Villa Mariani, un’eccellenza dimenticata dalla politica ma che fa gola alla ‘ndrangheta

Bordighera (IM) – Gli affari sporchi della ‘ndrangheta, le memorie di un collaboratore di giustizia, le influenze della massoneria e un caveau svaligiato.
Gli ingredienti del romanzo giallo ci sono proprio tutti. Compreso un disegno di Degas ricercato in tutto il mondo e, si sospetta, caduto nelle mani di qualche narcos in cambio di una partita di droga.
Una moltitudine di tasselli che si inseguono, ognuno più inquietante dell’altro, da quando Carlo Bagnasco ha deciso di acquistare la casa museo di Pompeo Mariani, a Bordighera, e di restaurarla chiedendo un mutuo a Banca Antonveneta.

Il manoscritto di un pentito di ‘ndrangheta

‘Ndrangheta, massoneria, potere bancario e un disegno per accaparrarsi tutto: la villa ottocentesca, l’atelier del pittore e il giardino botanico.
Se fosse davvero un romanzo giallo questa storia comincerebbe con un uomo che scrive. Il suo è un “italiano da geometra” ma il disegno criminale per comprare Villa Mariani “all’asta per pochi spiccioli” lo spiega bene.
L’uomo che scrive è in una cella. Sconta una condanna a 8 anni per un’intimidazione che fece a colpi di lupara sull’automobile di un palazzinaro di Bordighera invischiato con i clan, lo stesso che ora vuole mettere le mani sulla proprietà di Bagnasco.
Il suo nome è Ettore Castellana. E sono sue le memorie nelle mani degli inquirenti che rivelano di un incontro riservato tra l’allora presidente di Monte Paschi, Giuseppe Mussari, e il costruttore.
Siamo nel 2010 e il colloquio, avvenuto durante una cena del club “Amitié Sans Frontières” a Monte Carlo, è chiaro. L’idea è quella di avviare “un altro faraonico intervento edilizio” in riviera: 38 appartamenti da vendere a 20.000 euro al metro quadro, più 60 box piazzati nel giardino botanico.

Ma cosa ne può sapere un condannato di ‘ndrangheta degli spostamenti del numero uno di MPS? Un uomo che per appartenenza sociale ed economica è lontano anni luce dagli ambienti di Mussari?
La spiegazione starebbe tutta nei legami dei tre con la massoneria. Un geometra, un costruttore e un banchiere, che diventano fratelli all’interno di un potere trasversale.
E nel memoriale, conservato agli atti del processo “La Svolta”, Castellana racconta in effetti dell’affiliazione alla Loggia Mimosa di un ex direttore dell’ufficio tecnico del Comune di Bordighera: “Lo frustai io stesso – scrive il pentito -, in qualità di Primo Sorvegliante”.

Il caveau svaligiato

Fermiamoci qui e spostiamoci dai ricevimenti di Monte Carlo ai sotterranei di una filiale genovese di Monte Paschi.
Davanti all’armadio blindato numero 32050 ci sono un ufficiale giudiziario, un fabbro e probabilmente un cassiere. Sono lì per aprire il caveau. Bagnasco non c’è perchè non è stato avvisato, nonostante il caveau sia suo e custodisca 20 chili d’oro in lingotti, gioielli e opere d’arte per 5 milioni di euro.
E non è l’unica volta che qualcuno accede alla stanza blindata all’insaputa del proprietario. È già successo un mese prima, ma questo lo scoprirà solo la magistratura scoperchiando uno scenario sinistro. Sì perchè tra un’apertura e l’altra, il caveau è stato svuotato da qualcuno che possedeva una copia della chiave.

Un debito da saldare subito

Come succede in un giallo, i pezzi di questa storia si ricompongono a poco a poco e tutto torna solo una volta finito il puzzle. L’importante è concentrarsi sui personaggi chiave.
Oltre a Castellana, oltre a Mussari, e al costruttore, c’è un’alta figura importante in questa storia. È il presidente della Fondazione Pompeo Mariani, Carlo Bagnasco.
Bagnasco ha aperto un mutuo con la banca Antonveneta nei primi anni duemila per mettere mano al restauro della villa e dell’atelier.
Succede però che con il passaggio di Antonveneta al gruppo MPS, questo mutuo diventa un debito da saldare subito, così su due piedi come si dice. È il 2010 e a Bagnasco estinguere la rimanenza del prestito, circa 750mila euro, non sembra un problema. Del resto ci sono 20 chili d’oro in lingotti, gioielli e opere d’arte per 5 milioni di euro, protetti nei sotterranei della sua banca.

Ma Bagnasco si sbaglia. I beni custoditi nel caveau spariscono. Tutti. Insieme al girato delle telecamere che è andato distrutto perchè sono scaduti i termini di conservazione delle immagini.
Affossato il curatore, Monte Paschi mette all’asta la proprietà.

Una vicenda senza fine

Oggi il caveau non esiste più ma le ristrutturazioni attuate nella filiale genovese non cancellano il furto nell’armadio blindato numero 32050.
E non cancellano la caparbietà di Bagnasco che pur di salvare il suo sogno e riavere la villa ha pagato un altro mutuo micidiale: 62.000 euro al mese per diciotto mesi per convertire il pignoramento.
Il Tribunale di Imperia ha poi convenuto che questo debito non fosse dovuto in toto, riconoscendo come la Fondazione Pompeo Mariani fosse stata vittima di usura.
Nessuno della banca è stato indagato.

Tempesta in arrivo su MPS?

Per l’immaginario collettivo i romanzi gialli si concludono sempre con un colpevole. Ma non è questo il caso.
La lunghissima vicenda giudiziaria di Bagnasco con la banca al momento è ferma e così i suoi avvocati hanno deciso di dare uno scossone ai vertici di MPS, già in maxi rosso per una serie di richieste danni che toccano i 10 miliardi di euro.
E la botta arriverà con l’istanza per un risarcimento nell’ordine del miliardo di euro, che sarà comunicata con l’ennesima diffida.
Questa volta però ne saranno a conoscenza anche il Ministero dell’Economia, che nel 2017 è entrato nel capitale di Monte Paschi come azionista al 68%, e la BCE.

Servirà a interrompere l’abbraccio letale dei soliti faccendieri massoni e ‘ndranghetisti sulla proprietà di Bagnasco?
Non lo sappiamo. Di certo oggi Villa Mariani è ormai fuori dalle logiche del cemento, protetta dal Ministero dei Beni Culturali.
Ma anche la ‘ndrangheta sta cambiando e la sua caccia ai luoghi dell’arte da usare come lavanderie dei soldi sporchi attraverso i finanziamenti europei per la cultura, è appena cominciata.

Simona Tarzia
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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.