BoomerLa voce del Direttore

Zaino selvaggio: appunti di viaggio su un autobus qualunque

Un piccolo viaggio quotidiano fra sgarbi, smartphone e mancanza di civismo, dove anche un vecchio brano di Guccini trova ancora senso

Mi è accaduto oggi. Uno dei tanti giorni in preda a una sorta di crisi esistenziale. Mi è capitato di riascoltare un brano antico del maestrone Francesco Guccini, uno di quelli meno conosciuti fra le sue canzoni cantautorali. Di quelli che passano inevitabilmente in secondo piano se fanno parte di un LP del ’70, L’isola non trovata. Fra quelle dieci tracce in cui ci sono, oltre all’omonima, La collina, Il frate, Un altro giorno è andato e Canzone di notte.

Eppure il richiamo è stato quello, visto che da qualche tempo i miei amici e colleghi hanno rimesso in moto quell’attività che mi ha consentito, negli ultimi anni, di mantenermi in vita almeno un po’, con l’occhio clinico puntato all’esterno. Con la velleità non tanto di determinare, quanto almeno di indurre a qualche tipo di riflessione. E intendiamoci: non per amore critico o di critica, ma, al contrario, per suggerire il cambiamento.

E allora Guccini e il suo brano Il tema, nel quale mi sono sentito interamente calato:

“Un anno è andato via della mia vita,
già vedo danzar l’altro che passerà.
Cantare il tempo andato sarà il mio tema,
perché negli anni uguale sempre è il problema.
E dirò sempre le stesse cose viste sotto mille angoli diversi.
Cercherò i minuti, le ore, i giorni, i mesi, gli anni, i visi che si sono persi.
Canterò soltanto il tempo…

Ed ora dove sei tu che sapevi ridare ai giorni e ai mesi un qualche senso?
La giostra dei miei simboli fluisce uguale per trarre anche dal male qualche compenso.
E dirò di pietre consumate, di città finite, morte sensazioni.
Racconterò le mie visioni spente di fantasmi e gente lungo le stagioni.
E canterò soltanto il tempo…

E via, e via, e via parole vane che scivolano piane dalle chitarre.
E se ne vanno e vibrano, non resta niente, un suono che si sente e poi scompare.
E sono qui, sempre le stesse cose viste sotto mille angoli diversi.
E cercherò i minuti, le ore, i giorni, i mesi, gli anni, i visi che si sono persi.
E canterò soltanto il tempo.”

Già… canterò soltanto il tempo, cioè quello che mi capita e mi accade di pensare.

È da tempo che mi stuzzica l’idea, praticamente da quando mi è capitato di frequentare con maggiore assiduità i mezzi pubblici dell’AMT. Complice un guasto, di qualche entità, all’automobile, e quella possibilità — che pure ha destato polemiche di fronte al bilancio in rosso dell’azienda — che consente ai non più ragazzini come il sottoscritto, ormai over settanta, di poter viaggiare gratuitamente sui mezzi pubblici.

E così, lungi da me la tentazione di offrire ai posteri un qualunque manuale del perfetto utente, credo che per rendere tutto un po’ meno apocalittico, al di là dei mezzi sempre più vecchi e poco curati, basterebbe un po’ più di civismo anche da parte degli utenti.

Intanto, osservare qualche elementare regola di buona educazione. Salire sul mezzo dalle porte dedicate — quella anteriore, di fronte al posto dell’autista, e quella posteriore — mentre quelle centrali dovrebbero servire esclusivamente per scendere. Il tutto perché il transito all’interno del bus dovrebbe consentire di spostarsi dal fronte o dal fondo verso il centro, dove si trovano le porte di discesa. Però accade spesso che, salendo al centro, la gente si fermi davanti alla porta di uscita, intasando la zona. E allora tutto si complica: c’è chi è costretto a scendere e risalire in fretta per lasciar scendere chi è rimasto bloccato dietro.

Poi, ultimo ma non meno importante, c’è il problema degli zaini — scolastici ma non solo — che la gente, giovani o meno giovani, porta pervicacemente sulle spalle, incollati alla schiena, quando il buon senso suggerirebbe di tenerli all’altezza del bacino, impugnandone i manici. Eppure niente. Così, quando l’autobus è abbastanza affollato e ti capita davanti qualcuno con lo zaino in spalla, appeso al mancorrente e intento a scorrere lo schermo dello smartphone, ecco che lo zaino ti si ritrova in pieno viso.

E se osi protestare… apriti cielo. Zaino selvaggio, insomma

Senza voler entrare nel merito dei posti a sedere: i nostri solerti utenti AMT che hanno avuto la fortuna di trovarne uno libero, spesso in preda a un’alienazione da social e intenti a guardare lo smartphone, si guardano bene dal cederlo a qualche anziano malandato che, in tutta quella bolgia, rischierebbe di cadere e farsi male.

Oggi ho avuto l’ardire di far presente la situazione a un under 30 che mi roteava lo zaino sulla faccia, guardando lo smartphone davanti alla porta di uscita e impedendomi di scendere. Indovinate un po’ che cosa mi ha risposto. Sarebbe andato bene anche un laconico “Mi scusi, ero distratto”, e invece è scivolato sul solito “Cazzo vuoi”. E mi è andata bene che non mi abbia apostrofato con il classico “Vecchio cazzo vuoi?”.

E allora mi chiedo, da over settanta che ne ha viste tante e ha anche servito la patria con dodici mesi di leva: fra i tanti corsi più o meno formativi che si tengono nelle nostre scuole, non si potrebbe provare a lanciarne uno per insegnare — o almeno informare — come viaggiare e far viaggiare gli altri in maniera decorosa su un mezzo pubblico?

Perché il maestrone, quando dice:

“E dirò di pietre consumate, di città finite, morte sensazioni.
Racconterò le mie visioni spente di fantasmi e gente lungo le stagioni.
E canterò soltanto il tempo.”

In fondo, ha anche ragione. Solo che, a volte, la poesia è alla frutta.

Paolo De Totero

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV "Sgarbi per voi" con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.

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