Mirabelli, diffusione dell’avviso di garanzia: “Necessaria una disciplina più rigorosa per sanzionare la diffusione degli atti”

 Il professor Cesare Mirabelli, Presidente emerito della Corte costituzionale, sostiene la necessità di una disciplina più stringente per contrastare la diffusione inappropriata degli avvisi di garanzia

In Italia il dibattito sull’utilizzo e la diffusione degli avvisi di garanzia è al centro dell’attenzione da molti anni. Il professor Cesare Mirabelli, Presidente emerito della Corte costituzionale, ha espresso la sua opinione sulla questione, sottolineando la necessità di una disciplina più rigorosa e di sanzioni più stringenti per coloro che diffondono gli atti senza autorizzazione.

La problematica dell’avviso di garanzia diffuso senza autorizzazione, secondo Mirabelli,  è una pratica del tutto inappropriata e non consentita perchè non mira a garantire il diritto alla difesa, ma piuttosto a diffondere una notizia che può essere dannosa per l’immagine e la reputazione della persona coinvolta. L’avviso di garanzia, che dovrebbe essere destinato solo all’interessato diretto, viene così visto come una sorta di macchia o addirittura come una condanna anticipata, influenzando negativamente le valutazioni dell’opinione pubblica.

La necessità di una disciplina più rigorosa

Mirabelli sostiene che sia necessaria una disciplina più attenta riguardo alla diffusione degli avvisi di garanzia. Questo potrebbe includere l’istituzione di sanzioni più stringenti per coloro che diffondono tali atti senza autorizzazione. Inoltre, il Presidente emerito della Corte costituzionale sottolinea che la tecnologia può svolgere un ruolo importante nel comprendere come avvenga la diffusione delle carte e nell’individuare i responsabili di tali azioni indebite.

Il ruolo contraddittorio della politica

Mirabelli evidenzia anche la doppia e contraddittoria linea della politica nei confronti della giustizia. Da un lato, i vari schieramenti politici utilizzano la giustizia come arma per attaccare la parte avversa. Dall’altro, si sostiene che i magistrati non dovrebbero fare carriera attraverso la notorietà acquisita tramite le proprie indagini, ma poi vengono arruolati e candidati a ruoli istituzionali proprio grazie a questa notorietà. Ciò solleva interrogativi sulla necessità di una maggiore coerenza e trasparenza nel rapporto tra politica e giustizia.

La riforma dell’imputazione coatta

Infine, Mirabelli affronta anche la questione della riforma dell’imputazione coatta sottolineando che è un meccanismo singolare nel quale il pubblico ministero può chiedere l’archiviazione di un’indagine, ma il giudice può imporre al pm di formulare un’accusa, anche se quest’ultimo ritiene che non vi siano i presupposti necessari. Mirabelli suggerisce che sia necessaria attenzione in questa materia, poiché non dovrebbe essere compito esclusivo del pm decidere se un caso debba essere archiviato o meno. Una simile previsione potrebbe sollevare dubbi di costituzionalità.

 

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