Il genocidio degli Uiguri in Cina

Da tempo si susseguono segnalazioni e notizie da tutto il mondo dell’informazione che testimoniano la deportazione di Uiguri da parte della polizia cinese. Hanno fatto il giro del mondo le immagini  e i video di centinaia di queste persone bendate e con le mani legate alle spalle che attendono di venire caricate su convogli per il trasferimento coatto in altre regioni della Cina. Questo tipo di attività viene portato a termine tramite veri e propri rastrellamenti attuati da famiglia in famiglia.

Un popolo di 10 milioni di persone

Gli Uiguri sono un popolo di circa 10 milioni che vive nella regione autonoma dello Xinjiang Uygur (Xuar) nella Repubblica popolare cinese, prevalentemente di fede islamica. Un popolo con una storia molto antica, risalente come esordi all’anno 323, che professava inizialmente fede buddista. Di lingua turca, guerrieri e fieri commercianti di cavalli, hanno visto la loro posizione divenire in tempi recenti sempre più difficile a causa del terrorismo mondiale e di alcuni attentati organizzati da frange di questo popolo con rivendicazioni di diritti civili e di autonomia.

Popolo perseguitato

Anche il Papa, dopo un lungo periodo di disattenzione da parte del Vaticano su quanto accadeva in Cina, nel suo libro “Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore” ha chiaramente scritto «penso spesso ai popoli perseguitati: i Rohingya, i poveri Uiguri [e] gli Yazidi». Una affermazione che ha avuto ridondanza mondiale ed ha provocato la reazione stizzita del governo cinese. Pechino ha negato e continua a negare l’esistenza di campi di detenzione, parlando di semplici centri di rieducazione anti terroristica e formazione professionale. Il mondo del giornalismo internazionale, però, avvalendosi di documentazione sfuggita alla rigida censura, scrive e parla della più grande deportazione di massa dal dopoguerra. I China Cables, quattrocento pagine di documenti sfuggiti alla censura, hanno posto all’attenzione mondiale nell’anno 2019 quanto ormai da anni accade nel Paese.

Prigionieri per raccogliere cotone

L’autorevole quotidiano online Bitter Winter ha rincarato la dose, pubblicando oltre a video inequivocabili e dati rilevati dall’Australian Strategic Policy Insitute che tramite immagini satellitari ha rilevato la presenza nello Xinjiang di 380 campi di internamento corredati da sistemi di fortificazioni per la detenzione di prigionieri.
Le riprese satellitari hanno anche registrato flussi enormi di prigionieri che si spostano durante il giorno dai campi di detenzione ai campi di raccolta del cotone, in una zona come lo Xinjiang dove fino a qualche anno fa la presenza di manovalanza per soddisfare la raccolta del cotone rappresentava un problema. Attualmente a quest’area attingono le maggiori trenta multinazionali del tessile, delle quali solo quattro rifiutano la materia prima se  proviene da queste zone in cui viene praticato il lavoro coercitivo.

Nuovi schiavi?

In una recente indagine giornalistica della BBC è emerso che almeno mezzo milione di lavoratori dell’etnia Uguri dopo la deportazione nei campi di lavoro viene impiegato nella raccolta di cotone in una zona del mondo che produce circa un quinto del fabbisogno mondiale. Accanto ai campi di detenzione sono così sorte come funghi anche industrie tessili. Anche in questo caso la Cina ha giustificato questo impiego di manodopera come un mezzo per contrastare la povertà e incentivare la professionalità di questo popolo, distogliendolo da iniziative illegali o peggio terroristiche.

Amnesty International ha più volte stigmatizzato condanne inflitte con la generica causale di “sovversione del potere dello Stato” alle quali seguono periodi di detenzione in luoghi non ufficiali, dove il rischio di tortura è altissimo. Questo tipo di politica rientra in un modus operandi ormai noto a chi si occupa di diritti civili: ad ogni soggetto detenuto viene attribuito un “credito sociale” che aumenta o diminuisce in base a dei bonus o dei malus che fanno accrescere o decrescere l’affidabilità del cittadino cinese.

Ormai la regione dello Xianjing è divenuta uno dei luoghi più sorvegliati e video/sorvegliati del mondo. In cinque anni risultano installate in tutto il Paese circa duecento milioni di telecamere, alle quali è addetto un piccolo esercito di sorveglianti. Di circa quattro milioni di unità è composto l’esercito di guardiani del web che sorvegliano quotidianamente internet, una spina nel fianco del regime cinese. Spesso sono proprio i contatti sui social con parenti all’estero a generare il sospetto, l’identificazione, l’arresto e il trasferimento nei campi. Sono diverse centinaia gli uiguri che dall’estero non hanno più notizie di congiunti, familiari, parenti, trasferiti in questi non-luoghi.

L’atteggiamento sovversivo viene riconosciuto anche in attività apparentemente normali, come non bere alcolici, lasciare crescere la barba in un certo modo, per le donne portare il velo. Disordini indipendentisti si sono verificati fin dagli anni novanta e poi nel 2014. Questo ha portato ad una indiscriminata e costante azione tesa a cancellare l’identità e la lingua di questo popolo.

Mauro Salucci

 

SALUCCI  SUL WEB
Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzato  cultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici. Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di  “Taccuino su Genova” (2016) e“Madre di Dio”(2017) . “Forti pulsioni” (2018) dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova.

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