Goli Otok, l’Isola Calva. Il lager di Tito nell’Adriatico.

Goli Otok, l’Isola Calva, dove vennero relegati a centinaia gli oppositori di Tito, colpevoli di essere rimasti fedeli a Stalin. Goli vuole dire “nuda” e il nome è azzeccatissimo, trattandosi di un’isola prevalentemente pietrosa.

Lunga tre chilometri e larga altrettanto, ospitò dal 1949 al 1956 prigionieri politici. Le principali attività per i detenuti erano la produzione di pietrame utilizzando altre pietre per infrangerle; poi la raccolta di sabbia dal mare in tutte le stagioni; infine la rieducazione politica ammettendo il tradimento verso il leader Tito. L’isola cessò di essere penitenziario nell’anno 1988. Dal luglio di quell’anno divenne meta turistica.
Due venti si abbattono sull’isola: la bora e lo scirocco. In questa isola scontarono pene detentive molti italiani fra gli anni ’40 e gli anni ’50 dello scorso secolo.

GOLI OTOK,26.07.2012. FOTO: SNIMIO: SERGEJ DRECHSLER

Racconta Dragan Markovic nel suo “Istina o Golom Otoku” ed. Narodna knjiga-Partizanska  knjiga, Belgrado, 1987: “… Quasi sempre i condannati venivano spediti sull’isola dopo aver fatto tappa nel carcere di Fiume da dove, in gruppi di 30-50, venivano trasportati nottetempo su camion al porto di Buccari. Qui li attendeva la nave Punat nella cui stiva, anche con gravi conseguenze per l’incolumità fisica, venivano letteralmente precipitati, dove quasi soffocavano per mancanza d’aria e con addosso il terrore di essere portati in mare aperto per essere liquidati, perché scomparissero senza lasciar traccia. Il viaggio fino all’isola durava alcune ore, di solito fino all’alba. Poi avveniva la prima tortura con a bordo dei “pentiti”, capibaracca ed “attivisti” armati di bastoni. Seguivano il passaggio dei prigionieri attraverso lo “stroj” detto anche “tropli zec” (lepre calda) con bastonature bestiali. Dopo questo primo “lavaggio” li conducevano nel lager”.
Il campo era organizzato copiando i lager staliniani della Russia, in cui i prigionieri si facevano aguzzini degli altri prigionieri con una organizzazione di capi baracche. Due fratelli giunsero sull’isola a distanza di tre mesi ed il primo arrivato denunziò il secondo. “… per due giorni dovetti rimanere sull’attenti nel piccolo ufficio del capo-baracca, fino a cadere in svenimento, vigilato da due attivisti picchiatori. Dopo di ciò fui mandato ad estrarre la sabbia dal mare con una temperatura bassissima, era gennaio, con l’acqua fino alla cintola. Dopo questa punizione divenni anch’io un cane da caccia, feci la spia…”

 La pratica del “bojkot”.
“Venivano boicottati coloro i quali, all’inizio del soggiorno sull’Isola Calva e dopo la cosiddetta resa dei conti di fronte agli altri prigionieri, non confessavano all’inquisitore ciò che ancora avevano da confessare… Lo scarso cibo riduceva i prigionieri a fantasmi. Ed il cibo fu scarso dal 1949 al 1952: brodaglia per pranzo e cena, al mattino surrogato di caffè con 150 grammi di pane o un cucchiaio di purè. I boicottati eseguivano i lavori più duri correndo. Ogni sera passavano attraverso lo stroj della baracca, in mezzo ai picchiatori, due-trecento prigionieri su due file. Nessuno doveva rivolgergli la parola… Ogni seconda notte per quattro ore dovevano montare la guardia al secchio delle feci, erano anche obbligati a vuotarlo, sicché spesso andavano avanti e indietro tutta la notte”.

Il colonnello medico Jovan Bijelic, inviato a Goli nel 1951 per un’ispezione sanitaria, constatò che ogni prigioniero disponeva nelle baracche di uno spazio di due metri quadrati. Questo nelle notti estive comportava situazioni di collasso e giornalmente nell’infermeria giacevano da 500 a 600 prigionieri mentre almeno il doppio rimaneva nelle baracche impossibilitato a muoversi a causa di lavori durissimi, come il trasporto a spalla di macigni e la frantumazione degli stessi. Durante la permanenza di diciassette giorni il medico annotò complessivamente 42 casi mortali di cui 17 morti per insolazione sulla pietraia, 9 per sfinimento e distrofia, altri per motivi diversi fra cui il suicidio.

Racconta il detenuto Uccio Nefat : “… Non avevo nulla da confessare, perché nulla avevo fatto. Immediatamente balzarono fuori i picchiatori, mi piombarono addosso come falchi… di giorno addetto ai lavori più massacranti come: spaccar pietre e portare sulle spalle enormi pesi, di notte far la guardia al secchio dell’urina, ripulire le latrine. Dormivo si e non due ore per notte, in piedi… le mie spalle erano scorticate a sangue, la camicia era appiccicata alle ferite e nonostante tutto giorno dopo giorno sulle mie spalle piegate e purulenti continuavo a portare una barella a spalla per sei persone per il trasporto di sei massi di pietra. Le ferite finirono per fare i vermi. Quando i vermi, uscendo dalle piaghe, cominciarono a salire su per il collo ed a venire allo scoperto, finalmente mi mandarono in infermeria.”

Lo scrittore e accademico serbo Dragoslav Mihailovic si richiama a testimoni degni di fede, comprese persone che per anni occuparono alte cariche del regime, rivelando un particolare raccapricciante: coloro che emanavano gli ordini eseguiti dagli aguzzini di Goli erano ossessionati dall’idea della necessità di completare l’opera, al momento opportuno, con lo sterminio di tutti i superstiti reduci da Goli. Tale progetto, secondo il Mihailovic, fu seriamente preso in considerazione almeno due volte dagli uomini di vertice del Partito e dello Stato. Enunciato nel 1956, l’anno in cui il lager cessò di ospitare i prigionieri politici per essere trasformato in un normale penitenziario per crimini comuni (sia pure scelti fra i colpevoli dei reati più gravi), il progetto fu preso in considerazione, infatti, all’epoca dell’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche e di altri paesi del Patto di Varsavia, nel 1968, e nel 1980 durante la malattia di Tito che portò il Maresciallo alla morte. Una “Notte dei cristalli jugoslava”.
Mai avvenuta, fortunatamente.

Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzato  cultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici. Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di  “Taccuino su Genova” (2016) e“Madre di Dio”(2017). “Forti pulsioni” (2018) dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova.

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