Crisi in Medio Oriente: cause, conseguenze e contesto internazionale

Dagli Accordi di Oslo alle sfide per il futuro

Il principale portavoce dell’esercito israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha reso noto che l’esercito ha ucciso piu’ di 400 terroristi palestinesi nel sud di Israele e nella Striscia di Gaza, e ne ha catturati altre decine, durante i combattimenti cominciati ieri, dopo l’attacco di Hamas.

Nelle prossime ore, un’ampia operazione di evacuazione riguarderà le comunità residenti vicino alla Striscia di Gaza. La notizia è stata riportata dal portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari,

che ha aggiunto che durante la notte è stata attuata una graduale evacuazione dei residenti delle comunità in cui si erano infiltrati terroristi. “Attualmente, ci sono decine di migliaia di soldati combattenti israeliani nella zona, con centinaia di migliaia di soldati riservisti richiamati per affrontare la situazione critica”.

L’obiettivo principale di questa massiccia operazione è stabilizzare la situazione nell’area di Gaza, che negli ultimi tempi è stata teatro di scontri e violenze. Hagari ha anche riferito che la maggior parte dei luoghi degli incidenti è stata “neutralizzata,” ma le forze di sicurezza continuano a compiere rastrellamenti nelle aree di Sderot, Zikim, Re’im e Sufa al fine di individuare e catturare i terroristi ancora presenti.

La Striscia di Gaza è una gigantesca prigione a cielo aperto con oltre 2 milioni di abitanti, su una superficie di 360 chilometri quadrati con il 64% delle persone che hanno difficoltà a procurarsi il cibo e quasi il 50% non ha un lavoro. A Gaza, salvo rari casi, non si entra e non si esce. È territorio occupato senza speranza.

Oltre la cronaca

Questo conflitto multidimensionale coinvolge le forze israeliane e palestinesi e minaccia di destabilizzare non solo il contesto locale, ma anche quello regionale e internazionale. Alcuni osservatori hanno già coniato il termine “l’11 settembre di Israele” per descrivere l’attuale situazione, che minaccia di gettare un’ombra oscura sulla recente normalizzazione dei rapporti tra Israele e i paesi arabi della regione, iniziata con gli Accordi di Abramo nel 2020.

Tuttavia, sarebbe un errore affrettarsi a collegare questa crisi unicamente a motivi di carattere geopolitico e al contesto internazionale. Le radici di questa nuovo conflitto, che è forse il più grave mai affrontato da Israele, vanno cercate nelle complesse dinamiche locali di un conflitto profondo e al tempo stesso sempre più trascurato dalle agende politiche globali.

Le differenze in questa escalation

Negli anni precedenti, si sono verificati scontri e crisi violente ( leggi qui: https://www.fivedabliu.it/2021/05/16/un-tragico-copione-che-si-ripete-a-gaza-e-strage-di-civili/) , ma spesso queste situazioni erano temporanee e seguivano uno schema prevedibile: un evento scatenante, come gli scontri sulla spianata delle moschee a Gerusalemme, il lancio di razzi da parte di Gaza (quasi sempre respinti dal sistema di protezione Iron Dome), i raid israeliani nell’enclave costiera e, infine, il raggiungimento di un cessate il fuoco, spesso mediato dall’Egitto. Tuttavia, l’attuale escalation presenta caratteristiche completamente diverse.

Incursioni via terra

Per la prima volta, i gruppi armati che controllano Gaza dal 2006 hanno intrapreso una vera e propria incursione di terra, utilizzando persino deltaplani per atterrare in territorio israeliano. Hanno anche preso il controllo del valico di Beit Hanoun/Erez, una via di accesso fondamentale e altamente sorvegliata per entrare nella Striscia di Gaza. Queste incursioni hanno dimostrato una fragilità senza precedenti da parte di Israele, tanto che Hamas e il movimento del Jihad Islamico hanno enfatizzato questo punto a livello propagandistico.

Le immagini dei miliziani palestinesi che si spostano apertamente per le strade di Israele rappresentano una dimostrazione di vulnerabilità senza precedenti per lo Stato ebraico. È emerso che queste incursioni nel sud di Israele sono state precedute da un “disturbo di massa dei sistemi di comunicazione e sorveglianza”, che ha permesso ai combattenti palestinesi di entrare praticamente inosservati nel paese.

Fragilità interna e scelte temporali

Al momento, non è possibile trarre conclusioni attendibili, ma diversi osservatori hanno suggerito che la situazione odierna potrebbe rappresentare un grave cedimento nell’intelligence israeliana, in particolare nel Mossad e nello Shin Bet, in una delle zone più sorvegliate al mondo. Per comprendere il tempismo dell’iniziativa palestinese e rispondere alla pressante domanda “Perché ora?”, è forse opportuno considerare anche la complessa situazione interna di Israele, scosso da settimane dalla protesta per la nuova riforma della giustizia voluta dal Governo di Netanyahu che ha diviso il Paese.

Un conflitto apparentemente insolubile?

Tuttavia, non bisogna limitare la comprensione di quanto sta accadendo solo al contesto politico e diplomatico regionale. Iniziative come gli Accordi di Abramo si basano sull’idea che per risolvere il conflitto sia sufficiente “scavalcare” di fatto i palestinesi, interagendo e facendo accordi direttamente e solo con i vicini arabi. Questa postura, unita alla pretesa di quasi tutti i governi israeliani di poter vivere in uno stato di militarizzazione perenne (per quanto a bassa intensità), contribuisce al rafforzamento dei movimenti politici più intransigenti come Hamas e il Jihad Islamico.

È importante valutare anche la componente generazionale. Il 2023 non ha segnato solo i 50 anni dalla guerra dello Yom Kippur, ma anche i 30 anni dagli accordi di Oslo

Gli Accordi di Oslo: trent’anni di speranze e sfide

Il 2023 non rappresenta solo il cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, ma anche il trentesimo anniversario degli Accordi di Oslo che avrebbero dovuto portare a una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese.

Gli Accordi di Oslo, che portarono a una storica stretta di mano tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat alla Casa Bianca nel 1993, rappresentavano una speranza, non solo per le due parti coinvolte, ma anche per la comunità internazionale. Tuttavia, nonostante le promesse di pace, non hanno portato alla risoluzione definitiva del conflitto. L’annuncio di un dialogo diretto tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) è stato accolto con scetticismo sia dagli israeliani che dai palestinesi.

I problemi e le sfide del processo di pace

Uno dei principali problemi del processo di pace di Oslo è stata la sua gradualità. Inizialmente, si è iniziato con un esperimento, noto come “Gaza e Gerico first”, concedendo l’autonomia a queste due aree. Se questa fase avesse avuto successo, il processo sarebbe stato esteso ad altre città della Cisgiordania. Tuttavia, questa gradualità ha dato spazio all’opposizione da parte della destra nazionalista israeliana, degli islamisti di Hamas e delle sinistre palestinesi, oltre al terrorismo.

Gli Accordi di Oslo non sono riusciti a prevenire la seconda Intifada, che è stata molto più violenta e sanguinosa della prima. Questo periodo ha visto un aumento significativo del terrorismo e delle violenze, portando a una maggiore sfiducia tra le due parti.

Nonostante i fallimenti e le sfide degli Accordi di Oslo, rimangono una pietra miliare nella storia del conflitto israelo-palestinese. Se e quando una nuova generazione di cittadini desidererà la pace e la coesistenza, potrebbe essere necessario tornare a Oslo come punto di partenza. Gli Accordi hanno dimostrato che una pace era possibile, anche se non è stata raggiunta. Tuttavia, per il futuro, i leader dovranno riprendere da dove le cose sono state lasciate e affrontare le complesse questioni che rimangono irrisolte.

La crisi attuale

La crisi attuale nel Medio Oriente rappresenta una sfida complessa e le sue conseguenze potrebbero perdurare a lungo, coinvolgendo non solo Israele e i palestinesi, ma anche il contesto internazionale. Per affrontare questa crisi in modo efficace, è essenziale comprendere le radici profonde del conflitto e cercare soluzioni che vanno oltre le dinamiche geopolitiche e le politiche regionali. La pace può ancora essere una meta raggiungibile, ma richiederà un impegno sincero e un’approfondita comprensione delle complesse sfide che affliggono la regione.

Copertina: Foto d’archivio

 

Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *