Pandemia: credenze e profezie
Siamo giunti ai titoli di coda, al momento in cui si stilano i bilanci. Personali, o meno. Al momento In cui ci si chiede, intimamente e andando a ritroso, se il film in cui siamo stati più o meno protagonisti, o più probabilmente comparse, o a cui, magari, ci e’ capitato soltanto di assistere, ci ha soddisfatto. Almeno un po’. Anche perché va in archivio un “annus horribilis”, degno di una profezia di Nostradamus, con terremoto finale e segnali di scricchiolii preoccupanti per chi ci crede. Dalle profezie all’apocalisse. Dalle 10 piaghe d’Egitto – tra rane, zanzare, mosche velenose, grandine e locuste – agli errori di calcolo sulla profezia Maya. Dai moniti della natura che ci si sta rivoltando contro al riscaldamento globale o surriscaldamento climatico. Tra scienza, leggende, superstizioni e credenze.
Dal tricapodanno alla pandemia
E dire che non era cominciato male. Con un “Tricapodanno”, uno e trino… come fosse il simbolo di una sorta di immarcescibilità dell’abbinata Toti/Bucci saldamente al comando e molto molto vicino all’autodeificazione. Per dire l’uno ha superato indenne la tornata elettorale postquinquennio ed è stato riconfermato dagli elettori, l’altro ha brillato con i suoi cronoprogrammi sino alla inaugurazione a tempo di record del ponte San Giorgio e ha fatto filtrare la notizia che si ricandiderà alla carica di sindaco per subentrare a se stesso nel 2022.
Epperò poi, quando meno ce lo aspettavamo, nel bel mezzo c’è stato tutto il resto. Quei cinesi bardati con le mascherine che sembravano tanto un trailer di un film di fantascienza, fino al paziente uno, ai ricoveri, alle terapie intensive allo stremo, al lockdown, al “c’è la faremo”, all’ “Azzurro” intonato dai balconi, al “scendo il cane e lo piscio”, lo smart working, le scuole chiuse, le lezioni in presenza e poi in assenza. I funerali, i necrologi, le rsa infestate, i decessi senza un ultimo saluto e quell’immagine di quella fila di camion militari carichi di bare in partenza dall’ospedale di Bergamo e diretti al camposanto e al crematorio. Con tanto di stime e numeri, di contagiati, di tamponati, di decessi, di andamento della pandemia. Di ricette dei virologi che per presenza si sono sostituiti agli chef. In una sorta di Masterchef della pandemia e di chi dallo schermo te la cucinava meglio.

La vestale dei negazionisti
E poi c’è stato il rallentamento, o presunto tale, in corrispondenza con l’estate, il ferragosto e la voglia di elezioni regionali. In attesa della seconda ondata, tra negazionismi- la Angela di Mondello del “non ce n’è Coviddi”, balzata all’onore delle cronache, tanto da aprire un account su Instagram e su Tik Tok, con migliaia di follower – e le notizie sui vaccini. Seconda ondata che regolarmente si è verificata. Con zone gialle, arancioni e rosse, negozi chiusi, bar e caffè da asporto, delivery, prese di posizione perché Natale senza piste da sci non può essere Natale. Fra cenoni vietati e calcoli di congiunti, parenti, under 14. Un Natale e un capodanno di incertezze. Mentre fra le proteste generali, un mio amico e collega in età ricordava tra le invettive dei negazionisti e degli sciatori frustrati che in fondo di Natali lui, da bambino quasi adolescente ne aveva passati almeno due all’interno di un rifugio antibombardamenti. Gia’, erano tanti anni fa e qualcuno con un residuo di memoria avvertiva…. pensate se fosse accaduto tutto questo negli anni settanta, quando non esistevano i telefonini e i pc e la rete era una cosa da film di fantascienza o quella dei pescatori.
E poi negli ultimi giorni, di fronte alla notizia delle prime distribuzioni della panacea con tanto di inoculazione del vaccino – a proposito, badate bene alla distribuzione delle vocali che un noto quotidiano ci ha fatto una figura barbina, che poi magari inconsciamente l’errore è solo frutto di una predisposizione mentale verso il vaccino stesso – i negazionisti si sono tramutati in no vax, con tanto di insulti a chi, anche per ovvie ragioni di lavoro si è sottoposto alla vaccinazione. Infermieri e medici eroi e infermieri e medici vessati.

Il dibattito sulla salvezza dei vaccini
E l’anno che verrà, almeno per i primi mesi, sarà tutto dedicato al dibattito sui vaccini, quelli già testati, quelli inoculati e quelli che verranno. E annessi e connessi, dai guadagni delle case farmaceutiche alla distribuzione delle dosi, fino alla barzelletta dell’acqua calda fra stati ricchi e potenti che potranno goderne sin da subito a quelli che aspetteranno, come sempre, i miracoli del capitalismo trasformati in solidarietà e beneficenza, come una qualunque partecipazione a Telethon per lavarsi almeno un po’ la coscienza.
Perché se poi su una cosa può aver influito questa pandemia è stato proprio sulle nostre certezze acquisite, e sulla trasformazione dei nostri tran tran quotidiani che spesso ci raccontiamo essere la nostra vita. Con la costrizione a dover prendere in considerazione la percezione degli altri, quelli che sono intransigenti e quelli che transigono, quelli che sono coscienti dell’esistenza degli altri e quelli che pensando solo a se stessi non li prendono nemmeno in considerazione. Con quell’idea di collettività che ormai spesso vacilla vittima del proprio opportunismo e dell’incapacità a negare qualsiasi cosa a se stessi.
L’anno che è stato sarebbe dovuto servire a prendere in considerazione l’opportunità di riconsiderare tutto questo. Quello che verrà, invece, ci servirà a riconsiderare che pandemia o non pandemia non è servito a niente e che in fondo l’individualismo, più o meno esasperato, è il verbo dell’epoca in cui transitiamo e che va per la maggiore. Con l’illusione rassicurante di essere sempre connessi e al centro dell’universo e l’incoscienza di esserne sempre più emarginati, anche virtualmente.
E non so se trovare qualche metafora che rappresenti il momento storico tra le piaghe d’Egitto, i cavalieri dell’Apocalisse o le profezie di Nostradamus, o se basti ad indicarci che la fine potrebbe essere a portata di mano in virtu’ delle nostre prepotenze e sfruttamenti sulla natura che ci hanno portato al surriscaldamento e allo scioglimento dei ghiacci e dei ghiacciai. Sarebbe bello raccontarsi o continuarci a raccontare che vorremmo lasciare un altro mondo ai nostri figli, e ai nostri nipoti, sempre che sia possibile. E scambiare questa pandemia per l’ultimo o il penultimo avvertimento. Epperò so per esperienza, e perché ne ho viste tante, che passato qualche tempo tutto tornerà a quella che noi individuiamo come normalità. Credo sia più forte di noi. E faccia parte del nostro stile di vita e egoistico modo di essere.

Quarant’anni fa l’attesa del futuro
Mi piacerebbe soltanto che iniziassimo con un esercizio semplice, quello di aumentare le dosi di gentilezza verso gli altri. Il resto potrebbe venire da solo.
E per il resto c’è il vecchio saggio che non c’è più da qualche tempo. È la canzone del mio servizio militare, periodo in cui per forza di cose e un po’ piu giovane occorreva pensare ad un futuro migliore. Anni di attentati, di Br, di Governi in crisi e di austerity. Era circa quarant’anni fa. Ma i cicli poi sembrano poi quasi tutti eguali, a chi non dispone di buona memoria.
I versi della canzone comunque sono questi:
Caro amico, ti scrivo, così mi distraggo un po’
E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò
Da quando sei partito c’è una grande novità
L’anno vecchio è finito, ormai
Ma qualcosa ancora qui non va
Si esce poco la sera, compreso quando è festa
E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra
E si sta senza parlare per intere settimane
E a quelli che hanno niente da dire
Del tempo ne rimane
Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
Porterà una trasformazione
E tutti quanti stiamo già aspettando
Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno
Ogni Cristo scenderá dalla croce
Anche gli uccelli faranno ritorno
Ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno
Anche i muti potranno parlare
Mentre i sordi già lo fanno
E si farà l’amore, ognuno come gli va
Anche i preti potranno sposarsi
Ma soltanto a una certa età
E senza grandi disturbi qualcuno sparirà
Saranno forse i troppo furbi
E i cretini di ogni età
Vedi, caro amico, cosa ti scrivo e ti dico
E come sono contento
Di essere qui in questo momento
Vedi, vedi, vedi, vedi
Vedi caro amico cosa si deve inventare
Per poter riderci sopra
Per continuare a sperare
E se quest’anno poi passasse in un istante
Vedi amico mio
Come diventa importante
Che in questo istante ci sia anch’io
L’anno che sta arrivando tra un anno passerà
Io mi sto preparando, è questa la novità.
Gia, io mi sto preparando. Per il resto fate un po’ voi. E comunque tanti auguri a tutti. In coscienza vostro
Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.