Alessandro Manzoni e la peste a Milano

“… Pietro Antonio Lovati, soldato, entrato in Milano addì 22 ottobre dell’anno del signore 1629, il giorno seguente il suo arrivo cadde infermo, colpito da tumore nel cubito del braccio destro con un bubbone sotto l’ascella destra, peste virulenta e contagiosa”.
Questo soldato, alcune volte nominato Pietro Antonio Lovato, altre Pietro Paolo Locati fu il primo ad essere contagiato, ricoverato e il suo corpo si trova ancora oggi sepolto nella necropoli sotto il Policlinico dell’Ospedale Maggiore di Milano, dove il soldato fu ricoverato. È in questo sepolcreto che si trovano gli oltre cinquecentomila corpi dei milanesi periti in un arco temporale dal 1473 al 1659.

Nel 1630 una disgraziata coincidenza fece sì che i ricoverati nel Lazzareto partecipassero al Carnevale della città, diffondendo velocemente il contagio. Oltre alla mancata comprensione delle modalità di contagio, vi furono da parte delle autorità valutazioni sbagliate sulla gravità del fenomeno, oltre a condizioni igieniche che nell’epoca altro non fecero che agevolare la diffusione dell’epidemia. Ad aggravare ulteriormente la situazione l’11 giugno dell’anno 1630 venne organizzata una processione di preghiera che propagò ulteriormente il contagio.

Nell’ambito di questo sito archeologico – probabilmente uno dei più significativi della storia europea – è stato scoperto il nome di quello che fu il primo medico legale della storia, il cui nome era Giovanni Catellani il quale ebbe l’arduo compito di catalogare i cadaveri e di occuparsi dei contagiati. Nacque così la redazione dei Registri dei Morti nella città di Milano dal 1627 al 1697, che conta attualmente ben 200 volumi annotati in latino. Ogni giudizio medico legale era all’epoca di Giovanni Catellani convalidato dal maestro Dionigi di Norimberga, medico ducale della peste. Le registrazioni colpiscono per precisione, data e luogo dell’accadimento, sintomatologia e/o stato del cadavere.

Manzoni scrisse di bubboni, Boccaccio di gavacciuoli, oggi la diagnosi sarebbe gonfiore e infiammazione delle ghiandole linfatiche con febbre alta e macchie scure su braccia e gambe. Questi i sintomi della peste nera che flagellò l’Europa dal 1348 a tutto il Settecento. Gli storici ritengono che il responsabile sia stato un batterio trasmesso dai ratti. È quindi probabile che la trasmissione della peste non avvenisse da uomo a uomo e che il vettore animale fossero probabilmente le pulci dei topi.

I medici del tempo chiamavano questa patologia “male attaccaticcio”. Questa convinzione, che il contagio si propagasse tramite gli umori dei malati, fece sì che si formulasse una convinzione, quella della presenza di “untori” che facevano raccolta di pus per utilizzarlo infettando i portali delle chiese e i portoni di case nobiliari. Ne fecero le spese, secondo i racconti di Giuseppe Ripamonti, tre francesi tratti in arresto e malmenati per avere toccato in modo equivoco le strutture del Duomo. Fu proprio il Ripamonti la fonte delle cronache alla quale il Manzoni attinse per il suo dettagliato resoconto della peste nei “Promessi Sposi”.

La peste comparve per la prima volta nell’Impero Mongolo e fu individuata sul Mar Nero nel 1347. I responsabili del suo arrivo nella penisola italica sarebbero i genovesi, che a bordo di una loro imbarcazione sarebbero sbarcati a Messina. In breve il contagio si propagò ovunque, colpendo i tre quinti della popolazione e rimanendo endemica fino a tutto il Settecento. Lentamente la medicina, con l’incisione dei bubboni e provvedimenti di quarantena, riuscì a controllare gli effetti del suo propagarsi, anche se il 1630  e il 1657 furono anni disastrosi a livello  di mortalità.

In quegli anni la penisola italiana viveva sul lavoro dell’artigianato, che venne falcidiato pesantemente dalle morti, mettendo in ginocchio l’economia. Ma i Comuni non stettero a guardare: soprattutto Firenze e Roma investirono nel controllo sanitario, riuscendo a portare la mortalità del 35% all’8%. In questi decenni la caccia all’untore, insieme alle teorie del complotto, rimasero una costante che proseguì nei secoli come spauracchio sempre presente.

Mauro Salucci

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Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzato  cultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici. Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di  “Taccuino su Genova” (2016) e“Madre di Dio”(2017) . “Forti pulsioni” (2018) dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova.

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