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Mafia destiny, quando le famiglie entrano in campo

Quattro famiglie, un secolo di sangue e potere. Ieri gestivano il potere a colpi di pistola, oggi usano i server

New York non dorme mai. Lo sappiamo dai film, lo sa chi c’è stato.
Lo sanno i tassisti, i broker di Wall Street e gli uomini che giocano d’azzardo nelle suite di Manhattan. È qui, nella città che ha inventato il sogno americano, che la storia sembra ripetersi: un’indagine federale ha intrecciato la NBA con le famiglie storiche della mafia italo-americana, in un copione che odora, se fossimo in un film di Shaft,  di sigari e denaro sporco.

Il colpo perfetto

Le accuse sono gravi: poker truccato, insider betting, protezione mafiosa, e forse, almeno secondo alcune indiscrezioni, partite ammaestrate.
Tra i nomi che rimbalzano sui giornali ci sono Chauncey Billups, allenatore dei Portland Trail Blazers, e Terry Rozier, guardia dei Miami Heat. Entrambi avrebbero partecipato — secondo l’FBI — a tornei privati di poker dove la fortuna non contava più: carte segnate, telecamere nascoste negli orologi, lenti a contatto capaci di leggere simboli invisibili.

Dietro quella sofisticazione tecnologica, un odore antico: quello di Cosa Nostra, e in particolare di quattro casate che hanno scritto con il sangue la storia criminale di New York — Gambino, Genovese, Bonanno e Colombo.
Le stesse che, per quasi un secolo, hanno controllato tutto: dai porti all’edilizia, dalle slot machine ai sindacati.
Oggi, tornano al centro della scena. Non più con la lupara, ma con le criptovalute e le scommesse digitali.

I Gambino: il potere e la vanità

C’è stato un tempo in cui il nome Gambino faceva tremare la città.
Negli anni Cinquanta, Carlo Gambino era l’uomo più temuto di New York: un boss silenzioso, elegante, quasi invisibile. Mentre le altre famiglie si facevano guerra, lui consolidava un impero fondato su estorsioni e appalti pubblici, mantenendo il sangue freddo anche quando attorno volavano pallottole.

Poi arrivò John Gotti, “The Dapper Don”, il padrino vestito con le migliori firme della moda italiana. Con la preferenza per Ermenegildo Zegna. Negli anni Ottanta, Gotti trasformò l’ombra in spettacolo: si faceva fotografare fuori dal tribunale, rideva in faccia ai giornalisti, offriva champagne ai suoi uomini dopo ogni assoluzione.
Ma l’FBI non rideva. Dopo anni di intercettazioni, Gotti fu condannato all’ergastolo nel 1992.
La sua condanna segnò la fine di un’epoca — ma non della famiglia.

Oggi i Gambino non sparano più. Gestiscono scommesse online e prestiti usurai, muovendo milioni di dollari dietro piattaforme con sede all’estero.
Nell’inchiesta NBA, sarebbero stati i garanti economici dei tornei clandestini: soldi liquidi, protezione, e una percentuale sul giro delle puntate.

I Genovese: i contabili

Se i Gambino erano i re del potere visibile, i Genovese erano i burocrati del crimine.
La loro storia è quella della disciplina e della pianificazione, incarnata da un nome che ancora oggi suscita rispetto: Charles “Lucky” Luciano.
Fu lui, negli anni Trenta, a fondare la Commissione, una sorta di “parlamento” della mafia americana, dove le cinque famiglie regolavano affari e vendette come un consiglio d’amministrazione.

Negli anni Cinquanta, sotto la guida di Vito Genovese, la famiglia consolidò il proprio dominio economico, infiltrando i sindacati dei portuali, i cantieri edili, i trasporti.
Vito non amava la discrezione: ordinò l’omicidio di rivali e amici, fra cui Frank Costello, colpito alla testa da un sicario nel 1957 ma sopravvissuto.
Il messaggio era chiaro: o con me, o sotto terra.

Oggi la Genovese Crime Family opera ancora, anche se con metodi meno teatrali.
Si parla di riciclaggio nel settore edilizio e dei rifiuti, scommesse sportive e prestiti a tasso usuraio.
Nell’indagine NBA, gli uomini legati ai Genovese avrebbero curato la logistica e i flussi di denaro dei tornei di poker, usando conti in paradisi fiscali e società di comodo.
Silenziosi, efficienti, invisibili.
Come sempre.

I Bonanno: la famiglia che volle diventare azienda

Joseph Bonanno sognava una mafia moderna, ordinata, quasi manageriale.
Negli anni Sessanta, scrisse persino un’autobiografia — A Man of Honor — in cui cercava di “ripulire” l’immagine del mafioso. Ma l’onore, nel suo mondo, era un concetto fragile.
Quando i Bonanno provarono a prendersi troppo spazio, le altre famiglie reagirono. Ne nacque una guerra interna che durò anni, con omicidi eccellenti e tradimenti.

Uno dei più sanguinosi avvenne nel 1981: i tre membri del clan Trinchera-Capaldi furono attirati in un appartamento nel Queens e uccisi a colpi di pistola. I corpi furono fatti sparire.
Quel massacro segnò il declino dei Bonanno, ma anche la loro mutazione.
Negli anni Duemila, la famiglia è tornata a crescere, meno violenta ma più astuta, investendo nei prestiti, nelle slot machine e nelle scommesse sportive.

Oggi, dicono i procuratori, i Bonanno fanno da banchieri dell’ombra: offrono credito agli indebitati del poker clandestino, e recuperano i debiti con la minaccia — o la rovina.
Niente più cadaveri nel Queens, ma la stessa ferocia travestita da “finanza alternativa”.

I Colombo sono i sopravvissuti di mille guerre.
Negli anni Settanta si combatterono fra di loro come in una tragedia shakespeariana.
Il boss Joseph Colombo, fondatore della “Italian-American Civil Rights League”, cercò di ripulire l’immagine dei mafiosi presentandosi come attivista per i diritti civili.
Fu colpito da un proiettile in testa nel 1971 durante un comizio a Manhattan. Rimase paralizzato per anni, simbolo vivente dell’ipocrisia di una mafia che voleva farsi rispettare.

I Colombo: i sopravvissuti

Da allora, la famiglia Colombo è sopravvissuta fra faide, arresti e ricostruzioni.
Negli ultimi anni si è specializzata nel racket delle scommesse e nel prestito a tassi usurai nei quartieri popolari di Brooklyn e Staten Island.
Secondo gli inquirenti, nell’affare NBA i Colombo avrebbero avuto un ruolo di “mediazione”: recupero crediti, protezione, contatti tra giocatori e banchieri del sottobosco.
Gli ultimi fedeli a un codice antico, ma perfettamente adattati al XXI secolo.

L’indagine che scuote oggi la NBA non è solo un caso di corruzione sportiva.
È la dimostrazione che la mafia — quella vera, storica, che affonda le radici nell’emigrazione siciliana e nei quartieri italiani di New York — non è mai morta.
Ha solo cambiato linguaggio: meno pistole, più server; meno pizzo, più blockchain.

In un mondo dove le scommesse sportive muovono miliardi, le vecchie famiglie hanno trovato un nuovo tavolo da gioco.
Ma, come sempre, siedono dove girano i soldi, dove si fanno gli affari grossi: la mafia è sempre presente — ripulita, a volte invisibile, e spesso con i suoi rampolli laureati nelle migliori università americane. E mentre la NBA sospende i suoi tesserati e i legali parlano di complotti, resta una sensazione: la storia non finisce mai, cambia solo vestito.

Fivedabliu.it

Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta

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