Tra pandemia e crisi economica, l’Italia non regredisce ma è in stallo

L’Italia nel 2022, il punto su lavoro, sanità, privilegi, post populismo, timore di una guerra mondiale e aumento dei poveri

Siamo di fronte a eventi che vanno veloci come la  crescita delle esportazioni che però maschera il calo della domanda interna e la rimodulazione dei consumi. La politica dei sussidi a pioggia è un palliativo che ha effetti collaterali negativi perchè non risolve i problemi strutturali legati al lavoro, all’inserimento soprattutto dei giovani nel mondo del lavoro . I flussi di risorse promessi e assegnati dal Pnrr al Mezzogiorno, mai come ora ingenti, chiamano a raccolta capacità di progettazione e responsabilità locali spesso inadeguate per mettere in moto dinamiche di medio periodo e occupazione di qualità.

Il nostro Paese, nonostante lo stratificarsi di crisi e difficoltà, non regredisce grazie allo sforzo individuale, ma non matura. Riceve e produce stimoli a lavorare, a mettersi sotto sforzo, a confrontarsi con le ferite della storia, ma non manifesta una sostanziale reazione: rinuncia alla pretesa di guardare in avanti.

L’Italia è latente

L’Italia non cresce abbastanza o non cresce affatto, tranne che per il proliferare di piani per la resilienza, per la sicurezza informatica, per il clima e l’energia, per la mobilità elettrica, per l’idrogeno, per la non autosufficienza, per la sostenibilità sociale, solo per fare qualche esempio. Senza, o quasi, impegni precisi, senza vincoli ai processi e ai soggetti che i piani li devono attuare. Un grande libro delle buone  intenzioni che poi trovano nell’emergenza un freno inesorabile.

Il fallimento dell’uno vale uno

Dopo la politica “dell’uno vale uno” abbiamo lasciato, nuovamente il passo ai tecnocrati, ma forse quello di cui abbiamo bisogno è una politica rinnovata in cabina di regia che argini quell’arte di arrangiarsi tipica del Belpaese che ha sostituito una classe dirigente pigra che spesso ha rinunciato ad affrontare e risolvere i problemi.

Il timore di un conflitto mondiale

Nel rapporto del Censis scopriamo che il 61% degli italiani teme che possa scoppiare il terzo conflitto mondiale, il 59% il ricorso alla bomba atomica, il 58% che l’Italia entri in guerra. Con l’ingresso in una nuova età dei rischi, emerge una rinnovata domanda di prospettive di benessere e si levano autentiche istanze di equità, non più liquidabili come “populiste”.

Le aspettative dei cittadini

La quasi totalità degli italiani (il 92,7%) è convinta che l’impennata dell’inflazione durerà a lungo, il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari, il 69,3% teme che il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi), il 64,4% sta intaccando i risparmi per fronteggiare l’inflazione. Cresce perciò l’avversione nei confronti di privilegi oggi ritenuti odiosi, con effetti fortemente divisivi: per l’87,8% sono insopportabili le differenze eccessive tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei dirigenti, per l’86,6% le buonuscite milionarie dei manager, per l’84,1% le tasse troppo esigue pagate dai giganti del web, per l’81,5% i facili guadagni degli influencer, per il 78,7% gli sprechi per le feste delle celebrities, per il 73,5% l’uso dei jet privati. Ma non si registrano fiammate conflittuali, intense mobilitazioni collettive attraverso scioperi, manifestazioni di piazza o cortei.

L’assenteismo elettorale

Alle ultime elezioni il primo partito è stato quello dei non votanti, composto da astenuti, schede bianche e nulle, che ha segnato un record e una profonda cicatrice nella storia repubblicana: quasi 18 milioni di persone, pari al 39% degli aventi diritto. In 12 province i non votanti hanno superato il 50%. Tra le politiche del 2006 e quelle del 2022 i non votanti sono raddoppiati (+102,6%), tra il 2018 e il 2022 sono aumentati del 31,2% (quasi 4,3 milioni in più). Per porzioni crescenti dei ceti popolari e della classe media il tradizionale intreccio lineare «lavoro-benessere economico-democrazia» non funziona più.

Crescono i poveri

La mappa delle nuove fragilità sociali contempla innanzitutto le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta: sono più di 1,9 milioni (il 7,5% del totale), cioè 5,6 milioni di persone (il 9,4% della popolazione: 1 milione di persone in più rispetto al 2019). Di queste, il 44,1% risiede nel Mezzogiorno. I giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione sono il 12,7% a livello nazionale e il 16,6% nelle regioni del Sud, contro una media europea di dispersione scolastica che si ferma al 9,7%.

l nostro Paese detiene anche il primato europeo per il numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: il 23,1% dei 15-29enni a fronte di una media Ue del 13,1%. Ma nelle regioni del Mezzogiorno l’incidenza sale al 32,2%.

Il sistema sanitario

Mentre nel decennio 2010-2019 il Fondo sanitario nazionale ha registrato un incremento medio annuo dello 0,8%, passando da 105,6 a 113,8 miliardi di euro, nel 2020 è aumentato a 120,6 miliardi, con un incremento medio annuo dell’1,6% nel periodo 2020-2022 dovuto alle misure per fronteggiare l’emergenza Covid. Ma l’incidenza del finanziamento del Sistema sanitario nazionale scenderà al 6,2% del Pil nel 2024 (era il 7,3% nel 2020). Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti in Italia è diminuito da 19,1 a 17,3 ogni 10.000 residenti, e quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 ogni 10.000 residenti. L’età media dei 103.092 medici del Ssn è di 51,3 anni, 47,3 anni quella degli infermieri. Il 28,5% dei medici ha più di 60 anni e un numero consistente si avvicina all’età del pensionamento. Si stima che, nel quinquennio 2022-2027, saranno 29.331 i pensionamenti tra i medici dipendenti del Ssn, 21.050 tra il personale infermieristico. Dei 41.707 medici di famiglia, saranno 11.865 ad andare in pensione (2.373 l’anno).

In 10 anni -25,4% reati ma aumentano li reati contro la persona, come la violenza sessuale

Nel 2012 in Italia erano stati denunciati 2.818.834 reati, nel 2021 sono stati 2.104.114, con una differenza di 714.720 delitti. Nell’ultimo decennio, secondo i dati, sono diminuiti drasticamente i crimini più  efferati: gli omicidi volontari sono passati dai 528 del 2012 ai 304 del 2021 (-42,4%), e nell’ultimo anno in 32 province italiane – quasi 11 milioni di residenti – non è stato commesso neppure un omicidio. In calo anche la criminalità predatoria: tra il 2012 e il 2021 le rapine sono diminuite da 42.631 a 22.093 (-48,2%), i furti in casa da 237.355 a 124.715 (-47,5%), i furti d’auto da 195.353 a 109.907 (-43,7%).

Milano guida la graduatoria delle province in base ai reati denunciati in rapporto ai residenti, con 59,9 reati ogni 1.000 abitanti, a fronte di una media nazionale di 35,7. Seguono Rimini (55), Torino (50,6), Bologna (49,8) e Roma (48,6). Firenze è settima (47,3), Napoli al decimo posto(42,2). Nell’ultimo decennio sono aumentate solo alcune fattispecie di reato contro la persona, come le violenze sessuali: erano 4.689 nel 2012, sono 5.274 nel 2021: +12,5%. Crescono anche le estorsioni (+55,2% tra il 2012 e il 2021), che rappresentano, secondo il Censis, “una spia della pressione della criminalità organizzata” che aumenta nei periodi di crisi economica. Infine, aumentano tutti i reati informatici: le truffe e le frodi denunciate nel 2021 sono state 294.649, +152,3% rispetto al 2012, i delitti informatici sono arrivati a quota 22.067 (+200,4% tra il 2012 e il 2021)

Redazione del quotidiano digitale di libera informazione, cronaca e notizie in diretta