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Nivoi e Viani tornano a Genova: “Detenuti in gabbia sotto il sole, lo Stato italiano complice di Israele”

Dopo l’arresto da parte dell’esercito israeliano, i due attivisti genovesi della Global Sumud Flotilla raccontano i giorni di prigionia e gli abusi subiti. USB e CALP promettono nuove mobilitazioni e chiedono un embargo totale contro Israele

Genova – Applausi, abbracci e un lungo silenzio prima delle parole.
Così José Nivoi e Luca Viani sono tornati a Genova, dopo l’arresto da parte dell’esercito israeliano durante la missione umanitaria della Global Sumud Flotilla, diretta verso la Striscia di Gaza.

Al CAP di via Albertazzi, affollatissimo di cittadini, attivisti, studenti e lavoratori portuali, USB (Unione Sindacale di Base) e CALP (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali) hanno organizzato una conferenza stampa per raccontare il rientro e denunciare quanto accaduto durante e dopo il sequestro in mare e lo stop a quella che è stata definita “la più grande azione umanitaria via mare per rompere l’assedio di Gaza”.
Le barche, con a bordo attivisti, parlamentari e tonnellate di aiuti, puntavano a consegnare generi di prima necessità e a tenere accesi i riflettori sulla crisi umanitaria in corso nella Striscia.

In apertura, Milena Rebecchi di USB ha ricordato che l’incontro era “aperto a tutta la cittadinanza, per dare un riscontro a chi si è mobilitato in solidarietà alla flottiglia e al popolo palestinese di Gaza, che da due anni subisce un genocidio ad opera dello stato criminale e terrorista d’Israele”. Un messaggio diretto, seguito dalla promessa di non fermare le mobilitazioni: manifestazioni, blocchi nei porti e negli aeroporti, e azioni dirette dei lavoratori per impedire il transito di armi continueranno, come “gesto concreto di solidarietà con la popolazione palestinese”.

“In 25, stretti in una gabbia sotto il sole”

Il racconto di José Nivoi, tra gli attivisti italiani della missione, ha riportato la platea alle ore più dure della spedizione.
A bordo della nave, circa 45 tonnellate di aiuti umanitari destinate alla popolazione di Gaza. Poi l’assalto, il fermo, la prigionia. “Siamo stati sequestrati, picchiati, privati di acqua e cure mediche — ha raccontato — e le donne hanno subito maltrattamenti e umiliazioni”.

Nivoi ha poi rivolto un’accusa diretta alle istituzioni italiane: “La console italiana di Tel Aviv è venuta a trovarci e ha dimostrato palesemente come lo Stato italiano sia complice di Israele. Siamo stati ricevuti mentre eravamo chiusi in 25 in una gabbia sotto il sole, e non si è neppure preoccupata di portarci una bottiglia d’acqua. È venuta in tailleur, facendo anche la carina davanti a 25 persone che avevano subito violenza”.

Nivoi ha proseguito nel suo racconto ripercorrendo le ore successive al fermo come un vero e proprio calvario (ma si sa che il diritto internazionale “è importante ma solo fino a un certo punto”): i militari israeliani hanno costretto i prigionieri a restare per cinque ore in ginocchio, sotto la minaccia delle armi, picchiando chiunque osasse alzare lo sguardo.
“Abbiamo visto atteggiamenti da psicopatici — ha aggiunto —, soprattutto verso le donne. Ma quello che ci è capitato è stato solo un piccolo assaggio di ciò che i palestinesi subiscono da quasi ottant’anni”.

Quindi, quasi per dare un volto al delirio, Nivoi ha raccontato che durante l’attacco dei droni gli israeliani diffondevano S.O.S. degli Abba a tutto volume. La canzone rimbombava sull’acqua come un incubo pop, un messaggio di soccorso capovolto: non un aiuto, ma la colonna sonora di una follia organizzata.

“Embargo e sanzioni per Israele”

Il microfono passa di mano. A parlare è Riccardo Rudino anche lui portuale del CALP, che ha riportato la questione sul piano politico e sindacale.
Rudino ha denunciato la continuità dei rapporti economici e militari tra Italia e Israele, nonostante le violazioni dei diritti umani, richiamando la legge 185 del 1990, che vieta la vendita di armi ai Paesi coinvolti in conflitti.

“È necessario vigilare sull’applicazione della norma e promuovere un embargo totale verso Israele, che comprenda ogni tipo di importazione ed esportazione”, ha affermato Rudino.
Secondo lui, “solo un blocco commerciale e sanzioni vere potranno fermare il predominio armato e terroristico degli israeliani”.

Il CALP ha annunciato due direttrici di impegno: la creazione di un osservatorio permanente sul rispetto della legge 185/90 e la richiesta del fermo di ogni traffico commerciale con Israele.

Cosa dice la legge 185/1990

La legge 185 del 1990 – “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” – è la normativa italiana che regola il commercio di armi e vieta l’esportazione e il transito di armamenti verso paesi coinvolti in conflitti armati o che violano sistematicamente i diritti umani.

Questa legge dovrebbe rappresentare uno strumento fondamentale per controllare le esportazioni militari italiane e promuovere la pace. Tuttavia, la sua applicazione è stata spesso al centro di dibattiti, in particolare riguardo alle esportazioni verso paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, coinvolti nel conflitto in Yemen.

Nonostante le violazioni documentate dei diritti umani, l’Italia ha continuato a esportare armi verso questi paesi, suscitando preoccupazioni tra le organizzazioni per i diritti umani e sollevando interrogativi sulla coerenza tra la legge nazionale – articolo 11 della Costituzione compreso – e le azioni internazionali dell’Italia.

Nuove proteste nei porti

La lotta non di ferma. USB e CALP hanno annunciato nuove azioni di protesta: il 10 ottobre è prevista una giornata di mobilitazione nazionale, in coincidenza con l’arrivo nei porti italiani di due navi della compagnia israeliana ZIM.

In parallelo, i lavoratori portuali stanno costruendo una rete di solidarietà internazionale con i porti di Francia, Grecia e Marocco, per coordinare iniziative comuni e riaffermare la funzione civile dei porti, contro ogni forma di complicità nel traffico di armi.

La conferenza stampa si è conclusa con un appello alla mobilitazione permanente contro l’apartheid israeliana e le connessioni economiche che la sostengono.
Per USB e CALP, la pressione popolare resta “l’unico strumento capace di trasformare la solidarietà internazionale in azioni concrete e durature”.
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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell'ambiente e mi piace pensare che l'informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini. Il mio impegno nel giornalismo d'inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.

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