Caso Almasri, l’Italia sotto accusa: “Non ha rispettato gli obblighi internazionali”. In campo anche la Cedu
Il generale libico, accusato di crimini contro l’umanità, era stato liberato e rimpatriato con volo di stato nonostante il mandato d’arresto della Corte penale internazionale
Quando l’aereo di Stato decolla da Pratica di Mare diretto a Tripoli, lo scorso gennaio, il generale Almasri non è un semplice passeggero. È un ricercato dalla Corte penale internazionale, accusato di torture e uccisioni nel carcere libico di Mitiga. Eppure, invece di finire davanti ai giudici dell’Aja, è tornato libero in Libia. Ed è proprio questa decisione – la mancata esecuzione del mandato d’arresto – che oggi mette l’Italia nel mirino della comunità internazionale.
La Corte penale internazionale, infatti, ha stabilito che il governo italiano “non ha rispettato i propri obblighi” e non ha mostrato “la dovuta diligenza” nel collaborare. Roma, scrivono i giudici, non ha fornito “alcuna valida ragione giuridica” per il rilascio e il rimpatrio di Almasri, né ha cercato di chiarire la situazione con la Corte nonostante le ripetute richieste. Ora Palazzo Chigi dovrà spiegare entro il 31 ottobre se esistano procedimenti interni legati al caso e in che modo possano aver inciso sulla cooperazione internazionale.
L’arresto a Torino
Al momento dell’emissione del mandato d’arresto, la Corte penale internazionale ha informato dei fatti sei Paesi, tra cui l’Italia, e l’Interpol ha aggiornato il proprio sistema con una red notice, allertando in questo modo tutte le forze dell’ordine competenti. Almasri è stato così arrestato il 19 gennaio a Torino dalla Digos, mentre si trovava in città per la partita Juve-Milan. Poi, martedì 21 gennaio, la Corte d’Appello di Roma ha disposto il suo rilascio e subito dopo è stato trasferito in Libia con un volo di stato, a bordo di un aereo militare italiano.
Tensioni dentro la maggioranza
Il caso, però, non è solo giudiziario. È anche politico. A Roma la maggioranza di governo è in fibrillazione per la posizione di Giusy Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio, indagata per false dichiarazioni al pubblico ministero in relazione proprio al caso Almasri.
Dopo il voto parlamentare che ha negato l’autorizzazione a procedere nei confronti di Nordio, del ministro dell’Interno Piantedosi e del sottosegretario Mantovano, ora l’esecutivo teme che la vicenda possa allargarsi. Bartolozzi, non essendo coperta da immunità, potrebbe diventare un punto debole dell’intera catena di comando. I capigruppo del centrodestra hanno chiesto al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, di sollevare un conflitto di attribuzione contro la magistratura. La Giunta per le autorizzazioni dovrà esprimere un parere nei prossimi giorni.
Cuno Tarfusser: “L’Italia ha tradito i suoi obblighi di giustizia”
Tarfusser, ex vicepresidente della Corte penale internazionale, parla di “fretta, approssimazione e opacità” nel caso Al-Masri. In un’analisi durissima, accusa l’Italia di aver “vanificato la cooperazione con la Corte penale internazionale”, liberando e rimpatriando un sospettato di crimini di guerra “in violazione dello Statuto di Roma”.
Secondo Tarfusser, “la Digos di Torino aveva agito correttamente” eseguendo l’arresto, ma “la magistratura e il governo hanno poi travisato la legge, scegliendo la via più comoda”. Il risultato, scrive, è “un danno irreversibile alla credibilità dell’Italia, che da Paese fondatore del diritto internazionale si è trasformato in complice dell’impunità”.
L’intervento della Cedu
A complicare il quadro per l’Italia è arrivata anche la Corte europea dei diritti dell’uomo. La Cedu ha infatti dichiarato ammissibile il ricorso di un migrante che sostiene di essere stato torturato proprio a Mitiga, quando Almasri era al comando della prigione-lager vicino a Tripoli. “Per la prima volta Strasburgo esaminerà il rifiuto di uno Stato di consegnare un sospettato di crimini internazionali”, spiega l’avvocata Chantal Meloni, tra i legali del ricorrente. “La mancata cooperazione dell’Italia ha messo a rischio la vita di chi aveva già subito violenze terribili”.
Il rinnovo del Memorandum Italia-Libia
Sul fondo resta il nodo dei rapporti con la Libia. Il 2 novembre scadrà la possibilità per il governo italiano di chiedere la cessazione del Memorandum d’intesa firmato nel 2017 da Paolo Gentiloni e Fayez al Sarraj. E così si rinnoverà automaticamente. L’intesa, voluta allora da Marco Minniti, oggi consigliere di Giorgia Meloni, prevede il sostegno italiano e europeo alle autorità libiche per il controllo dei flussi migratori. Ma secondo Ong e opposizioni, dietro quella cooperazione si nascondono anni di abusi, violenze e finanziamenti indiretti a milizie e carceri come Mitiga.
Sea Watch, nel suo ultimo report, denuncia almeno sessanta episodi di violenza in mare da parte della cosiddetta Guardia costiera libica dal 2016 al 2025, parlando di un dato “largamente sottostimato” e sottolineando che “usano i mezzi forniti loro dall’Italia e dall’Europa per intimidire, ferire e uccidere, nel silenzio di chi le ha armate”. Mentre Amnesty International lega direttamente la vicenda Almasri a quell’accordo: “Il Memorandum, purtroppo, ha dimostrato la sua importanza con la vicenda Almasri che ha avuto un trattamento di favore mentre avrebbe dovuto essere consegnato alla corte penale internazionale”.
Opposizioni unite ma il governo tira dritto
In Parlamento, per una volta, le opposizioni hanno trovato un terreno comune. Pd, Alleanza Verdi e Sinistra, Italia Viva e +Europa hanno chiesto al governo di bloccare il rinnovo dell’accordo con Tripoli, definendolo “una pagina oscura della nostra democrazia” che “dal 2017 ha causato violazioni dei diritti umani, violenze inenarrabili e aggressioni armate”. Ma la maggioranza ha respinto la mozione, approvando un testo a sostegno della linea dell’esecutivo: il Memorandum resta, con buona pace delle Ong e delle Corti internazionali.