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Libia: lager, abusi e traffici. Il prezzo umano del Memorandum del 2017

Dal Memorandum Italia-Libia del 2017 alla realtà dei centri di detenzione: un viaggio tra torture, abusi e traffico di esseri umani.

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Il 2 febbraio 2017 l’Italia firmava con il governo libico di Fayez al-Sarraj un Memorandum d’intesa presentato come una svolta per regolare i flussi migratori verso l’Europa. L’accordo, sostenuto da finanziamenti e addestramento alla Guardia costiera libica, doveva servire a contrastare il traffico di esseri umani e a rafforzare le frontiere. Otto anni dopo, il bilancio è drammatico: la Libia è diventata un inferno a cielo aperto, un paese dove il confine tra autorità e criminalità si dissolve, e dove la vita di migliaia di migranti è appesa al capriccio delle milizie.

Dietro l’uniforme della Guardia costiera libica si nasconde spesso la faccia di gruppi armati locali. Ufficialmente incaricati di intercettare i migranti in mare, molti di questi uomini sono in realtà trafficanti, contrabbandieri, mercenari. Un’inchiesta di FiveW del 2021 e numerosi rapporti internazionali – tra cui quelli di Human Rights Watch e Amnesty International – documentano come figure come Abd al-Rahman Milad, detto “al-Bija”, già comandante della Guardia costiera di Zawiyah e sanzionato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, abbiano trasformato il controllo delle coste in un affare multimilionario. Da un lato ricevono equipaggiamenti e formazione dai partner europei; dall’altro gestiscono reti di contrabbando di carburante, armi e persone, in un intreccio di potere e violenza che si nutre dell’impunità.

Sono le testimonianze dei sopravvissuti a raccontare cosa succede a chi viene riportato in Libia dopo un tentativo di traversata. I centri di detenzione, gestiti ufficialmente dalla Direzione per il Contrasto della Migrazione Irregolare (DCIM) ma di fatto controllati da milizie armate, sono luoghi di tortura, estorsione e violenza sessuale.

“They beat us with what falls into their hands… it can be a rock, a stick, a brick” (Ci picchiano con tutto ciò che capita loro tra le mani… può essere una pietra, un bastone, un mattone), ha raccontato un ragazzo eritreo di sedici anni alla missione ONU in Libia (UNSMIL). In un rapporto di SOS Méditerranée, un migrante ricorda: “They used to melt plastic over the head and back of people. It would drop and melt their skin immediately. They filmed everything, then sent the videos to the families to demand ransom.” (Versavano plastica fusa sulla testa e sulla schiena delle persone: colava e bruciava la pelle all’istante. Filmavano tutto, poi mandavano i video alle famiglie per estorcere denaro in cambio della libertà).

Le donne vivono un incubo nel silenzio. Alcune sono costrette a subire rapporti sessuali per ottenere acqua o cure mediche, altre vengono stuprate davanti ai figli o obbligate a partecipare a riprese pornografiche usate per ricatti. Amnesty International ha raccolto la testimonianza di una detenuta:

“I told [the guard] no. He used a gun to knock me back. He used a leather soldier’s shoe to kick me from my waist”.

“Gli ho detto di no. Ha usato la pistola per respingermi e poi mi ha colpita con uno stivale di cuoio da soldato all’altezza della vita”.

Nei centri ufficiali, l’ONU ha documentato anche la morte di neonati detenuti con le madri, mentre le guardie si rifiutavano di trasferirli in ospedale. “Due bambini sono morti perché le guardie non volevano aprire i cancelli”, ha raccontato una testimone a Tripoli nel 2021.

Il traffico di esseri umani nel Mediterraneo centrale è oggi uno dei business più redditizi al mondo, con un giro d’affari stimato in miliardi di euro. Il Memorandum del 2017, esternalizzando il controllo dei flussi migratori, ha di fatto legittimato e finanziato le milizie responsabili di questi traffici. “I saw him kill people”, ha detto un sopravvissuto sud-sudanese a Al Jazeera, riferendosi al comandante di una prigione libica. Le denunce della Guardia di Finanza italiana hanno inoltre rivelato legami tra milizie libiche e criminalità organizzata italiana nella gestione del contrabbando di carburante, segno di un sistema criminale che oltrepassa i confini e coinvolge attori su entrambe le sponde del Mediterraneo.

Secondo le Nazioni Unite, in Libia oltre 3.800 migranti e 1.100 persone vulnerabili – donne, bambini, malati – sono detenuti in condizioni disumane nei centri “ufficiali”. Ma il numero reale è probabilmente molto più alto, considerando le prigioni segrete gestite dalle milizie. Per l’ONU e le ONG, le prove sono schiaccianti: torture, schiavitù sessuale, lavori forzati e uccisioni arbitrarie non sono abusi isolati, bensì parte di un sistema. La United Nations Independent Fact-Finding Mission on Libya ha concluso nel 2023 che “vi sono fondati motivi per ritenere che migranti e rifugiati in Libia siano vittime di crimini contro l’umanità”.

L’Italia e l’Unione Europea, pur non essendo direttamente responsabili delle violenze, non possono dirsi estranee. Amnesty International ha definito i governi europei “consapevolmente complici” nel mantenimento di questo meccanismo di sofferenza, poiché continuano a finanziare e addestrare la Guardia costiera libica sapendo che le persone intercettate vengono riportate in luoghi di tortura. Il principio del “non-refoulement”, che vieta agli stati di respingere rifugiati o richiedenti asilo verso paesi dove la loro vita, libertà o incolumità potrebbero essere minacciate, cardine del diritto internazionale, è stato così svuotato di senso da un sistema che esternalizza la violenza oltre i confini europei.

Memorandum: uno strumento di delega della crudeltà

Otto anni dopo la firma, il Memorandum del 2017 si rivela per ciò che è: non uno strumento di sicurezza, ma una delega di crudeltà. Ha prodotto centri di detenzione arbitrari, violenze sessuali sistematiche, ricatti e traffici criminali che arricchiscono milizie e corrotti. Le coste libiche sono diventate una linea sottile che separa la legalità europea dall’abisso dei diritti calpestati.

L’Italia non può più fingere di non vedere. Continuare a sostenere, finanziare o tollerare un sistema che trasforma esseri umani in merce equivale a una complicità silenziosa. È tempo di riportare la gestione dei flussi migratori dentro le regole del diritto e della dignità, garantendo protezione e sicurezza a chi fugge, non nuova schiavitù a chi sperava nella libertà.

fp

Fivedabliu.it

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