Oltre la notizia

Dall’impero di Escobar alle nuove rotte della cocaina: viaggio nella metamorfosi del narcotraffico (seconda parte)

Il traffico di cocaina racconta una storia di violenza e soldi, tanti soldi. Così tanti da non poterli neanche contare


La sua storia inizia tra le montagne della Colombia, con i cartelli di Medellín e Cali che hanno imposto violenza e affari al mondo intero. Ma non si è fermata con la caduta di Escobar: ha mutato forma, passando attraverso il Messico, i porti del Brasile e le mafie europee, fino a diventare oggi una merce globale, gestita da reti invisibili e multinazionali criminali.

Negli anni ’80 la Colombia diventa il cuore pulsante di un impero invisibile: i grandi cartelli, vere multinazionali del crimine. Da una parte Medellín, guidato da Pablo Escobar, l’uomo che trasformò la cocaina da affare di nicchia a business globale.

Pablo Emilio Escobar Gaviria nasce il 1° dicembre 1949 a Rionegro, in Antioquia. Terzo di sette figli, cresce con una madre maestra e un padre contadino, in una famiglia segnata dalla precarietà. La sua giovinezza non ha nulla di epico: piccoli furti, diplomi falsi, contrabbando di merci a basso valore, auto rubate. A scuola fatica, si ribella all’autorità, alterna ambizioni smisurate a un pragmatismo feroce.

Il suo tratto distintivo è la duplicità. Escobar sa farsi amare nei quartieri poveri, costruendo case, distribuendo denaro, offrendosi come benefattore. Ma dietro quella facciata c’è un capo pronto a colpire con una crudeltà spietata. Bombe, intimidazioni, attentati: la violenza non è solo un mezzo, è il suo linguaggio politico, il teatro del potere. Ossessionato dal controllo e dalla percezione della propria forza, vive come un sovrano assediato, circondato da un esercito privato e da fedelissimi. Con laboratori nella giungla e piste clandestine accumula miliardi di dollari, fino a comparire nelle classifiche di Forbes. Ma il denaro non basta: compra giudici, finanzia campagne, si candida in Parlamento. È un “narco” e insieme un re, con il potere di uno Stato e l’arroganza di chi si crede intoccabile.

Dall’altra parte del Paese c’è Cali. I fratelli Rodríguez Orejuela adottano un metodo opposto: meno sangue, più affari. Manager del narcotraffico, preferiscono il silenzio alla spettacolarità, la corruzione alla guerra. Gestiscono la cocaina come un’impresa globale: canali bancari, società di copertura, penetrazione nella politica e nel commercio internazionale. Cali non spara: compra. E diventa un impero silenzioso, ma non meno potente.

Insieme, Medellín e Cali scrivono il primo capitolo della globalizzazione della cocaina: rotte che partono dalle Ande e finiscono a Miami, New York, Madrid. Un fiume bianco che scorre tra villaggi poverissimi e ville blindate, tra laboratori nella foresta e ville lussuose.

Il crollo del Re

Il 2 dicembre 1993 Pablo Escobar cade su un tetto di Medellín crolla sotto sotto i colpi di pistola del colonnello della polizia colombiana Hugo Aguilar, la camicia inzuppata di sangue, la radio della polizia che gracchia sopra i tetti. I suoi parenti in un estremo tentativo di salvaguardare l’aspetto eroico del narcotrafficante, sosterranno che si sia suicidato.
Il “Patrón” muore come ha vissuto: braccato, ostinato, dentro un assedio costruito con le sue mani. La Colombia tira un sospiro di sollievo, ma breve: la morte di Escobar non spegne il traffico, lo libera.

Per anni Medellín aveva imposto una disciplina feroce. Con la sua caduta, le strade di Cali, Bogotá e Barranquilla si riempiono di nuovi attori, più silenziosi e astuti. Non più bombe né auto blindate, ma fax, cellulari, conti offshore. È l’ascesa del cartello di Cali, i “gentlemen della droga”. Gilberto e Miguel Rodríguez Orejuela capiscono che la guerra aperta non paga: dove Escobar piazzava dinamite, loro offrono denaro. Dove lui seminava cadaveri, loro aprono conti cifrati.

Il cartello di Cali

Tra il 1993 e il 1998 Cali controlla fino all’80% della cocaina mondiale. Tonni imbottiti di droga e caricati su navi accontentano i consumatori americani, miliardi riciclati attraverso squadre di calcio, compagnie telefoniche, agenzie pubblicitarie. È il narcotraffico in giacca e cravatta. Ma anche questo impero crolla: nel 1995 la DEA e la polizia colombiana arrestano i fratelli Orejuela. Finisce così l’era dei grandi cartelli nazionali.

La nuova geografia della polvere bianca

Dopo Cali, il narcotraffico si frantuma. Non più un re, ma una costellazione di gruppi regionali: bande locali, ex guerriglieri, paramilitari. Ognuno controlla un frammento della catena, nessuno l’intero sistema.

Mentre gli Stati Uniti sigillano la frontiera, il baricentro si sposta verso ovest. Il Messico diventa piattaforma e i vecchi intermediari si trasformano in nuovi signori: Sinaloa, Tijuana, Golfo, Jalisco Nueva Generación. Organizzazioni militarizzate, arsenali, contabilità digitale, controllo capillare del territorio. El Chapo Guzmán è il loro volto più noto: meno carismatico di Escobar, ma più tecnico, architetto di un sistema operativo del crimine.

Intanto le rotte oceaniche si consolidano. Il Brasile diventa trampolino verso l’Europa, il nuovo mercato affamato. Qui la cocaina trova la sua seconda vita. Le mafie italiane, in primis la ‘Ndrangheta, stringono alleanze con i produttori sudamericani e con i clan balcanici. Serbi, montenegrini, albanesi parlano la lingua della logistica globale: uomini nei porti, marittimi sulle navi, società di copertura in mezzo mondo.

Se Escobar aveva costruito un impero verticale, fondato sul terrore, loro creano una rete orizzontale: invisibile, efficiente, multinazionale. La cocaina non ha più bisogno di Medellín né di un capo. È diventata una merce globale, gestita da broker e spedizionieri criminali.

L’eredità del “Patrón”

A trent’anni dalla sua morte, l’eredità di Escobar non è un nome, ma un metodo. Ha insegnato che la droga non è solo un affare illegale: è un’economia parallela che si adatta a ogni regola del mercato. La DEA lo ha ucciso, ma non ha sconfitto l’idea che rappresentava.

Oggi, nei porti di Santos, nei container di Anversa, nei telefoni criptati dei Balcani, quella stessa idea vive ancora, trasformata e digitalizzata. Escobar è morto, ma il suo fantasma viaggia in ogni carico che attraversa l’Atlantico, nascosto tra frutta tropicale e sacchi di caffè.

Bibliografia

United Nations Office on Drugs and Crime. (2025). World Drug Report 2025. Vienna: United Nations.

DEA (Drug Enforcement Administration). (2023). DEA Annual Report 2023: Cocaine Trafficking and Enforcement Trends. Washington, D.C.: U.S. Department of Justice.

European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction & Europol. (2024). EU Drug Markets Report 2024: Cocaine. Luxembourg: Publications Office of the European Union.

Ministerio de Defensa Nacional de Colombia. (2024). Informe sobre cultivos ilícitos y narcotráfico en Colombia 2023–2024. Bogotá: Observatorio de Drogas de Colombia.

BBC News. (2024, luglio). Pablo Escobar’s Legacy: 30 Years After the Fall of Medellín’s Drug Lord. BBC News. https://www.bbc.com

El Tiempo. (2023, dicembre). Los herederos del cartel de Cali: entre la sombra y el negocio global. El Tiempo Internacional. https://www.eltiempo.com

Reuters. (2024, agosto). From Medellín to Rotterdam: The Evolution of Global Cocaine Routes. Reuters News. https://www.reuters.com

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