Halloween, la zucca della discordia
Una volta all’anno tra laici, santi, fantasmi e l’effetto Dunning-Kruger
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Da un post su fb:
“Chi mi conosce sa quanto io possa essere ‘interessato’ alla festa … Ma davvero pensiamo che importare una ricorrenza senza radici nella nostra tradizione non abbia conseguenze? Non si tratta solo di travestimenti e zucche: è un pezzo di cultura che arriva, si sovrappone, cambia abitudini, e qualcuno neanche se ne rende conto.”
“Non abbiamo bisogno di copiare le feste americane, abbiamo già Ognissanti e i nostri riti.”
“Un tempo si andava al cimitero in silenzio, oggi travestiti da zombie per moda.”
“È diventata la festa del male mascherato da divertimento.”
E si potrebbe proseguire con altre decine di esempi.
Ogni anno, puntuale come un dolcetto o scherzetto, arriva il dibattito: “Halloween non è una festa italiana! Non fa parte della nostra tradizione”.
Lo si sente ripetere con tono indignato da chi difende la purezza delle nostre tradici, come se esistesse davvero una cultura che non abbia mai preso nulla in prestito da qualcun altro.
E così, anche quest’anno, la notte delle zucche e dei travestimenti si trasforma in un terreno di scontro tra chi la vive come un’occasione per far divertire i bambini e chi la considera un’invasione culturale d’oltreoceano, estranea alla nostra identità cattolica.
Eppure, se ci pensiamo, la “nostra tradizione” è un concetto assai più fluido di quanto si voglia ammettere. L’Italia è un Paese che da secoli mescola culture, rituali e simboli: il Carnevale, con i suoi travestimenti e la sospensione delle regole, nasce da antichi riti pagani di inversione sociale e arriva fino a noi passando attraverso influenze francesi e veneziane.
Babbo Natale, che immaginiamo con barba bianca e vestito rosso, non è nato al Polo Nord ma negli Stati Uniti, reinventato dalla pubblicità e dal mito americano. E la festa di San Valentino, che molti credono un’antica ricorrenza italiana, è stata rilanciata nel dopoguerra proprio grazie al modello anglosassone, fino a diventare un appuntamento fisso di cioccolatini e cuori rossi.
Persino ricorrenze come la Festa della mamma o del papà, oggi considerate parte del nostro calendario affettivo, arrivano da oltreoceano. E i compleanni con le candeline da soffiare, gesto che ormai accompagna ogni torta, hanno origini tedesche.
L’usanza di soffiare sulle candeline della torta affonda le sue radici nelle antiche tradizioni pagane e greche, dove le luci delle candele avevano un significato simbolico legato alla protezione divina e al potere dei desideri. In particolare, i Greci offrivano torte rotonde ad Artemide, la dea della luna, decorandole con piccole fiamme per richiamare la luce del suo astro.
Secoli dopo, nel XVIII secolo, questa simbologia si trasformò in Germania con il Kinderfest, una festa dedicata ai bambini: su una torta venivano accese tante candeline quanti erano gli anni del festeggiato, più una “per buona fortuna”. Da quella tradizione tedesca nasce l’abitudine moderna di esprimere un desiderio e spegnere le candeline con un soffio.
Tutto questo per dire che la nostra identità culturale non è mai stata un blocco compatto, ma un organismo vivo, che cambia e cresce a contatto con il mondo.
Ma se mettiamo da parte le paure identitarie e proviamo a guardare la questione da vicino, scopriremo che Halloween e Ognissanti, in fondo, non sono poi così lontani come sembrano. Entrambe le feste nascono per dare un significato al rapporto tra la vita e la morte, per affrontare quel momento dell’anno in cui la natura sembra spegnersi e l’uomo sente il bisogno di riconnettersi con chi non c’è più.
Halloween, nella sua forma originaria celtica, era la notte di Samhain, il capodanno dei popoli del Nord: un passaggio tra la stagione della luce e quella dell’oscurità, in cui si credeva che il mondo dei vivi e quello dei morti si toccassero per poche ore.
Si accendevano fuochi, si lasciava del cibo per gli spiriti, e ci si travestiva per ingannarli e tenerli lontani. Quando poi il cristianesimo si diffuse, la Chiesa scelse di sovrapporre Ognissanti e la Commemorazione dei defunti a quelle antiche celebrazioni pagane, per canalizzare in forme religiose un sentimento popolare che non si poteva cancellare.
Così nacque la sequenza che conosciamo ancora oggi: il 31 ottobre la “vigilia” — All Hallows’ Eve, da cui Halloween —, il 1° novembre la festa di tutti i santi e il 2 novembre il giorno dedicato ai defunti. Tre date unite dallo stesso filo: il dialogo tra la terra e l’aldilà, declinato in modi diversi — spirituale, rituale, simbolico.
La differenza, semmai, sta nel tono. Ognissanti celebra la speranza cristiana della vita eterna, la comunione dei santi e dei giusti, l’idea che la morte non sia una fine ma un passaggio. Halloween, invece, porta con sé un residuo di ironia pagana: ride della paura, trasforma il mistero in gioco, mette in scena l’oscurità per esorcizzarla. Ma entrambi, a modo loro, servono allo stesso scopo: dare un volto al mistero della morte, riconciliarci con ciò che non possiamo controllare.
E se ci pensiamo bene, non è poi così diverso lasciare un dolcetto per gli spiriti nella notte di Samhain o accendere una candela per i defunti il 2 novembre. Sono due gesti di ricordo e di protezione, due modi di dire: sappiamo che ci siete ancora, vi pensiamo, ma lasciateci vivere senza paura. In questo senso, Halloween non è l’antitesi di Ognissanti, ma la sua controparte laica, terrena, ironica. Una rappresentazione pop dello stesso bisogno di fondo: fare pace con la morte, per poter celebrare la vita.
Chi contesta Halloween spesso dimentica che l’Italia è uno Stato laico. Ciò significa che nessuna festa deve essere sottoposta al vaglio del catechismo per essere celebrata. Un cittadino non cattolico, o semplicemente laico, ha tutto il diritto di divertirsi con una festa che non pretende di sostituire Ognissanti, ma di offrire un momento di leggerezza e fantasia. E poi, diciamolo, in un tempo in cui la socialità reale è sempre più ridotta, vedere i bambini bussare alle porte e riempire le strade di voci e risate non può che far bene.
Forse, in fondo, il vero problema non è Halloween, ma il modo in cui reagiamo a ciò che non riconosciamo come nostro. Ogni epoca ha le sue “feste importate”, e molte di esse, col tempo, finiscono per diventare parte integrante della nostra cultura. Così come Babbo Natale si è seduto accanto al presepe senza che nessuno trovasse da ridire, anche Halloween, col suo carico di zucche, fantasmi e ironia, potrebbe trovare posto accanto alle nostre tradizioni, se solo smettessimo di discuterne come se fosse un’invasione barbarica.
Insomma, fatevele due risate!