Cutro, Meloni, Pennacchioni e loro che siamo noi

Daniel Pennac

La saga volge al termine

Me la sono tenuta un po’ lì. Quasi per digerirla, almeno in parte.

E sono andato a scartabellare fra i mei libri e libercoli. Ne avevo un vago ricordo di quel pamphlet acquistato anni fa alla Feltrinelli di uno dei miei autori preferiti Daniel Pennacchioni, in arte e più conosciuto come Daniel Pennac, autore ormai alla soglia degli ottanta anni, nato il 1 dicembre del 1944, vedi caso a Casablanca, in Marocco. Già Pennac, scrittore insignito di molti premi letterari fra i quali la legion d’onore per le arti e la letteratura. Pennac ideatore e autore della saga della famiglia Malaussene, una vera e propria tribù bislacca, secondo i canoni generalisti e in voga di questi tempi. Una tribù che vive ed abita nel quartiere di Belleville, a Parigi. Lo stesso dove vive Pennac, che ce ne ha raccontato le gesta, di Malaussene e affini, per quasi quarant’anni, iniziando con “Il paradiso degli orchi” con Benjamin Malaussene, l’antieroe di tutti gli otto romanzi, che di mestiere, e magari non per vocazione, fa il capro espiatorio, prima in un grande magazzino e poi in una casa editrice. Ambientazione a Belleville, secondo Pennac,  un quartiere che è cambiato più lentamente rispetto a Parigi, dove ci sono ancora lingue, attività, cibi, religioni. Un quartiere multietnico dove sopravvivono e convivono etnie e culture diverse, dove ormai dialogano e si interscambiano le seconde e terze generazioni.

Una storia alla fine, probabilmente perchè l’autore alla soglia degli ottanta con l’uscita prevista proprio per il 28 marzo del nono libro della saga “Capolinea Malaussene” avverte: “Questa epopea finisce perchè sono vecchio e ho voglia di fare e scrivere altre cose. Ma forse chissa?”

Che poi cose diverse in questi quasi quarant’anni e più divisi fra l’insegnamento e la scrittura Pennacchioni ne ha fatte. Oltre alla saga cito a memoria: “Abbaiare stanca”, “Come un romanzo”, “Storia di un corpo”, “Diario di scuola”, “La legge del sognatore”. Oltre al tenerissimo e toccante “Mio fratello” dedicato allo scomparso Bernard, il fratello maggiore di cinque anni morto in seguito ad un’intervento alla prostata andato male.

Loro siamo noi

Ma, come dicevo, è di un’opera assolutamente minore di Daniel Pennac che voglio parlare, finita per essere sepolta, qualche anno fa, sotto ai libri e romanzi maggiori dell’autore. Un pamphlet, per la verità, in cui convivono la bella prefazione di Sophie Beau, operatore umanitario che ricorda il naufragio collettivo del 3 ottobre 2013 davanti alle coste di Lampedusa e “l’emozione collettiva che aveva lasciato sperare in un “mai più””. Concludendo: “Questo impegno deve proseguire. La nostra determinazione è intatta e continueremo a batterci affinchè il Mediterraneo torni un mare di scambio e di pace”. E conclusa con “Nota di viaggio” di Roberto Salomone fotogiornalista: “L’abbraccio, vero, dei volontari che con le loro coperte dorate provano a restituire un senso alla parola accoglienza non basta. A Lesbos come a Lampedusa, a Ventimiglia come a Bihac, L’Europa rinnega se stessa…..Negare un inizio è come negare una vita. Nessun uomo e nessun governo può arrogarsi un tale diritto”.

E in mezzo, tra il Mediterraneo che dovrebbe tornare un mare di scambio e di pace e il negare un inizio è come negare una vita e nessun governo può arrogarsi un tale diritto, ci sono le ventuno paginette di Pennacchioni da Casablanca che costituiscono il nucleo del pensiero su cui mi è tornata la memoria appena dopo la tragedia di Cutro. Pagine scritte nel lontano 2015, nove anni fa con il titolo originale in francese “eux, c’est nous” e tradotto in italiano sei anni dopo. Già, i migranti diventati con il passare degli anni terreno di scontro per antonomasia fra la destra e la sinistra, fra chi intenderebbe accoglierli comunque e coloro che ne fanno questione di numeri e di situazioni.

Cito testualmente Pennac, tanto per intenderci: “Se un uomo, una donna, un bambino soffrono e nessuno vuole soccorrerli vi capiterà di sentire di tutto. Tutte le scuse, tutte le giustificazioni, tutte le buone ragioni per non tendere loro la mano. Appena si tratta di non aiutare qualcuno, sentiamo di tutto. A cominciare dal silenzio….. E come parlano di loro i nostri giornali, le nostre radio, le nostre televisioni, i nostri siti internet? Quali parole hanno scelto? Quali parole ripetono dal mattino alla sera, giorno dopo giorno, sempre identiche, appena apriamo un giornale, appena accendiamo una radio, una televisione, appena ci connettiamo? Ripetono instancabilmente queste parole: parlano di esodo, parlano di masse, parlano di orde, parlano di invasione. Ed è così che in quelle immagini non vediamo più l’uomo che soffre, nè la donna, nè il bambino… Non sono neanche più esseri umani, è un brulichio, un pullulare, un dilagare. Una minaccia spaventosa. Con le frasi che ronzano come vespe intorno a quelle immagini: “Non possiamo certo accogliere tutte le disgrazie del mondo!” “Diversa cultura…” “Diversa religione…” “Diverse usanze…” “Una minaccia per la nostra identità…” E piano piano è come se ciascuno di noi si sentisse solo e minacciato da quella “marea umana” che non ha più nulla di umano. A un tratto, è come se quelle persone che non sono più persone, che sono loro e non noi, fossero molto più numerose di noi. Come se loro fossero la maggioranza e noi la minoranza minacciata”.

Tornando a Cutro

Cito il Pennac di otto anni fa perchè a quasi un mese dalla tragedia, 88 vittime fa, di cui almeno 36 minori e con altri cinque morti al largo della Tunisia dopo il naufragio di un barcone che avrebbe dovuto raggiungere Lampedusa mi sembra che il clima sia cambiato in peggio. Roba da battaglia politica con il premier all’angolo che nonostante una indagine aperta dalla procura sui soccorsi tardivi si inalbera e parla di stato sovrano e di “calunnie non solo contro il governo ma nei confronti dello stato italiano, degli uomini e delle donne delle forze dell’ordine, del nostro intero sistema. O volete dire che ci sono uomini delle forze dell’ordine che non vogliono salvare i bambini per indicazioni del Governo?”.

Per tornare alla litania sentita tante volte con il susseguirsi dei governi anche di diverso colore: “L’unico modo per impedire che tragedie come quella di Cutro “si ripetano è fermare le partenze illegali, che è quello che sta cercando di fare il governo”. E ancora “Noi siamo quelli che in rapporto agli sbarchi sono riusciti potenzialmente a salvare più persone. I dati smontano una certa propaganda: dall’inizio di quel mandato l’Italia ha salvato 36.500 persone in mare. I nostri hotspot oggi sono pieni e diventa molto più difficile impedire che gli immigrati passino ad altre nazioni, perché non siamo disposti ad accettare che l’Italia sia il campo profughi d’Europa. Siamo stati lasciati da soli a fare questo lavoro a volte fuori dai confini nazionali”.

E qui torna in campo proprio Pennacchioni con quel suo metterci in guardia:  “E come parlano di loro i nostri giornali, le nostre radio, le nostre televisioni, i nostri siti internet? Quali parole hanno scelto? Quali parole ripetono dal mattino alla sera, giorno dopo giorno, sempre identiche, appena apriamo un giornale, appena accendiamo una radio, una televisione, appena ci connettiamo? Ripetono instancabilmente queste parole: parlano di esodo, parlano di masse, parlano di orde, parlano di invasione. Ed è così che in quelle immagini non vediamo più l’uomo che soffre, nè la donna, nè il bambino… Non sono neanche più esseri umani, è un brulichio, un pullulare, un dilagare. Una minaccia spaventosa”. E spiega ancora Pennacchioni dopo aver messo in rapporto i profughi con le popolazioni europee “Quanti siamo in Europa? 508 milioni.

Cinquecentotto europei non sono abbastanza numerosi per accogliere uno o due uomini che soffrono ?… Aggiungiamo il resto dell’umanità. Vediamo bene che non è una questione di numeri. ma di volontà: se vogliamo accogliere l’uomo, la donna il bambino che soffrono possiamo farlo. Solo che  appena smettiamo di ragionare c’è qualcosa che ce lo impedisce. Qualcosa, dentro di noi, non lo vuole: Qualcosa chiude la porta e il nostro cuore. Questo qualcosa è la nostra vecchia e tremendamente umana paura dell’altro, la nostra vecchia e tremendamente umana paura del cambiamento, il nostro vecchio e tremendamente umano istinto di conservazione”. Un istinto che è umano ma che occorre educare con il ragionamento e con l’osservazione della storia”

Una storia fatta di persecuzioni

E, senza contare gli ucraini dei giorni nostri Pennac enumera: “ All’inizio del ventesimo secolo, ci sono stati gli ebrei dell’Europa Centrale in fuga dalle persecuzioni. Poi, dopo il 1915, sono venuti gli armeni in fuga dai massacri turchi. Poi, negli anni Venti, sono venuti i russi in fuga dalla rivoluzione. Poi,negli anni Trenta sono venuti gli spagnoli in fuga dalla guerra di Spagna. Poi, negli anni Cinquanta, sono venuti i polacchi, gli italiani e i portoghesi in cerca di lavoro. Poi, negli anni Sessanta, gli anni della decolonizzazione, sono venuti gli algerini, i tunisini, i marocchini, gli africani dell’Africa occidentale. Poi, a metà degli anni Settanta, sono venuti i cileni, gli argentini, i brasiliani, profughi dell’America Latina in fuga dalle dittature. Poi, negli anni Ottanta, sono venuti i cinesi, i cambogiani e i vietnamiti dopo la guerra  del Vietnam. Poi, negli anni Novanta, sono venute le vittime delle guerre nell’ex Jugoslavia. 

E tanti ne dimentico, senz’altro: dimentico i palestinesi dopo il 1947, dimentico i greci martirizzati dai colonnelli, i libanesi sparpagliati dalle loro guerre, i curdi cacciati un po’ dovunque, le donne e gli uomini in fuga dalla fame dei grandi paesi desertici… 

Tutte queste persone, però, le abbiamo accolte. Facendo ragionare il nostro istinto di conservazione. Spiegandogli, per esempio, che l’altro può diventare a sua volta un aiuto, un sostegno, può diventare a sua volta un francese. E sono loro, tutti questi profughi del XX secolo, ritenuti ogni volta troppo numerosi, a fare insieme a noi la Francia di oggi: Come i profughi di oggi faranno insieme a noi la Francia di domani”.

E non a caso il sottotitolo di “Loro siamo noi” è: “L’istinto, il cuore, la ragione”

E mi piace, per concludere tornare ai nostri giorni e al gossip, con Fiorello che, almeno un po’, mette alla berlina i nostri politici, capi di stato e di partito, così solleciti nei selfie e nelle comparsate in tv. Per esempio la Meloni che nel corso di una cena privata, per il compleanno di Salvini incappa nel fuoco amico di un sostenitore, o forse no, che la riprende mentre intona a squarcia gola Marinella… che scivolò in un fiume a Primavera proprio dopo la tragedia di Cutro. O altro esempio l’exploit al pianoforte della Elly Schlein che durante un’ospitata da Cattelan si siede al pianoforte e suona Imagine, immortale brano di John Lennon. Lei non canta, per carità, lo fa giusto Cattelan. Altra lettura, altro messaggio. Una volta avrei detto del potere delle parole. Ecco il testo contro le patrie e la guerra… di Lennon. Una volta avrei detto delle parole e del ragionamento contro gli istinti. Oggi mi capiterebbe di concludere… il potere del ragionamento contro gli istinti di voler strumentalmente banalizzare tutto.

Imagine

Imagine there’s no heaven

It’s easy if you try

No hell below us

Above us only sky

Imagine all the people

Living for today… 

Imagine there’s no countries

It isn’t hard to do

Nothing to kill or die for

And no religion too

Imagine all the people

Living life in peace… 

You may say I’m a dreamer

But I’m not the only one

I hope someday you’ll join us

And the world will be as one 

Imagine no possessions

I wonder if you can

No need for greed or hunger

A brotherhood of man

Imagine all the people

Sharing all the world… 

You may say I’m a dreamer

But I’m not the only one

I hope someday you’ll join us

And the world will live as one.

Immaginate

 Immaginate che non ci sia alcun paradiso

Se ci provate è facile

Nessun inferno sotto di noi

Sopra di noi solo il cielo

Immaginate  tutta le gente

Che vive solo per l’oggi

Immaginate che non ci siano patrie

Non è difficile farlo

Nulla per cui uccidere o morire

Ed anche alcuna religione

Immaginate tutta la gente 

Che vive la vita in pace

Si potrebbe dire che io sia un sognatore

Ma io non sono l’unico

Spero che un giorno vi unirete a noi

Ed il mondo sarà come un’unica entità

Immaginate che non ci siano proprietà

Mi domando se si possa

Nessuna necessità di cupidigia o brama

Una fratellanza di uomini

Immaginate tutta le gente

Condividere tutto il mondo 

Si potrebbe dire che io sia un sognatore

Ma io non sono l’unico

Spero che un giorno vi unirete a noi

Ed il mondo sarà come un’unica entità.

Paolo De Totero

Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta