Italia-Cina: il Coronavirus mette a rischio l’economia ligure?

Dopo che l’emergenza Coronavirus ha imposto una frenata all’economia cinese, oggi il dibattito è aperto sulle conseguenze che restrizioni e blocco della produzione potrebbero avere per il nostro Paese: quanto rischiano Genova e la Liguria da questo stop?

La Cina è sicuramente un partner commerciale importante per la nostra regione e per Genova”, spiega il Responsabile dell’Ufficio Economico della Cgil Liguria, Marco De Silva, che poi circoscrive l’impatto chiarendo con i numeri che le dimensioni del nostro interscambio non sono così importanti: A livello ligure la Cina è il 7° paese di importazione e il 5º mercato per le esportazioni, volumi economici che non sono così significativi come si potrebbe pensare. Importiamo merce dalla Cina per poco meno di mezzo miliardo di euro e ne esportiamo per poco meno di 300milioni”.

Lo stesso vale per il turismo, settore economico che ha tenuto banco in questi giorni di dichiarazioni allarmistiche, ma che non vede un record di presenze cinesi nella nostra regione. Continua ancora De Silva: “Se è vero che l’impatto potrebbe essere significativo sulle crociere che nel 2019 hanno movimentato a Genova 1,35  milioni di passeggeri –  e si calcola che su 30 milioni di croceristi che hanno girato il mondo l’anno scorso, 4 milioni siano di origine asiatica –, la realtà è che la Cina non è decisamente il nostro Paese di riferimento per arrivi e presenze turistiche. L’anno scorso sono arrivati in Liguria circa 60.000 turisti cinesi, 28.000 dei quali sono venuti a Genova, per un totale di circa 37.000 pernottamenti. La Cina è il 9º paese di riferimento per gli arrivi e il 16º per le presenze”.
Numeri molto distanti dai primi in classifica, cioè Francia, Germania e Svizzera, che da soli valgono quasi la metà di tutti i turisti stranieri che arrivano in Liguria.

Molto più delicato, invece, il tema della movimentazione delle merci attraverso i contenitori, traffico che per l’80% avviene via mare.
“Gli ultimi dati forniti dal Presidente dell’Autorità Portuale di Sistema, Paolo Signorini“, prosegue De Silva“denunciano per gennaio una contrazione del 5% sui volumi scambiati in Porto, derivata dallo stop delle partenze dalla Cina. Un numero che potrà sicuramente crescere ancora “.
In effetti sono ben sette le linee di navigazione che sono state interrotte per i prossimi tre mesi e, secondo le prime stime del Freight Leaders Council, l’associazione che riunisce i maggiori player della logistica nazionale, la riduzione dei container a Genova potrebbe arrivare fino al 20%. Questo avrebbe pesanti ricadute dirette su tutta la catena logistica: spedizionieri, autotrasporto, magazzini. Già da ora è possibile rilevare fattori negativi per il mercato: i costi per le spedizioni da e per la Cina stanno aumentando, mentre le portacontainer in arrivo nei porti cinesi stanno incontrando diversi disagi, dovuti principalmente alla mancanza di personale per lo scarico delle merci.
“La Cina nei prossimi mesi colmerà certamente il proprio gap produttivo. Quello che non è chiaro né certo è se si potrà tornare alla situazione precedente al Coronavirus”, chiarisce De Silva che pone l’accento su quello che è il sentimento del mercato: Abbiamo come l’impressione che questa sarà un’ulteriore cesura come è stata quella del 2008, e che possa innescare a livello globale un nuovo percorso imponente di recessione”. L’Italia è a un passo dai due trimestri consecutivi di PIL negativo che significano recessione tecnica ed “è sempre stata molto più debole delle altre economie perché molto esposta agli eventi globali che ne condizionano la capacità produttiva e trasformativa. Questa situazione congiunturale dell’emergenza sanitaria in realtà mette a nudo tutti i punti fragili  del funzionamento del nostro sistema, pensiamo ad esempio alla lentezza atavica dei controlli sanitari che rallentano le operazioni di sdoganamento in porto, e della nostra economia. L’Italia è molto reattiva nelle fasi di crisi e apatica nelle fasi di sviluppo”.

NON SOLO CINA: IL BLOCCO DI GRECIA, UNGHERIA E BULGARIA
Parliamo tanto della Cina ma ci sono Paesi a livello di Comunità Europea che stanno facendo ostruzionismo e hanno ridotto le forniture di cereali all’Italia, un allarme lanciato nei giorni scorsi dal Presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti.
“Importiamo da Ungheria e Romania una quota significativa del nostro fabbisogno alimentare di cereali”, conferma De Silva che focalizza come “il nostro sia un Paese che trasforma le materie prime prodotte in altri paesi. Non è autosufficiente, ad esempio, per la produzione della pasta e importa grano da tutta Europa”. Un problema visto che, con la scusa degli autotrasportatori che si rifiutano di trasportare la merce in Italia per paura del contagio, ci arriva soltanto il 10% dei rifornimenti previsti.
Anche la Grecia, da dove importiamo i semi di cotone per migliorare la qualità del latte, ha rallentato le forniture. Se continua così, avremo cereali solo per tre mesi”, conclude De Silva che poi suona la sveglia all’UE: Mi auguro che l’UE dia un segnale forte e intervenga molto duramente. Purtroppo, come spesso accade, il Coronavirus sta diventando un pretesto per giustificare decisioni che poco o niente hanno a che fare con l’epidemia”.

Simona Tarzia

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.