Kosovo: in corso le dimissioni di tutto il personale serbo

Deputati, giudici, poliziotti lasciano i loro incarichi

Pristina –  In Kosovo il personale serbo in servizio nelle varie istituzioni e organismi statali ha formalizzato oggi le sue dimissioni dagli incarichi, in attuazione della decisione annunciata sabato scorso dai rappresentanti politici della popolazione serba, in segno di protesta contro la politica di Pristina sull’obbligo del cambio di targa automobilistica e per il mancato rispetto degli accordi conclusi nell’ambito del dialogo con Belgrado sotto l’egida Ue.

A dimettersi sono stati in particolare i deputati di Srpska Lista, la maggiore forza politica dei serbi del Kosovo, i giudici e il personale amministrativo dei tribunali e oltre 300 poliziotti che, recandosi nei vari commissariati, hanno consegnato uniformi e armi in dotazione.

E nelle dichiarazioni di un poliziotto di Mitrovica si capisce quanto sia profonda la divisione tra serbi e kosovari: “Sono venuto per dimettermi, non se ne poteva più ed era tempo di farlo, dovevamo farlo anche prima”.

Una manifestazione con 10.000 persone

Ieri la protesta dei serbi era sfociata in una grande manifestazione nel settore nord (serbo) di Kosovska Mitrovica, dove oltre 10 mila persone avevano denunciato la politica discriminatoria e di odio nei confronti dei serbi portata avanti a loro avviso dalla dirigenza di Pristina, a cominciare dal premier Albin Kurti. Il notevole aumento della tensione interetnica in Kosovo sta destando allarme nella comunità internazionale, in particolare Ue e Usa, con ripetuti appelli alla moderazione e al dialogo, preoccupati che possa svilupparsi un nuovo focolaio di forte instabilità nei Balcani, non lontano dal conflitto armato in Ucraina. A intervenire sono stati tra gli altri l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell e il vicepremier e ministro degli esteri italiano Antonio Tajani, che hanno contattato entrambi nel fine settimana il presidente serbo Aleksandar Vucic e il premier kosovaro Albin Kurti. Il messaggio comune è di privilegiare il negoziato e il dialogo e di evitare azioni unilaterali che possano amentare ulteriormente le tensioni.

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