Il giro del mondo in 61 conflitti
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Nel 2025 il pianeta conta 61 guerre attive, undici delle quali veri e propri massacri. Ma dietro i numeri e le mappe restano i corpi dei civili: uccisi nei bombardamenti, sepolti sotto le macerie, cancellati da violenze che non hanno scelto.
A ogni latitudine la retorica è la stessa: condanne formali, tregue invocate, lacrime diplomatiche per i “danni collaterali”. Intanto si firmano contratti miliardari per la vendita di armi, si finanziano alleati, si alimentano conflitti che servono a economie più forti di qualsiasi principio.
Religioni, ideologie, bandiere: cambia il colore della propaganda, non la sostanza. Gli Stati che predicano pace e democrazia costruiscono strumenti di morte, tutti dalla stessa parte — quella che guadagna mentre i civili muoiono.
E così si consuma un paradosso: la tecnologia bellica raggiunge livelli mai visti — droni autonomi, intelligenza artificiale, guerra a distanza — ma la protezione dei civili arretra di decenni. Dietro le statistiche restano le storie: donne che partoriscono sotto i bombardamenti, medici che operano senza anestetici, bambini che imparano a distinguere il suono dei droni dal rombo dei motori.
Più guerre, più violenza sui civili
Nonostante un lieve calo delle vittime complessive rispetto al 2024, la tendenza resta allarmante. La violenza diretta contro i civili è in forte crescita, segno che le guerre moderne colpiscono sempre più chi non combatte.
Undici conflitti hanno superato la soglia delle “guerre” — almeno mille morti in combattimento in un anno — il dato più alto dal 2016. In totale, la violenza organizzata ha provocato quasi 160.000 vittime in dodici mesi.
Ucraina, Gaza e Libano: i fronti più sanguinosi
A guidare la tragica classifica resta l’Ucraina, dove la guerra con la Russia continua a essere tra le più letali al mondo: circa 76.000 morti in combattimento nel 2024.
In Medio Oriente, le operazioni israeliane a Gaza e in Libano contro Hezbollah hanno provocato oltre 70.000 vittime, per il 94% civili o persone di identità non definita.
“È sempre più difficile distinguere tra civili e combattenti,” spiega Therese Pettersson, analista senior dell’UCDP. “Quando si ricorre a bombardamenti in aree densamente popolate, la linea si cancella. Nella guerra di Gaza solo il 2% delle vittime è classificato come parte in conflitto.”
Raccogliere dati affidabili, ricorda Pettersson, non è solo statistica ma strumento per indagare i crimini di guerra e consentire una risposta internazionale.
Un mondo più fragile
I dati di Uppsala descrivono un pianeta frammentato, dove conflitti tradizionali si intrecciano con guerre per procura, violenze politiche e scontri etnici. Le linee del fronte non sono più solo geografiche ma sociali, economiche, culturali.
Mentre la diplomazia appare impotente, la violenza si diffonde in forme nuove: più tecnologiche, rapide e disumanizzate.
2025: cresce la violenza mirata sui civili
La violenza intenzionale contro i civili è in aumento, segno del deterioramento globale della protezione delle popolazioni.
Per il decimo anno consecutivo lo Stato Islamico figura tra gli attori non statali più letali, secondo solo a Israele per numero di vittime civili, con circa 3.800 morti, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo.

Sudan: il rischio di un genocidio
È la guerra di cui quasi nessuno parla, ma che sta devastando un intero Paese.
Dal 2023 le Forze Armate Sudanesi e le Forze di Supporto Rapido si affrontano in un conflitto che ha già causato oltre 40.000 morti e 14 milioni di sfollati.
Raid con droni e artiglieria hanno colpito quartieri di El Fasher e campi profughi. Le vittime comprendono anche pazienti evacuati da uno degli ultimi ospedali ancora funzionanti. Persino una moschea è stata centrata mentre centinaia di civili cercavano rifugio.
Entrambe le fazioni sono sotto inchiesta della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità.
El Fasher, una città sotto assedio
Da oltre un anno El Fasher, capitale del Darfur Settentrionale, è stretta d’assedio. Secondo l’ONU, 260.000 civili sono intrappolati in città, mentre 600.000 si sono rifugiati a Tawila.
Martin Brown, portavoce delle Nazioni Unite, descrive “risorse umanitarie drammaticamente insufficienti”: il piano d’emergenza è finanziato solo al 25%.
Alice Wairimu Nderitu, consulente ONU per la prevenzione del genocidio, ha dichiarato: “Le popolazioni civili vengono prese di mira per ciò che sono, per il colore della pelle o l’etnia.”
Il Sahel che brucia
Dal Sudan al Sahel la linea del fuoco si allunga. Niger, Mali e Burkina Faso sono un triangolo di instabilità. I golpe militari, sostenuti da Mosca e osteggiati da Parigi, hanno cancellato anni di fragile equilibrio.
Le bandiere russe sventolano nelle capitali, i mercenari della Africa Corps garantiscono “sicurezza” in cambio di concessioni minerarie, mentre il jihadismo avanza nei villaggi. Gruppi legati a JNIM e allo Stato Islamico nel Grande Sahara estendono la loro influenza fino a Benin, Togo e Costa d’Avorio.
Myanmar: la guerra che non finisce
Nel silenzio del mondo, il Myanmar continua a lacerarsi in una guerra interna iniziata nel 2021.
Dopo il colpo di Stato del 1° febbraio, il Paese è precipitato nel conflitto civile, con uso massiccio di mine antiuomo.
Secondo Landmine Monitor, il numero di vittime civili per mine nel 2022 è il più alto mai registrato. I bambini rappresentano il 34% dei feriti. In molti casi vengono usati come scudi umani, mandati avanti nei campi minati.
Le mine restano anche quando i fronti si spostano: nelle risaie, nei sentieri, davanti alle case. Continueranno a esplodere per anni, forse decenni.

Africa sotto i droni
Un rapporto di Drone Wars UK documenta quasi mille civili uccisi tra il 2021 e il 2024. I droni armati sono ormai strumenti quotidiani di guerra in Sudan, Somalia, Nigeria, Mali, Burkina Faso ed Etiopia.
In Sudan, le esplosioni hanno devastato mercati e quartieri densamente abitati. “Il mito della precisione chirurgica si infrange di fronte ai villaggi distrutti e ai corpi civili tra le macerie”, concludono gli analisti.
Congo: gli ospedali come bersaglio
Nell’est della Repubblica Democratica del Congo la guerra non risparmia nessuno. Bambini feriti, medici allo stremo, scuole ridotte in macerie.
Secondo la Croce Rossa, oltre duecento strutture sanitarie hanno esaurito i medicinali. Una su otto ha chiuso.
La caduta di Goma nelle mani dei ribelli dell’M23 ha provocato migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati. L’UNICEF registra un aumento vertiginoso della violenza: abusi sessuali raddoppiati, rapimenti sei volte più frequenti, uccisioni di bambini sette volte maggiori.
E poi ci siamo noi
L’illusione di essere lontani dalla guerra è comoda, ma falsa. Le guerre iniziano prima del primo bombardamento, quando una società decide che la sicurezza vale più dei diritti e il profitto più della dignità.
Oggi, mentre due colossi, Leonardo e RWM si fondono per costruire carri armati che venderanno all’Esercito italiano, per un valore di 700 milioni di euro, la battaglia si combatte anche nelle nostre città pacifiche: dove sanità, istruzione e lavoro cedono spazio a un’economia che prospera sul conflitto.
Anche noi viviamo una guerra silenziosa: quella tra coscienza e indifferenza.
Dalle nostre case integre scorriamo i social, ci dividiamo in tifoserie digitali, con tante certezze e poca cognizione di causa. Commentiamo, giudichiamo, scegliamo schieramenti come fossero squadre di un campionato.
Nel frattempo, altrove, i corpi diventano statistiche e le vite interrotte semplici numeri in un grafico.
La distanza non è solo geografica: è morale. E finché continueremo a discutere di guerre come fossero opinioni, chi la guerra la subisce resterà invisibile — o peggio, irrilevante.
Bibliografia
https://www.uu.se/en/press/press-releases/2025/2025-06-11-ucdp-sharp-increase-in-conflicts-and-wars
https://news.un.org/en/story/2024/05/1150051
https://www.unicef.org/drcongo/en/stories/children-caught-conflict-widens-eastern-dr-congo
https://africacenter.org/spotlight/mig2025-militant-islamist-groups-in-africa