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Sanità & salute

Fase 2, pieni poteri alle Regioni. Cartabellotta: “Governo abdica alla gestione sanitaria, non è sano quando controllato e controllore coincidono”

Maggio 19, 2020
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FASE 2, LA FONDAZIONE GIMBE: “LA GESTIONE E IL MONITORAGGIO DELL’EPIDEMIA SONO AFFIDATI A 21 DIVERSI SISTEMI SANITARI CHE DECIDERANNO IN TOTALE AUTONOMIA AMPLIAMENTI E RESTRIZIONI DELLE MISURE IN BASE A UNA SITUAZIONE EPIDEMIOLOGICA AUTOCERTIFICATA”

La ripartenza tanto attesa si è concretizzata con una giravolta normativa senza precedenti nella storia della Repubblica: il DL 16 maggio 2020 n. 33 (art. 1, comma 16) demanda interamente alle Regioni la responsabilità del monitoraggio epidemiologico e delle conseguenti azioni, con il Ministero della Salute che rimane spettatore passivo da informare sui dati e sulle eventuali azioni intraprese dai governatori. Secondo il nuovo decreto spetta infatti a ciascuna Regione, in totale autonomia, monitorare la situazione epidemiologica nel proprio territorio, valutare le condizioni di adeguatezza del proprio sistema sanitario e introdurre misure in deroga, ampliative o restrittive, rispetto a quelle nazionali.

“L’emergenza Coronavirus – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – e soprattutto la gestione della fase 2 hanno accentuato il cortocircuito di competenze tra Governo e Regioni in tema di tutela della salute, oltre che la “competizione” tra Regioni su tempi e regole per la riapertura. Questo decentramento decisionale dimostra che, sulla tutela della salute, dalla leale collaborazione Stato-Regioni siamo passati ad una “ritirata” del Governo al fine di prevenire  conflitti con le Regioni”.

Le analisi indipendenti condotte dalla Fondazione sul nuovo Decreto rivelano incongruenze costituzionali, oltre che rischi non calcolabili di questo approccio.

COSA DICE LA COSTITUZIONE
La Costituzione affida allo Stato da un lato la legislazione esclusiva in materia di profilassi internazionale (art. 117 lett. q) – come nel caso di una pandemia -, dall’altro l’esercizio del potere sostitutivo a garanzia dell’interesse nazionale nel caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica (art. 120). Tuttavia, a fronte della più grave emergenza sanitaria della storia repubblicana, il Governo sin dall’inizio ha inspiegabilmente scelto di non esercitare i poteri conferiti dalla carta costituzionale.

MONITORAGGIO DELL’EPIDEMIA IN MANO ALLE REGIONI
La decisione di affidare alle Regioni una totale autonomia sul monitoraggio dell’epidemia e sulle conseguenti azioni da intraprendere avviene in un contesto molto incerto e poco rassicurante.
Nel dettaglio, il primo “Report di Monitoraggio della Fase 2” dimostra che le Regioni non hanno fornito a livello centrale tutti i 21 indicatori previsti dal decreto del Ministero della Salute del 30 aprile scorso. In particolare, non riporta nessuno dei 12 indicatori di processo e nel “Quadro sintetico complessivo” dettaglia solo 5 dei 9 indicatori di risultato, peraltro non tutti coincidenti con quanto previsto dal Decreto, e quindi non utilizzabili per l’applicazione degli algoritmi e la definizione del livello di rischio.
Non solo. L’impatto sulla curva dei contagi di qualsiasi intervento di allentamento del lockdown può essere misurato solo 14 giorni dopo il suo avvio: in altri termini, le conseguenze delle riaperture del 4 maggio possono essere valutate solo a partire dal 18 maggio e quelle del 18 maggio lo saranno non prima del 1° giugno.
Infine, dal 3 giugno, data in cui inizieremo a intravedere le conseguenze sulla curva epidemica delle riaperture del 18 maggio, il via libera alla mobilità interregionale e alla riapertura delle frontiere sancirà la libera circolazione su tutto il territorio nazionale anche dei soggetti contagiati.

DOV’È FINITA LA STRATEGIA SANITARIA NAZIONALE PER LA FASE 2?
A fronte di linee guida elaborate da Governo e Regioni per la riapertura delle attività produttive e sociali, non esiste una strategia sanitaria nazionale ma solo variabili orientamenti regionali per bilanciare tutela della salute e rilancio dell’economia. 

Le Regioni hanno una propensione molto diversificata ad effettuare tamponi diagnostici: a fronte di una media nazionale di 61 per 100.000 abitanti al giorno, si va dai 17 della Puglia ai 166 della Valle D’Aosta. In assenza di uno standard nazionale, tali differenze condizionano l’implementazione della strategia delle 3T (testare, tracciare, trattare), permettono un utilizzo “opportunistico” dei tamponi e sanciscono ancora prima della sua introduzione il fallimento dell’app Immuni, che per definizione è uno strumento “tampone-dipendente”.

L’indagine siero-epidemiologica nazionale è partita in grande ritardo e non sappiamo quando saranno disponibili i risultati. Le Regioni peraltro hanno adottato protocolli propri utilizzando test differenti.

Le modalità organizzative per la gestione territoriale dei casi positivi – Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA), isolamento domiciliare in strutture dedicate, prescrivibilità dei tamponi da parte dei medici di famiglia, etc.), sono caratterizzate da immancabili diseguaglianze regionali.

Con queste premesse i DL 16 maggio 2020 n. 33 e DPCM 18 maggio 2020 concretizzano due ragionevoli certezze sulla fase 2: gli indicatori più affidabili per monitorare l’eventuale risalita della curva epidemica non possono che essere i ricoveri ospedalieri e l’occupazione delle terapie intensive, dati al tempo stesso tempestivi e affidabili in quanto raccolti dai flussi ospedalieri. I risultati sul contenimento del contagio sono in larga misura affidati alle responsabilità individuali dei cittadini, attraverso il rispetto delle norme di distanziamento sociale e l’uso delle mascherine.

“È evidente che le decisioni sulle riaperture – conclude Cartabellotta – hanno anteposto gli interessi economici del Paese alla tutela della salute. Tuttavia la dichiarazione del Premier Conte secondo cui si tratta di un rischio calcolato è smentita dall’impossibilità stessa di calcolarlo, perché la gestione e il monitoraggio dell’epidemia sono affidati a 21 diversi sistemi sanitari che decideranno in totale autonomia ampliamenti e restrizioni delle misure in base a una situazione epidemiologica autocertificata. La storia insegna che non è sano quando controllore e controllato coincidono“.

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