Il futuro del cibo: tra geopolitica, salute e cultura
Dietro ogni piatto si intrecciano economie, conflitti e scelte ambientali che definiscono la nuova mappa del mondo.
Dalla guerra del grano al land grabbing, fino alla carne coltivata e ai pesticidi: il cibo come strumento di potere globale
Quando pensiamo al cibo, lo associamo a qualcosa di quotidiano, familiare, legato al piacere e alla necessità. Ma il cibo è anche molto di più: è uno dei motori della storia, della salute collettiva e della politica internazionale. Comprendere questo significa accettare che ogni nostro pasto è intrecciato con dinamiche che vanno ben oltre la cucina.
Dietro un piatto di pasta o un panino consumato durante una sosta in autogrill, si nascondono interessi economici, strategie di potere, emergenze climatiche e scontri culturali che stanno ridefinendo il modo in cui il mondo produce, consuma e pensa al cibo.
Geopolitica della fame e dell’abbondanza
Il cibo è potere. Le guerre recenti lo dimostrano: il conflitto in Ucraina ha messo in crisi l’approvvigionamento mondiale di grano, rivelando quanto fragili siano le catene globali e quanto dipendano da pochi attori. È bastato un blocco navale nel Mar Nero, la distruzione di alcuni porti e l’interruzione delle rotte commerciali per scatenare una crisi che, secondo la FAO, ha fatto impennare i prezzi dei cereali mediamente del 20% nei primi mesi del 2022. (1-2-3)
Russia e Ucraina insieme coprivano circa un quarto dell’export mondiale di frumento e oltre il 14% di quello di mais, secondo uno studio pubblicato su Food Security nel 2023. (4)
Quando il conflitto ha reso impraticabili molte rotte del Mar Nero, diversi Paesi del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale — tra cui Egitto, Libano e Tunisia — si sono trovati improvvisamente senza approvvigionamenti certi. L’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, unito all’instabilità politica, ha riacceso tensioni sociali e proteste.
L’accordo mediato da Nazioni Unite e Turchia, noto come Black Sea Grain Initiative, ha tentato di garantire il passaggio sicuro delle navi cariche di grano ucraino, ma il fragile equilibrio si è presto rotto. Il Cremlino ha accusato l’Occidente di non rispettare i termini dell’intesa, mentre Kyiv denunciava attacchi sistematici ai porti di Odessa e Mykolaïv.
Quando l’accordo è crollato nel luglio 2023, le quotazioni internazionali del grano sono tornate a salire, confermando che il cibo, nel XXI secolo, può essere un’arma più potente del gas o del petrolio.
Ma la geopolitica alimentare non si limita ai conflitti armati. Un fenomeno meno visibile, ma altrettanto incisivo, ridisegna silenziosamente la mappa della produzione globale: il land grabbing, l’accaparramento di terre agricole da parte di Stati o fondi d’investimento stranieri.
È un processo che si sviluppa dietro contratti opachi, spesso in Paesi del Sud globale come Etiopia, Mali, Mozambico o Cambogia. Secondo l’ONG Grain e il Land Matrix Global Observatory, negli ultimi vent’anni sono stati ceduti oltre 30 milioni di ettari di terreni agricoli — un’area grande quanto l’Italia — a soggetti esteri pubblici e privati.
Dietro la retorica dello “sviluppo agricolo” si nasconde spesso un trasferimento di potere e risorse: le comunità locali vengono espropriate o spinte ai margini, perdendo l’accesso ai terreni che per generazioni avevano garantito la loro sopravvivenza. In Mali, nella regione dell’Office du Niger, i contratti stipulati con investitori stranieri hanno trasformato risaie familiari in distese di canna da zucchero o biocarburanti destinati all’esportazione.
I paradossi della colture industriali
Un’analisi pubblicata da Springer nel volume Agricultural Development and Land Grabbing in Africa descrive con precisione questo meccanismo: l’agricoltura di sussistenza viene soppiantata da monocolture industriali che servono i mercati globali, non la sicurezza alimentare locale.(5-6)
Il paradosso è che questi stessi Paesi, pur essendo fertili e ricchi di risorse, diventano dipendenti dalle importazioni alimentari. In Etiopia, ad esempio, le piantagioni destinate al mercato internazionale coesistono con regioni colpite da carestia e scarsità idrica.
La Banca Mondiale continua a sostenere che gli investimenti stranieri possano modernizzare il settore agricolo, ma su Population and Environment un articolo del 2014 di Kyle F. Davis, Paolo D’Odorico e Maria Cristina Rulli — Land grabbing: a preliminary quantification of economic impacts on rural livelihoods — mostra come tali dinamiche aggravino le disuguaglianze e riducano la sovranità alimentare.(7)
La “sovranità alimentare”, concetto elaborato dal movimento contadino internazionale La Via Campesina negli anni Novanta, non riguarda soltanto il diritto ad avere cibo, ma il diritto di decidere come produrlo, cosa coltivare e per chi.
È la rivendicazione del controllo sulle risorse locali contro la logica della speculazione globale. Ma questo diritto è costantemente minacciato da interessi economici e geopolitici che vedono nel suolo agricolo una nuova frontiera dell’accumulazione.(8)
In questo scenario, la fame e l’abbondanza convivono. Mentre un miliardo di persone non ha accesso a un’alimentazione adeguata, un altro miliardo spreca quotidianamente cibo, energia e risorse idriche.
L’Occidente discute di sostenibilità, ma la sua impronta ecologica alimentare continua a pesare sui Paesi più poveri. Come ha scritto il politologo Raj Patel nel saggio Stuffed and Starved (HarperCollins, 2008), “la fame non è un problema di scarsità, ma di potere”.(9)
E proprio il potere, oggi, siede a tavola con noi.

Nuovi cibi, vecchie resistenze
La sfida di nutrire oltre nove miliardi di persone entro il 2050 richiede soluzioni innovative e sostenibili. Tuttavia, l’introduzione di nuovi alimenti — insetti, alghe, proteine vegetali avanzate e carne coltivata in laboratorio — incontra resistenze culturali radicate nelle tradizioni gastronomiche. Queste resistenze non sono solo una questione di gusto, ma riflettono identità, valori e percezioni di sicurezza alimentare.
Consumare insetti è una pratica diffusa in molte culture asiatiche, africane e latinoamericane. Secondo la FAO, circa 2 miliardi di persone nel mondo li includono nella dieta quotidiana.
Eppure, nei Paesi occidentali, l’idea suscita disgusto e scetticismo, alimentati da barriere culturali e da una educazione alimentare che va sviluppata. Nonostante ciò, l’Unione Europea ha recentemente approvato l’uso di farine di insetti in prodotti alimentari, segnando un passo simbolico verso una nuova normalità alimentare. (10)
Un percorso analogo riguarda le alghe. In Asia sono un alimento base da secoli, ricco di proteine, vitamine e minerali, con un’impronta ecologica minima. In Europa, invece, restano un prodotto “di nicchia”, percepito come esotico. Tuttavia, la sensibilità crescente verso la sostenibilità sta favorendo un cambiamento, guidato soprattutto da consumatori più giovani e attenti alla salute.
Dalle alghe passiamo alla carne coltivata in laboratorio, l’innovazione che più divide l’opinione pubblica. Ottenuta da cellule animali senza allevamento né macellazione, promette di ridurre le emissioni di gas serra fino al 96%, il consumo d’acqua dell’82% e l’uso del suolo del 99% rispetto alla carne tradizionale. (11)
Eppure, le resistenze restano forti: molti associano la carne a riti e tradizioni, e guardano con diffidenza a ciò che nasce in un bioreattore. Ma, come accade per altre rivoluzioni alimentari, il cambiamento potrebbe arrivare dalle generazioni più giovani. (12)
L’Europa e la promessa mancata sui pesticidi
Se il futuro del cibo si misura anche dalla sostenibilità, il capitolo dei pesticidi racconta una storia molto diversa. Cinque anni dopo l’impegno della Commissione Europea a porre fine all’export di pesticidi vietati sul suo territorio, il commercio di queste sostanze tossiche non si è fermato. Anzi, è cresciuto.
Un’inchiesta di Unearthed e Public Eye rivela che nel 2024 le aziende europee hanno notificato piani di esportazione per pesticidi contenenti 75 sostanze chimiche bandite nell’Unione, quasi il doppio rispetto al 2018. In totale: 122.000 tonnellate di prodotti, con un aumento del 50% in sei anni.
Il caso emblematico è quello del mancozeb, un fungicida vietato nel 2020 perché “tossico per la riproduzione” e sospettato di essere cancerogeno. Eppure, nel 2024, oltre 8.500 tonnellate di prodotti contenenti mancozeb sono state destinate a 59 Paesi, soprattutto a reddito medio o basso.
Nel frattempo, Bruxelles tace. La promessa di vietare la produzione per l’export è rimasta lettera morta. Solo Francia e Belgio hanno introdotto leggi nazionali, ma inefficaci senza un divieto comune europeo. Così, le aziende continuano a esportare da Paesi con regole più permissive, sfruttando i vuoti del mercato unico.
Il risultato è un paradosso inquietante: l’Europa vieta l’uso di certe sostanze nei propri campi, ma consente che vengano prodotte e spruzzate altrove. E gli alimenti coltivati con quei pesticidi possono perfino tornare nei nostri supermercati, se i residui restano sotto i limiti di legge. In pratica, il rischio viene esternalizzato: si sposta l’inquinamento verso i Paesi poveri, ma non lo si elimina dal mercato globale.
Per rendere il quadro ancora più contraddittorio, nel 2023 il Parlamento Europeo ha approvato una norma che limita l’importazione di alimenti contenenti tracce di alcuni neonicotinoidi (per proteggere le api e la biodiversità). Ma per la maggior parte delle altre sostanze vietate — come il mancozeb o il clorpirifos — non esiste ancora un controllo sistematico sugli alimenti importati.(13)
Il futuro del cibo non sarà scritto solo nei laboratori o nei campi, ma nelle scelte collettive di chi siede a tavola. Dalla geopolitica del grano alla carne coltivata, dal land grabbing ai pesticidi, il cibo è ormai una delle grandi frontiere del potere globale — e al tempo stesso, uno degli ultimi spazi in cui possiamo ancora decidere.
Capire cosa mangiamo significa capire da dove viene il mondo che stiamo costruendo.
In un pianeta diviso tra fame e spreco, tra guerra e mercato, la vera rivoluzione alimentare potrebbe non essere quella tecnologica, ma quella politica e culturale: restituire valore alla terra, dignità a chi la coltiva e consapevolezza a chi consuma.
Perché il futuro del cibo, in fondo, è il futuro di tutti.
Bibliografia e sitografia
- https://www.reuters.com/markets/world-food-prices-hit-record-high-2022-despite-december-fall-2023-01-06/
- https://www.weforum.org/stories/2022/05/global-food-prices-ukraine/
- https://www.fao.org/worldfoodsituation/foodpricesindex/en/
- https://link.springer.com/article/10.1007/s12571-025-01560-6
- https://link.springer.com/book/10.1007/978-3-030-60789-0
- https://link.springer.com/book/10.1007/978-3-030-41513-6
- https://link.springer.com/article/10.1007/s11111-014-0215-2
- https://viacampesina.org/en/2025/07/la-via-campesina-2024-annual-report/
- https://www.harpercollins.ca/9780002008112/stuffed-and-starved/
- https://masterx.iulm.it/news/ambiente/alghe-insetti-e-carne-artificiale-il-cibo-del-futuro-tra-etica-e-sostenibilita/
- https://www.bva-doxa.com/novel-food-italiani-divisi-tra-apertura-al-futuro-e-amore-per-la-tradizione/
- https://www.impactfood.it/carne-coltivata-in-laboratorio-un-futuro-sostenibile-a-portata-di-mano/
- https://www.impactfood.it/carne-coltivata-in-laboratorio-un-futuro-sostenibile-a-portata-di-mano/