Una sorta di Cassandra il nostro comico, che due anni fa, il 18 aprile del 2017, si inventa la giornata mondiale dei “ babbi di minchia”. E secondo lui i “babbi di minchia” sarebbero appunto quelli che hanno fatto la fortuna di personaggi vari da Zuckemberg a Renzi, da Fedez, a Grillo, inventori degli influencer e influencer loro stessi, proprio grazie ai “Babbi di minchia”. Che poi, come sfotte Di Marco: alla fine essere “Babbi di minchia non è una malattia è una risorsa”. Anche se, come diceva il cabarettista genovese, la moltitudine non ne ha consapevolezza e “In Italia e nel mondo ci sono milioni di babbi di minchia che non sanno di esserlo”. Milioni di “Babbi di minchia” che sarebbero manipolati e plagiati appunto da Renzi e da Grillo. E che andrebbero aiutati a capire e probabilmente a farsi una ragione di essere del “Babbi di minchia”. Come? Ricorrendo all’autocoscienza e rivolgendosi al CSC (Coglioni senza confini), una sorta di gruppo di esperti motivazionali. Oppure comprando il peluche del pupazzo Achille, gadget della sua campagna, a soli 25 mila euro.
E chissà se il prode Antonino Sergio Gambino, consigliere comunale con delega alla protezione civile, alludeva ai “Babbi di minchia” di Di Marco quando etichettava così gli sfortunati genovesi che hanno rischiato di morire annegati nel sottopasso di Brin.
Ma vabbe’ ormai la comunicazione politica questo è. Elemento liquido in cui da Di Marco in poi i “Babbi di minchia” potrebbero essere tutti coloro che utilizzano i social per i propri messaggi, incanalandoci i propri disagi, ma anche per affrontarsi a singolar tenzone sostenendo questo o quel politico, questo o quel partito. Tanto che a questo punto avrei da suggerire uno slogan autocelebrativo per la piazza che Giovedi’ decreterà o meno il successo a Genova delle famigerate sardine. Un “siamo tutti Babbi di minchia”. Che non è una malattia ma l’intollerabile riconoscimento di un qualche tipo di consapevolezza. Slogan nella duplice forma, con estensione alla formula francofona “Je suis babbo di minchia”.
Insomma, lascia un po’ d’amaro in bocca che un consigliere comunale di Fratelli d’Italia che, dopo la “ragazzata” della fascia tricolore indossata per presenziare alla cerimonia dei caduti della Rsi, davamo per redento (tanto da commentare sicuro sulla commissione anti odio a Tursi e sulla cittadinanza onoraria a Liliana Segre “Perché non dovrebbe essere all’unanimità?” si sia lasciato nuovamente condizionare da un senso di rancore. Quello si’ da “Babbo di minchia” nell’accezione demarchiana del termine.
Ma giustamente come faceva rilevare il comico genovese sceso in politica – il Di Marco, non il Grillo- ormai tutto è cabaret, come marxianamente tutto una volta era politica. Quindi sdoganiamo il “Babbo di minchia” al pari del vecchio slogan d’avanspettacolo che fece la fortuna dei fratelli De Rege con il loro celeberrimo “Vieni avanti cretino”. Con variazione a tema…. vieni avanti Gambino.
Anche perché appena qualche giorno prima il consiglio comunale aveva approvato, stavolta si all’unanimità, e non come in senato a maggioranza e con l’astensione del centro destra, una commissione anti odio e antiviolenza. E quindi si pensava che, a maggior ragione, i nostri politici dopo aver votato di conseguenza rifuggissero con una certa solerzia l’eventualità di esporsi con messaggi più o meno violenti. Da perfetti – mi si passi il termine – “Babbi di minchia”, pizzicati prima del trattamento del CSC (Coglioni senza confini).
Ma i nostri politici, molti per la verità dimostrano una volta di più di avere la memoria corta.
Così qualcuno non ha potuto fare a meno di notare come il Sindaco Marco Bucci, stavolta finalmente presente per conferire la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, si sia dimenticato, una volta di più, di menzionare la nostra città come medaglia d’oro della Resistenza per essersi liberata da sola dai nazifascisti. E che comunque abbia preferito chiedere scusa a Liliana Segre per le colpe dei genovesi. Il tutto senza tenere minimamente conto delle parole della senatrice a vita che aveva appena ribadito: “non perdono, non dimentico, ma non odio”. Già “non perdono, non dimentico ma non odio”, come aveva scritto la Segre facendo l’introduzione all’audiolibro del libro di Primo Levi “I sommersi e i salvati”. Questione di sfumature. Di sfumature essenziali. Tanto che in un suo post Filippo Biole’ annotava testualmente: “ Anche questa sera una Signora, definitasi in Senato semplicemente “una nonna”, che, suo malgrado ma per nostra fortuna, è diventata “nonna d’Italia” ha dato una forte lezione di dignità a tutti quanti, facendo impallidire con la semplicità della verita’ chi di strada ne deve fare ancora proprio tanta per avvicinarsi a quella profondità e a quella levatura. Perché i simboli possono anche avere importanza ma solo quando se ne comprende davvero il significato; lo stesso a dirsi per quando si porgono le scuse senza però preoccuparsi di domandare a chi le riceve se le accetterà mai, tanto più se questa ha appena finito di dirti parole come “non perdono, non dimentico, ma non odio”.
Già tra storia della resistenza che potrebbe pure risultare divisiva, soprattutto a chi non vuole prendere atto della storia- ma è pur sempre storia con tanto di medaglia d’oro, e non storytelling – e difficolta’ di comprensione del testo, appare logico che più di un genovese si ponga qualche domanda sulla differenza fra la necessità della convinzione e quella degli opportunismi politici. E di conseguenza fra formule opinabili e cabaret, fra politica, informazione e comunicazione social.
Anche se poi, magari, fra un babbo di minchia e l’altro, può sempre soccorrere uno degli ultimi studi di alcuni scienziati americani. In cui si svela, papale papale, che “essere smemorati è un segno di grande intelligenza”.
E, perciò, magari, fingersi tali a volta conviene anche un po’… Insomma “Veda un po’ lei”
Io, comunque, nel mio piccolo, proporrei di inserire prossimamente fra le ricorrenze civiche assolutamente da festeggiare anche la data del 18 aprile. Intitolando la festa, proprio come suggerisce Andrea De Marco “La giornata del babbo di minchia”. Prima o dopo la cura Con buona pace del gruppo di autocoscienza del CSC, acronimo suggestivo che sta per… Coglioni senza confini. Andrea Di Marco – comico in un mondo di cabaret – dixit.
Paolo De Totero
Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.