Sprofondo giallo-rosso-bianco-blu-verde, con striature arancioni
Ragazzi, ragazzi? Ragazzi…eccomi.
Eccomi qui. Dopo due settimane sono risalito. Sono tornato in superficie. Boccheggiante, e non solo per l’afa, per l’umidita’, per la temperatura. Quella reale e quella percepita. In superficie, dopo aver assistito in quel fatidico quattordici luglio – mica a caso la ricorrenza della presa della Bastiglia, rivoluzione più rivoluzione meno, fino ai giorni nostri e alla “ei fu” presa della scatoletta di tonno e dell’uno che vale uno- allo “sprofondo giallo-rosso-bianco-blu-verde” del governo penta, o addirittura esacolore. Già aggiungiamoci, in corso d’opera, persino una striatura arancione.
Allora avevo infelicemente pronosticato per il settantasettesimo esecutivo della storia una sorta di crisetta balneare ampiamente superabile e che non avrebbe dovuto finire come un Papeete qualunque di fronte a quei sanculotti dei pentastellati, recalcitranti per il termovalorizzatore nella Capitale. Con quella visione/vaticinio di un Mario Draghi che in cinque giorni avrebbe saputo risalire la corrente nella seduta successiva. Dopo aver assimilato e digerito da par suo le dichiarazioni di rito quella visita al colle e il diktat di Mattarella per prendere tempo e ripresentarsi di fronte alle Camere. Sino a presumere la strenua difesa del loro leader da parte di ministri e partiti di governo e l’ulteriore sfaldamento dei pentastellari.
Per finire con il fiorire di tante stampelle, come papaveri in un campo di grano, per supportare un eventuale Draghi uscente/rientrante. Tanto che i soloni della politica nostrana facevano notare che proprio nel loro ambiente cinque giorni – il tempo fra uscita, salita al colle e rientro in Senato – avrebbero potuto essere tantissimi e sufficienti per impedire l’irrevocabilità delle elezioni anticipate. A maggior ragione con il disagio di sei/dieci mesi di onorario lasciati eventualmente sul piatto dai parlamentari e, soprattutto, quel taglio dei parlamentari entrato in vigore dall’8 ottobre di tre anni fa con significativa riduzione del 36,5 per cento dei componenti di entrambi i rami del Parlamento: da 630 a 400 seggi alla Camera dei Deputati e da 315 a 200 seggi elettivi al Senato.
Una rivoluzione a metà in scena alla prossima tornata elettorale che stava comunque stretta ai partiti. Già, i partiti che prima della fine della legislatura, avrebbero dovuto mettere mano ad una riforma elettorale. Con tanto di interesse condiviso della passata maggioranza a eliminare i collegi uninominali.
Epperò poi è andata a finire diversamente e nel baratro dello “sprofondo giallo-rosso-bianco-blu-verde”, con tanto di striature arancioni, è finita, insieme alle laute retribuzioni per una decina di mesi, anche la possibile riforma elettorale.
Gli esercizi di equilibrismo di Bucci
Con polemiche a non finire. Una per tutte: quei duemila sindaci che in quei giorni – ma ormai sembra un secolo fa – con quei soldi del PNRR in bilico, hanno espressamente sostenuto il governo di Mario Draghi. E fra questi anche il nostro sindaco Marco Bucci. In ferie ma comunque prontissimo ad aderire al fianco del suo sodale di sempre, il Governatore Giovanni Toti.
Il tutto in odore di un centrismo ritrovato e già espresso, durante la campagna elettorale per le amministrative comunali, nonostante qualche crisi di nervi dei suoi maggiori alleati, con la presenza nelle sue liste di esponenti di Italia Viva. Comunque e a maggior ragione quella scelta di condividere la solidarietà al premier uscente da parte di Bucci aveva fatto sobbalzare il coordinatore regionale di Fratelli d’Italia Matteo Rosso che non aveva potuto fare altro che dissociarsene: “Riteniamo che la sua adesione sia da considerarsi di carattere personale e non rappresenti la volontà dell’intera città né dell’intera maggioranza in consiglio comunale. Certamente non quella del nostro partito che si batte per restituire al più presto la possibilità di tornare al voto ai cittadini italiani e per avere un governo coeso, omogeneo, autorevole e alternativo alla sinistra”.
Presa di posizione a cui Bucci aveva risposto prontamente, non casualmente attraverso le onde radio di Radio Leopolda e nel corso di una trasmissione dal titolo più o meno evocativo “Avanti Draghi”. Una replica senza tentennamenti quella di Bucci: “Ho firmato un appello insieme ai sindaci delle più importanti città d’Italia rivolto al presidente Draghi affinchè rimanga fino alla fine della legislatura. È fondamentale per noi continuare il nostro lavoro di sindaci e far sì che gli investimenti del PNRR possano dare un beneficio ai nostri cittadini, al nostro Paese. Se qualcuno vuole uscire dalla maggioranza esca pure, l’essenziale per noi è andare avanti con il nostro lavoro per il futuro delle nostre città, per il futuro dei nostri figli. Ringrazio Italia Viva e Radio Leopolda per essere con noi e per supportarci in questa esortazione al presidente Draghi”.
Sino alle polemiche in consiglio comunale per mano di quel “battitore libero” di Mattia Crucioli, senatore uscente ex “pentastellato” di Alternativa e capogruppo di sé stesso e di “Uniti per la Costituzione” a palazzo Tursi: “”Apprendo che il sindaco Bucci ha firmato una lettera per chiedere a Draghi di andare avanti. Se l’ha fatto a titolo personale, nessun problema: è una sua opinione e come tale va rispettata, seppure distantissima dalla mia e da quella di centinaia di migliaia di genovesi che credono che prima Draghi e la sua oscena maggioranza se ne andranno e meglio sarà per tutti gli italiani. Se invece, come sembra dal testo della lettera, ha firmato tale richiesta come Sindaco, a nome di tutti i cittadini genovesi, allora abbiamo un problema: chi l’ha autorizzato a questo passo formale? Sicuramente non il consiglio comunale, di cui faccio parte, che non ha mai discusso e deliberato su tale argomento. A Bucci piace dire di essere “il sindaco di tutti ma gli piace di gran lunga di più comandare senza alcun confronto: alla sua maggioranza, anche a quella che a Roma si esibisce in una finta opposizione, evidentemente va bene così, ma Bucci deve tenere bene a mente che ora c’è chi si oppone a lui e a Draghi e che il Comune non è di sua proprietà”.
Il meglio, nemico del bene
Con lungo e accorato messaggio di Toti, ovviamente ancora speranzoso che Draghi riuscisse a ricomporre una maggioranza con un ragionamento fra meglio e bene, tra follia grillina e veti degli altri partiti. Il tutto con un ragionamento politico ineccepibile per un Draghi o un Draghi bis. Perciò il post di Toti di dieci giorni fa. Ancora speranzoso e inconsapevole del suo personale destino di ago della bilancia, conteso fra centrodestra e larghe intese, fra Calenda e Renzi e Letta. E il vecchio amico Silvio Berlusconi. Comunque parole di Governatore, anche lui ancora convinto di un possibile rimedio: “Nei momenti difficili bisogna essere rigorosi nei ragionamenti e non velleitari negli scopi.
Il Paese ha bisogno che il Governo vada avanti, altrimenti si rischia di perdere una cinquantina di miliardi, migliaia di posti di lavoro, bollette e caro spesa insostenibili per gli italiani. Non solo, si rischia di lasciare il Paese senza guida in mezzo ad una guerra. Ora, nessuno più di me sarebbe felice di vedere un Governo Draghi con il Movimento 5 Stelle all’opposizione, unico luogo dove ha dimostrato di poter stare con le sue idee distruttive.
Ma in questi casi il meglio potrebbe essere nemico del bene. Quindi l’obiettivo principale è la prosecuzione dell’Esecutivo, per non far pagare un doppio prezzo ai cittadini: la follia grillina e i veti degli altri partiti. Dovranno decidere il Premier Draghi e il Presidente Mattarella come chiudere questa crisi. E tutti dovranno accettare la loro decisione. Senza se e senza ma. Semmai tutti i partiti si ricordino di questo momento quando torneremo alle elezioni, quando dovranno scegliere alleanze e programmi. Se lo ricordino quando dovranno difendere una legge elettorale che, se non cambiata, costringerà ancora una volta ad alleanze irragionevoli tra diversi.
Se lo ricordino quando qualcuno per un voto in più tornerà a promettere cose irrealizzabili e irragionevoli. Se lo ricordino quando invece di difendere scelte razionali qualcuno scriverà il proprio programma sulle urla delle piazze. Questa occasione può avere una sola utilità: convincere tutti ad una politica nuova. E il bipolarismo italiano deve diventare tra chi segue la linea della serietà, della responsabilità e del rigore e chi invece continua a pensare che abbia ragione chi urla più forte la cosa più irrazionale. Il bipolarismo del buonsenso”.
Il cambiamento di scenario
Solo che poi, in effetti, cinque giorni nella politica italiana possono, a ragione, risultare vere e proprie ere geologiche. Percò, brusca inversione di tendenza, ampia conversione nel centrodestra sulle posizioni dell’unico partito di opposizione con il verbo dell’unica leader al femminile, Giorgia Meloni, che chiede le elezioni anticipate. E undici giorni or sono lo stesso Draghi spiega che la coalizione può essere ricostruita previo un nuovo patto di fiducia di fine legislatura. Alla prova del voto la fiducia sulla risoluzione Casini di una sola riga ( “Udite le comunicazioni del premier si approva”) passa ma con soli 95 voti favorevoli.
Assenti i senatori di Lega e Forza Italia. I Cinque Stelle garantiscono il numero legale rimanendo come “presenti non votanti” in aula. Draghi se ne va pronto a dimettersi il giorno dopo nella seduta alla camera dei deputati e a rimettere l’incarico nelle mani di Sergio Mattarella. Il centrodestra prima si sfascia con l’uscita di Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna che se ne vanno sbattendo la porta, poi si ricompatta sotto l’ala del redivivo, con tanto di resurrezione. È l’ottantacinquenne Silvio Berlusconi, anche lui in lizza per il premierato con gli altri leader carismatici. Da Matteo Salvini a Giorgia Meloni.
E l’accordo: si presenterà alle camere per la fiducia quello dei tre che prenderà più voti. Dando per scontato che il presidente Mattarella nel caso di successo del centro destra voglia sottomettersi al giudizio degli elettori senza valutare quale dei tre abbia migliori capacità in un ruolo doppiamente difficile, per la sua natura, ovviamente, e per il particolare momento nazionale ed internazionale.
Però così è la politica nell’epoca delle semplificazioni. Perché, alla fine se uno vale uno come diceva lo slogan pentastellare si può tranquillamente sostenere che la nomina del presidente del consiglio debba passare attraverso il suffragio universale. E, comunque chi meglio di un predestinato dalla resurrezione facile. Sempre che, nonostante gli 85 anni vissuti pericolosamente, fra pianoforte e barzellette, Ruby ter, Olgettine e compagne o “badanti” visibilmente più giovani, abbia mantenuto almeno un pizzico di lucidità. Anche perché nel suo curriculum di lungo corso può sempre far conto su quattro presidenze del consiglio (1994-1995; 2001-2005; 2005-2006 e 2008-2011. In tutto 3340 giorni complessivi. E comunque è proprio lui quello rimasto più a lungo in carica alla presidenza del consiglio). E poi a suggellare la propensione europeista ci sono i sei mesi come presidente del consiglio europeo fra l’inizio di luglio e la fine di dicembre del 2003.
Italiani vi aspettiamo alle urne
Insomma, nel centrodestra, tre personalità esondanti, con FdI dato in ampia crescita e Lega in discesa. Da…”meno male che Silvio C’è”, a “donna Giorgia Meloni” ex trumpista d’Italia. Per finire con il “truce”, o il Capitano, Matteo Salvini.
Perché poi Mattarella, masticando un po’ amaro per essersi lasciato prendere in castagna per la seconda volta, nel frattempo ha deciso che il 25 settembre gli italiani andranno alle urne per le politiche. Con la campagna elettorale più breve e calda di sempre. Ed evidente compiacimento di un’agenzia di pompe funebri, la Taffo Funeral Service, molto presente sul mercato pubblicitario che titola, dritto per dritto, il suo manifesto in cui compaiono in fila sette contenitori per le ceneri: “Italiani vi aspettiamo alle urne”.
Suggerendo il funerale del governo Draghi, della sua maggioranza composita. Ma non solo. Anche quello del settantasettesimo governo della Repubblica e della XVIII legislatura ormai in agonia, che rimarrà in vita sino alla proclamazione dei nuovi eletti. Perché gli uscenti perderanno al massimo qualche mensilità retributiva ma hanno salvato, seppur per il rotto della cuffia, il diritto alla pensione al compimento del sessantesimo anno. “Ogni parlamentare – spiegava il Sole 24 Ore in un articolo di circa otto mesi fa – ha versato cinquantamila euro di contributi che in caso di voto anticipato andrebbero persi. I quattro anni sei mesi e un giorno scattanomil 24 settembre del 2022. Si immaginerebbe quindi che nessun parlamentare volesse interrompere la legislatura prima di quella data. Ma la legge stabilisce che ciascun parlamentare resta in carica fino alla prima seduta del Parlamento successivo”. Perciò l’operazione salvataggio per quel 68 per cento dei deputati ( 427 neoeletti) e per quel 73 per cento (234 neoeletti) dei senatori che rischiavano di perdere la pensione è andata a buon fine.
E naturalmente al di là delle dichiarazioni di rito e degli apparenti buoni propositi di confrontarsi sui programmi è partita la corsa alla candidatura dei nostri politici, new entry o a caccia di riconferme. Già, perché quella famosa diminuzione degli eletti 230 in meno alla camera dei deputati e 115 in Senato, di fatto hanno reso più problematico un possibile successo. Oltretutto con una campagna elettorale tanto anomala quanto breve.
Insomma a torto o a ragione quelle urne cinerarie e quel clima da funerale potrebbero essere davvero emblematici per molti aspiranti parlamentari.
Zombie e superzombie
E quindi da destra a sinistra, passando per il centro e sino ai cinque Stelle, è tutto un fiorire di voci sulle candidature.
Beppe Grillo, dall’Elevato al Supremo, passando per l’Illuminato, intanto punta i piedi sul limite della doppia candidatura, quella che aveva contraddistinto lo slogan della scatoletta di tonno. E ammette Grillo sul suo blog: “Non esiste un vento favorevole per chi non sa dove andare, ma è certo che per chi va controcorrente il vento è sempre sfavorevole. Sapevamo sin dall’inizio di dover combattere contro zombie che avrebbero fatto di tutto per sconfiggerci, o ancor peggio, per contagiarci. E così è stato: alcuni di noi sono caduti, molti sono stati contagiati.
Ma siamo ancora qui e alla fine vinceremo perché abbiamo la forza della nostra precarietà: siamo qui per combattere, non per restare, e questa nostra diversità è spiazzante per gli zombie”. E a parte il clima un po’ “Stringiamoci a coorte” un po’ “Star Wars” il post continua sotto al titolo: “L’Italia si desti”. Insomma, il messaggio va dritto al problema. E prosegue Grillo: “Compiangiamo chi di noi è caduto e non ha resistito al contagio degli zombie. Ma soprattutto ringraziamo chi di noi ha combattuto e combatte ancora. Per alcuni è il tempo di farlo con la forza della precarietà, perché solo così potremo vincere contro gli zombie, di cui Roma è schiava. Onore a chi ha servito con coraggio e altruismo, auguri a chi prosegue il suo cammino! Stringiamoci a coorte! L’Italia ci sta chiamando”.
Richiamo di Beppe, l’elevato, il supremo o l’Illuminato, fate un po’ voi, ignorato da Luigi Di Maio, già conosciuto come. “Giggino il bibitaro” in epoca precedente alla fondazione dei gruppi parlamentari di Insieme per il futuro, che nel frattempo annuncia di aver siglato un accordo con il sottosegretario Bruno Tabacci, l’highlander della Dc, fondatore di Centro Democratico. Insieme lanceranno un progetto comune per l’evoluzione di Insieme per il futuro. Più prosa che poesia spiegano i maligni. Il più giovane ha chiesto l’aiuto dell’esperienza del pluritransfuga ex democristiano ed ex berlusconiano con ben sei legislature alle spalle. Come dire… alla faccia degli zombie.
Intanto si preparano altri addii eccellenti, a meno di possibili transumanze in qualche altro gruppo politico. Altrimenti lasceranno Il presidente della Camerata Roberto Fico. Cambierà strada la senatrice Paola Taverna. E ancora torneranno a casa Alfonso Bonafede, predecessore di Andrea Orlando al ministero della giustizia, Vito Crimi, senatore e per oltre un anno e mezzo capo politico ad interim del Mobimento Cinque Stelle. Infine lascerà la carriera politica l’ex ministro alle infrastrutture e ai trasporti Danilo Toninelli per tornare alla sua precedente attività di liquidatore di sinistri.
Insomma chi parlava in qualche modo di merito ed acquisita esperienza istituzionale è servito.
PD, Orlando, Pinotti e molto altro
E comunque, mentre i programmi almeno un po’ latitano, anche perché in fin dei conti non sono talmente basilari per stringere alleanze, contano di più le spartizioni di collegi sicuri con l’individuazione dei potenziali candidati sicuri.
Per esempio nella recente direzione provinciale del Pd si è arrivati a chiedere uno dei due posti blindati per un candidato genovese. Fermo restando che il ministro uscente, lo spezzino Andrea Orlando e la senatrice uscente genovese Roberta Pinotti, verranno spediti a vedersela in un seggio più o meno sicuro fuori regione. E vabbè in caso di doppia riconferma si tratterebbe della quinta legislatura per il ministro della giustizia e vice di Letta e della sesta, tra Senato e Camera, per l’ex ministro della difesa del governo Renzi. Come dire che negli altri partiti i virus degli zombie contagiati alberghi da diversi anni. Comunque, oltre ai politici di lunghissimo corso , a seguire altri candidati eccellenti. Da Alessandro Terrile avvocato ed x capogruppo in consiglio comunale a Cristina Lodi rieletta a palazzo Tursi. E ancora dalla stessa Valentina Ghio a un redivivo Lorenzo Basso. Per finire con Federico Romeo. Con manuale Cencelli utilizzabile per quanto riguarda le correnti, che sono tante. E ultima decisione a Roma.
E poi c’è il centro, grande o piccolo che sia, con Azione di Carlo Calenda che ha fatto il pieno di donne in uscita da Forza Italia. Non a caso due ex ministre dell’esecutivo Draghi, sia Mariastella Gelmini – il ministro dell’Universita con la supergaffe dei neutrini- che Mara Carfagna (ministro per il sud che più recentemente si è dimenticata di elencare la Calabria fra le regioni del sud del paese). Già Calenda che dopo aver schiacciato l’occhio al sindaco di Genova Marco Bucci ora prova almeno un po’ ad irretire il Governatore Giovanni Toti per riportarlo a sinistra e gli ricorda le sue origini socialiste.
Perché alla fine il problema di chi è tirato per la giacchetta, da sinistra a destra, e sta al gioco dell’ “ago della bilancia” è soprattutto quello di riuscire a sistemare nel miglior modo possibile i suoi candidati di riferimento.
E il Governatore Giovanni Toti che come gli aghi della bilancia è costretto ad oscillare con il suo “Coraggio Italia” da destra a sinistra e viceversa, e poi ancora a rioscillare, psta al gioco nel tentativo di abbinare il maggior numero possibile dei suoi candidati eccellenti a collegi sicuri. Con tanto di corteggiamento di FdI in grande crescita e disposta a sacrificare qualche collegio eccellente. I nomi dei papabili sono più o meno sempre gli stessi. Dal senatore uscente Sandro Biasotti, anche lui a caccia della quarta legislatura consecutiva tra Camera e Senato, all’assessore regionale Ilaria Cavo, da Marco Scajola a Giacomo Giampedrone. Senza nemmeno escludere Laura Lilli Lauro. Però Toti dimostra scaltrezza e gioca al rialzo. Come? Semplice, rimandando tutti al programma e ignorando il diktat dei leader, dallo scalpitante Berlusconi al “cosacco”Salvini, dalla Giorgia che lancia il tema del bipolarismo, incalzando Letta, allo stesso Letta che incassa l’ennesimo “Enrico stai sereno” proprio dal suo avversario “ossessione” Matteo Salvini.
E dunque temi caldi e poco altro. I programmi finalmente. Spiega Giovanni Toti in un post: “Italia al Centro parte dai temi cari al Paese e agli italiani, non dai leader. Oggi abbiamo presentato il nostro programma e ogni confronto con le altre forze politiche inizierà da qui, dalla capacità di occuparsi dei problemi reali e del futuro dell’Italia”. Cortine fumogene per introdurre argomenti un po’ più interessanti con seggi, poltrone e un posto al sole.
Forza Italia, quei candidati calati dall’alto
Il coordinamento provinciale di Forza Italia intanto punta sui figlioli prodighi di ritorno, su quelli che in passato avevano in qualche modo sofferto un partito in crisi e senza rinnovamento e candidature calate dall’alto. Dall’attuale direttore de “Il Giornale” Augusto Minzolini, all’ex direttore di “Panorama” Giorgio Mule’. Il coordinatore ligure Carlo Bagnasco svela un centralino caldo per le chiamate di chi vuole rientrare. Dopo il periodo del “rottamatore” dem Matteo Renzi per FI pare sia scattato il momento dell’usato sicuro con l’ottuagenario Berlusconi che in qualche modo sogna ancora il preemierato. E siccome l’lettorato deve essere sicuro, anzi deve sostenere l’usato sicuro, i nomi sono più o meno sempre gli stessi. Con gli uscenti Roberto Bagnasco, Roberto Cassinelli e Giorgio Mule’. Con il figlio di Roberto, il sindaco di Rapallo e coordinatore Carlo Bagnasco che si fa da parte di buon grado.
A fari spenti Fratelli d’Italia, che nell’ultima legislatura non annoverava parlamentari eletti in Liguria. Fra i probabili papabili Matteo Rosso, l’ex consigliere regionale e attualmente coordinatore regionale.
Ultima candidatura eccellente in casa Lega quella di Edoardo Rixi, fedelissimo di Matteo Salvini a cui spetterà con ogni probabilità il ruolo di mattatore insieme a quello di Francesco Bruzzone, anche lui uscente, ma da palazzo Madama.
Insomma vi parleranno e riparleranno dei programmi, e di possibili convergenze, ma in punta di piedi e sotto sotto, la partita in gioco, da qui alle prossime settimane e sino a ferragosto, sarà quella dei seggi e dei collegi sicuri. Perché in una situazione fluida, e alla periferia dell’impero, quello che vale più di tutti è il posto al sole. Quello che garantisce retribuzione e versamenti per vitalizio e pensione. E in un paese a rischio default e con una povertà a livelli record non è davvero poco.
Paolo De Totero
Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta