Kazakistan, il prezzo della stabilità è sparare su chi manifesta

Un paese grande come l’Europa sull’orlo della guerra civile

È là in mezzo, grande come l’Europa ma con soli 19 milioni di abitanti. Non ha sbocchi al mare, ma è uno dei principali crocevia politici ed economici dell’Asia Centrale. Il Kazakistan rappresenta un corridoio economico per la Cina, è stato un alleato importante per la Russia e ha mantenuto sempre buoni rapporti con l’Occidente. Dopo aver subito per tre decenni la politica dura di Nersultan Nazarbaev, dal 2019 è guidato da Kasym-Žomart Kemelevič Tokajev.
Il passaggio di potere doveva servire ad accelerare una serie di riforme politiche e di trasformazioni sociali che erano attese da molto tempo. Il cambio di passo, mai avvenuto con il nuovo governo Tokajev, ha deluso soprattutto le aspettative delle generazioni più giovani e ha portato alle prime proteste di piazza.

Ma non è tutto qui.
La tentazione di internazionalizzare il conflitto, soffiando sul sospetto che attori esterni possano aver contribuito allo sviluppo dei disordini, fa perdere di vista un fattore decisivo, che potrebbe essere la causa scatenante dei disordini.

Un paese in mezzo al guado

Negli ultimi 50 anni il paese si è modernizzato e urbanizzato, ma una parte di kazaki, dirigenti compresi, è rimasta legata alla cultura nomade e quindi all’appartenenza ai clan, alle famiglie.
E quando nel 2019 la politica kazaka ha deciso di effettuare un passaggio di consegne “guidato” dalle mani di Nazabajev a Tokajev, che ha anche cominciato a sostituire i vecchi dirigenti, qualcosa è andato storto. Nonostante la nomina di Nazarbayev a capo del Consiglio di sicurezza.
Qualche politico di prima fascia che si è visto soffiare il posto nei ruoli decisionali di uno dei paesi chiave dell’AsiaCentrale, ha avuto la scusa perfetta dell’aumento delle bollette per dare il via alle proteste e cavalcare il malcontento della popolazione.

Una protesta che conta decine di morti e migliaia di arresti

Quella che poteva sembrare una protesta circoscrivibile, ha avuto un’accelerazione quando i manifestanti hanno preso il controllo dell’aeroporto di Almaty, la città più grande del Kazakistan.
A questo punto, in un messaggio alla nazione, Tokajev ha chiesto l’intervento dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO), un’alleanza militare di Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.
Ma non solo. Il presidente ha annunciato di aver dato l’ordine di sparare sui manifestanti sostenendo che “i terroristi continuano a danneggiare la proprietà statale e privata e ad usare armi contro i cittadini, per questo ho dato l’ordine alle forze dell’ordine e all’esercito di aprire il fuoco per uccidere”.
In una dichiarazione di ieri, venerdì 7 gennaio, il Ministero dell’Interno ha affermato che “26 criminali armati sono stati uccisi e 18 sono rimasti feriti”. Ma ci sarebbero anche 3.000 arresti secondo le informazioni che arrivano l’emittente statale Khabar 24.

L’intervento massiccio di Putin nella “pacificazione” del Kazakistan ha destato non poche perlessità nella comunità internazionale. Ma è anche vero che la Russia, oltre ad aver avuto l’invito ufficiale del Governo kazako nell’intervento militare, condivide con il Kazakistan circa 8.000 km di confine, in un’area instabile, dal 2014 dopo le proteste in Ucraina, e dal 2020 dopo gli scontri in Bielorussia.

Che cosa prevede il Trattato CSTO

L’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva, che ha preso forma nel decennio tra il 1992 e il 2002, comprende i paesi dell’area post-sovietica: Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan.

I Paesi partecipanti devono rispettare un patto di non aggressione e attualmente tutti gli stati dell’organizzazione hanno concordato di astenersi dall’uso o dalla minaccia della forza.

L’aggressione contro uno degli stati membri è considerata un’aggressione contro tutti gli altri.

La presidenza dell’organizzazione è assegnata ad uno dei paesi membri a rotazione e attualmente il capo del Consiglio di sicurezza collettiva della CSTO è il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, che ha annunciato in prima persona la decisione di inviare forze di pace della CSTO in Kazakistan.

L’intervento di “peace keeping” nel trattato della CSTO, infatti, è previsto anche nel caso di disordini di massa, o per la salvaguardia dei diritti umani, la difesa delle strutture vitali, e la separazione delle parti in conflitto. Ma sarà difficile per i militari dell’organizzazione  distinguere tra la difesa dei diritti umani e la repressione dei disordini di massa, in quella che ha tutte le caratteristiche di una guerra civile.

fp

Fabio Palli

Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.