Processo a Mimmo Lucano: sentenza d’appello rinviata all’11 ottobre

Durante l’udienza, gli avvocati difensori, tra cui l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, hanno sostenuto che il processo è stato politicamente motivato

Reggio Calabria – La lunga attesa per la sentenza d’appello nel processo Xenia, che vede coinvolto l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, arriverà al termine nel mese di ottobre. La situazione processuale di Lucano si è ulteriormente complicata dopo la condanna inflittagli in primo grado dal Tribunale di Locri, che lo ha condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione. Tuttavia, la Corte d’Appello di Reggio Calabria è ora chiamata a riesaminare il caso e decidere se confermare o modificare la sentenza di primo grado.

Accolte nuove prove

L’udienza di ieri ha visto la presentazione delle argomentazioni da parte degli avvocati difensori di Lucano, tra cui l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. Quest’ultimo ha sottolineato la sua convinzione che il processo contro Lucano sia stato un “processo politico” caratterizzato da un accanimento ingiustificato.

Pisapia ha dichiarato: “Nei confronti di Mimmo Lucano c’è stato un accanimento non terapeutico”. Ha difeso l’operato di Lucano, che è noto per aver creato il cosiddetto “modello Riace”, un programma di accoglienza dei migranti nel suo piccolo comune.

Pisapia ha sottolineato che Lucano ha sempre agito nell’interesse degli altri e non per ottenere vantaggi personali o per scopi politici. Ha evidenziato la mancanza di dolo e di una volontà di trarre vantaggio economico dalle azioni di Lucano, sottolineando che quest’ultimo non aveva fondi significativi sul proprio conto corrente. L’ex sindaco di Milano ha fatto appello alla Corte affinché riconsideri la sentenza di primo grado, definita “esorbitante”.

Anche l’avvocato Andrea Daqua, altro difensore di Lucano, ha ribadito l’ingiustizia della sentenza di primo grado.

Indagine unidirezionale

I difensori hanno criticato l’indagine unidirezionale condotta dalla prefettura e sottolineato la mancanza di neutralità del Tribunale di Locri, sospettando che il processo fosse viziato sin dall’inizio. Daqua ha denunciato l’uso distorto delle intercettazioni e la mancanza di una valutazione obiettiva dei fatti da parte del Tribunale. Infatti alcune intercettazioni erano state riportate in maniera del tutto decontestualizzata e quindi si giudici hanno accolto nuove prove e le stanno esaminando.

Mimmo Lucano non era presente di persona ma ha fatto pervenire una lettera indirizzata ai giudici, in cui ha espresso la sua amarezza per la limitazione della libertà personale e per la campagna di denigrazione subita. Lucano ha sottolineato di aver sempre agito con l’obiettivo di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione dei migranti che fuggivano da situazioni di estrema difficoltà.

Il “Modello Riace”

In chiusura, Pisapia ha rivolto un appello alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, sottolineando l’importanza di avere molte più iniziative come il “modello Riace” in un periodo in cui la situazione dei migranti è particolarmente difficile e complessa. Ha affermato che avere più comunità come quella creata da Lucano sarebbe un aiuto concreto per risolvere problemi legati all’immigrazione e alla coesione sociale.

Ora spetta alla Corte d’Appello di Reggio Calabria decidere il destino di Mimmo Lucano, e la sua sentenza sarà attesa con trepidazione da molti, non solo in Italia ma anche a livello internazionale, per il possibile impatto che potrebbe avere sulle politiche di accoglienza dei migranti e sulla giustizia in casi simili.

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