Calcolata l’impronta dello sviluppo urbano sugli oceani: divorati dal cemento 2milioni di km quadrati

Calcolata per la prima volta l’impronta dell’uomo, dai porti, ai ponti, ai parchi eolici. Gli studiosi: “Un grave problema fino ad oggi poco considerato”

Barriere artificiali, porti commerciali e turistici, tunnel e ponti, piattaforme petrolifere, parchi eolici, infrastrutture per l’acquacoltura avanzano nei mari di tutto il mondo, hanno ‘divorato’ fino ad oggi  una superficie di oltre 2 milioni di chilometri quadrati in termini di modifica permanente di habitat e impatto sugli ecosistemi e biodiversità.
Impatto destinato a crescere ulteriormente del 50-70% nei prossimi otto anni. Da qui l’urgenza di un piano ‘green’ anche per le coste.

Due studi internazionali sulle città costiere

Questo il quadro tracciato da due studi internazionali, uno pubblicato su Nature Sustainability, ‘Current and projected
global extent of marine built structures’ che ha stimato l’impronta; e l’altro, sulle possibili soluzioni, ‘Emerging
Solutions to Return Nature to the Urban Ocean’ pubblicato sulla Annual Review of Marine ScienceAnnual Review of Marine Science.
“L’aumento costante degli ambienti marini che vengono permanentemente modificati dalla presenza di costruzioni, con effetti in molti casi irreversibili, è un grave problema fino ad oggi poco considerato”, spiega Laura Airoldi, delle Università di Bologna e di Padova che ha partecipato agli studi.
In particolare, la superficie che queste strutture occupano a livello globale all’interno delle zone economiche esclusive
(l’area di mare sotto la gestione dei singoli Stati che può arrivare fino a 200 miglia dalla costa) – spiegano i ricercatori
– è in proporzione paragonabile all’estensione del suolo urbano rispetto al totale della terraferma. Si tratta di un’area che gli studiosi hanno stimato oggi in almeno 32.000 chilometri quadrati di infrastrutture, che tuttavia modificano oltre 2 milioni di chilometri quadrati se si considera il totale dell’area di oceano che subisce l’impatto permanente della presenza di queste infrastrutture, con cambiamenti nelle caratteristiche del fondale, nei movimenti delle acque, nella presenza di varie forme di inquinamento, e nella distribuzione delle specie.

Come rimediare?

“Fortunatamente, però – sottolinea Airoldi – esistono oggi numerosi approcci emergenti che possono favorire uno sviluppo più sostenibile degli ambienti marini urbanizzati”. È necessario innanzitutto, dicono i ricercatori, sviluppare anche in mare criteri di edilizia “verde” che garantiscano la sostenibilità.
In parallelo, azioni mirate di ripristino di habitat marini che offrono una protezione naturale contro erosione e inondazioni delle aree costiere, quali la vegetazione delle barene, le dune di sabbia, e i letti di ostriche, meglio dei muri di cemento.
Poi lo sviluppo di nuove biotecnologie per l’ambiente marino per ripulire e rivitalizzare le aree contaminate. Importante anche il capitolo di nuovi strumenti economici e incentivi. “Riuscire a bilanciare le diverse necessità sociali ed economiche delle città costiere, garantendo al tempo stesso la difesa degli ambienti marini – conclude Airoldi – è una delle sfide più grandi del nostro tempo”.

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