Giovani al centro, non in trincea: il falso mito della naja
Leggere sui social la “voglia di leva” è facile. Ma voi davvero volete mandare i vostri figli a fare la carne da cannone per nostalgia di chi aveva 20 anni nel secolo scorso? La leva non è una cura miracolosa per disciplina o orgoglio nazionale. Mettiamo i giovani al centro: formazione, lavoro, servizio civile se lo vogliono — non trincee per i nostalgici.
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La sospensione della leva obbligatoria in Italia
Il 1º gennaio 2005 segna una svolta storica per le Forze Armate italiane: in questa data viene sospesa la leva militare obbligatoria, ponendo fine a oltre un secolo e mezzo di arruolamento di massa. E fine anche di un esercito in stile “scopa e paletta”. La decisione, sancita dalla legge 23 agosto 2004, n. 226, ha trasformato l’Italia in un Paese con un esercito interamente professionale, basato su volontari.
Fino ad allora, tutti i cittadini maschi, al compimento dei 18 anni, erano tenuti a prestare servizio militare di leva, la cui durata variava nel tempo e a seconda dell’arma di appartenenza. Chi, per motivi etici, religiosi o ideologici, rifiutava di indossare la divisa, poteva optare per il servizio civile sostitutivo, svolto presso enti pubblici o associazioni di utilità sociale.
Con la riforma del 2004, l’obbligo di leva non è stato del tutto abolito, ma soltanto sospeso: ciò significa che, in teoria, potrebbe essere reintrodotto in caso di guerra o di grave emergenza nazionale.
Parallelamente, è stato istituito il Servizio Civile Nazionale, oggi divenuto Servizio Civile Universale, aperto su base volontaria a ragazze e ragazzi tra i 18 e i 28 anni. Questa esperienza, della durata di circa un anno, consente ai giovani di contribuire attivamente a progetti di utilità sociale, culturale, ambientale o di cooperazione internazionale, rappresentando una forma moderna e pacifica di impegno civile.
La sospensione della leva ha dunque segnato il passaggio da un sistema di obbligo generalizzato a uno di scelta consapevole, in cui la difesa e il servizio alla collettività assumono nuove forme, più in linea con le esigenze e i valori della società contemporanea.
Nostalgia canaglia: la leva obbligatoria e i giovani italiani nel futuro incerto
Negli ultimi tempi il dibattito sulla reintroduzione della leva militare obbligatoria torna prepotentemente fra i temi politici e mediatici in Italia. Non è più soltanto ricordo nostalgico di generazioni passate, ma proposta concreta da parte di alcuni esponenti della politica.
Ad esempio, Matteo Salvini ( che il militare non lo ha fatto) ha depositato il 21 maggio 2024 una proposta di legge dal titolo “Istituzione del servizio militare e civile universale territoriale e delega al Governo per la sua disciplina”, che prevede sei mesi obbligatori per ragazzi e ragazze italiani tra i 18 e i 26 anni, con opzione tra servizio civile o servizio militare. Nello stesso intervento, Salvini ha scritto sui suoi canali social:
“Proprio per questo, la Lega insiste sul suo progetto di legge per reintrodurre una leva universale – civile o militare – di 6 mesi per ragazzi e …”
Negli ultimi anni, anche Fratelli d’Italia (FdI) ha avanzato alcune iniziative parlamentari volte a riprendere, in forma moderna e volontaria, lo spirito del servizio militare. Tra queste, spicca il disegno di legge n. 428, presentato al Senato il 21 dicembre 2022, che propone l’istituzione di un “Servizio nazionale militare di volontari per la mobilitazione”.
L’obiettivo del provvedimento è creare un bacino di cittadini volontari addestrati e disponibili a essere mobilitati in caso di necessità nazionale, contribuendo alla difesa del Paese e al supporto della protezione civile. Il progetto punta a valorizzare il senso civico e la partecipazione giovanile, senza tuttavia reintrodurre la leva obbligatoria.
La proposta di FdI si inserisce in un più ampio dibattito politico e sociale sul tema del servizio alla collettività, che negli ultimi anni ha visto riemergere l’idea di un impegno civico o militare volontario come strumento di coesione e formazione personale.
Ma non manca chi la pensa diversamente. Ad esempio Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha manifestato scetticismo sull’ipotesi della leva obbligatoria sostenendo che le Forze armate abbiano bisogno di professionalità, e che quindi la caserma non sia il luogo adatto per “insegnare ai giovani” la disciplina, il senso di appartenenza alla Patria e gli altri concetti etici e morali che in teoria si dovrebbero apprendere in famiglia. Allo stesso modo, dal fronte politico critico, si sottolinea che i giovani non hanno bisogno di un “elmetto” e di scelte che sembrano più orientate verso un ritorno al militarismo anziché investimenti su lavoro, studio e libertà.
Nostalgia generazionale contro la realtà contemporanea
Molti interventi favorevoli, e sui social si asprecano i giudizi in questo senso, richiamano un modello passato: disciplina, educazione civica, valori che secondo i sostenitori della leva sarebbero persi nella generazione attuale. In alcuni casi si evoca l’idea che le caserme possano “forgiare giovani uomini e donne, oggi considerati rammolliti”, tramite rigore e forme di obbedienza.
Tuttavia, il contesto contemporaneo è ben diverso: maggiore consapevolezza individuale, diritti civili acquisiti, possibilità di formazione tecnica e accademica più estese, e un mondo del lavoro più complesso. La nostalgia rischia di essere una leva retorica più che una risposta adeguata alle sfide attuali.
Chi rischia di diventare “carne da macello” e chi rischia al massimo di slogarsi un dito sulla tastiera
Quando si parla di leva obbligatoria, è facile immaginare che i giovani siano i soggetti principali toccati da questa misura. In caso di conflitti o scenari internazionali critici, molti cittadini idonei (tra 18 e 45 anni) potrebbero essere richiamati.
C’è però un potenziale squilibrio generazionale: chi oggi è anziano non subisce direttamente gli effetti fisici di una eventuale coscrizione, ma può sostenere la retorica nostalgica. Il rischio è che si richiami i giovani come “risorsa sacrificabile” se prevalgono visioni militariste senza considerare le conseguenze personali, sociali e psicologiche.
Il valore educativo: opportunità o imposizione?
I sostenitori sostengono che sei mesi di leva possono essere un’esperienza formativa, un investimento civico, volontariato nella protezione civile, soccorso pubblico o tutela del patrimonio naturale sul territorio locale, riducendo spostamenti lontani dai luoghi di residenza.
Ma ci sono anche voci critiche: qualche studio suggerisce che gli effetti dell’obbligo non siano così uniformemente positivi. Inoltre, l’imposizione di un anno o sei mesi potrebbe far sospendere formazione, lavoro o studio, generare costi economici per lo Stato e per le famiglie.
Aspetti politici e retorici
Dietro le discussioni sulla leva obbligatoria c’è spesso più strategia politica che reale analisi dei bisogni dei giovani. La proposta di legge presentata dalla Lega viene vista non solo come un’idea ideologica, ma anche come uno strumento per rafforzare il consenso elettorale e delineare un’immagine di partito vicino ai valori tradizionali, all’ordine e alla difesa della patria.
Le opposizioni, dal canto loro, spostano il dibattito su priorità percepite come più concrete per i giovani: lavoro stabile, riduzione della precarietà, salario minimo, formazione e istruzione superiore. Obblighi coercitivi come la leva, secondo queste voci, rischiano di essere uno strumento simbolico e poco utile per affrontare le sfide reali della nuova generazione.
All’interno della maggioranza non manca poi la divisione: alcuni alleati guardano con scetticismo alla fattibilità economica della proposta, evidenziando i costi elevati per ristrutturare le caserme dismesse e organizzare un servizio capillare. Altri mettono in dubbio l’efficacia educativa della leva, ritenendo che strumenti civici o di volontariato possano raggiungere risultati più concreti senza imporre un obbligo militare.
Il dibattito appare spesso più come uno scontro di visioni politiche e narrative simboliche, che una discussione centrata sui bisogni reali dei giovani e sulle priorità del Paese che sopperisce con palliativi a mancanze strutturali gravi in ambito di sanità e istruzione.