Irresistibile scioglievolezza

Maria Sole Ferrieri Caputi

Speriamo che sia femmina

Chiedo scusa per l’assenza. Del tutto volontaria e quanto mai opportuna. Mi ero eclissato nel giorno precedente al silenzio elettorale in vista del voto. Dopo un appello ad andare ai seggi, interpretabile, almeno dal mio punto di vista, come straordinariamente realistico sulla situazione che ci accingevamo a vivere. E dicevo, a opportuna  e futura memoria di chiunque non l’avesse letto, o addirittura se ne fosse dimenticato:

“Appello all voto”

“Mi sono turato il naso, bendato gli occhi, tappato bocca e orecchi, seguito i nostri eroi nella campagna elettorale più inconcludente e cialtronesca degli ultimi anni, ho persino guardato i leader intervistati – ognuno per se e Dio per tutti – dal dottor Vespa, e ho pensato che domenica non potrò fare a meno di andare a votare. Perchè in fondo il voto è segreto. E se un domani prossimo vi capitasse di dovervene vergognare, potrete sempre dire di aver votato per qualcun altro”.

Perchè poi e andata a finire come è andata a finire e come tutti saprete. Con la probabile prima presidente del consiglio donna della nostra storia repubblicana. Primo soggetto di un trittico tutto al femminile appena celebrato dalla Rai, sul telegiornale della prima rete, insieme a Samantha Cristoforetti, prima donna al comando di una stazione spaziale e Maria Sole Ferrieri Caputi, prima donna arbitro designata per dirigere Sassuolo-Salernitana di serie A nella prossima giornata di campionato.

Naturalmente Giorgia non si è lasciata sfuggire l’occasione, come una consumata politicante – quale del resto è – di ricordare l’evento nonostante la pressione a cui si sta sottoponendo tra un incontro con gli altri due leader del centrodestra vincitore, qualche telefonata e un lungo elenco di ministri e sottosegretari a cui applicare, magari, il bilancino del manuale Cencelli. In modo da non scontrare nessuno già in partenza. Oltre alla mai dimenticata questione energetica, i boicottaggi, la guerra, le avvisaglie di un deficit e di una inflazione in arrivo molto preoccupanti, la lotta alla povertà e alla disoccupazione. Con la prospettiva degli aiuti ai poveracci ai commercianti e agli imprenditori.

E comunque calcio e politica e… stelle, per colpire l’immaginario collettivo, come in un qualsiasi “Bar Sport” di altri tempi

Alfredo Trantalange

La mai dimenticata questione del merito

Per inciso, spiega Alfredo Trentalange dalla sala Paolo Rossi della FIGC: “Maria Sole debutterà in serie A per meriti, senza scorciatoie, per capacità, skills , in virtù di un progetto che è partito come associazione che apre l’inizio di una nuova era”. Già, una nuova era, fondata sul merito e sul concetto della competenza e della meritocrazia. Concetto che unisce, non vi è, a mio modesto parere, alcun dubbio, le “tre grazie”. Anche se a qualche maschilista di ritorno suonerebbe facile concludere con “Grazia, Graziella e Grazie al….”. Ma non è proprio cosi’. Anche perché il sottile limite fra politica e quant’altro, a fronte di competenza e merito è da sempre quello dell’incompetenza e del demerito degli altri.

E comunque, sepolto, o solamente superato, il mai dimenticato slogan populista dell’ “uno vale uno“ la questione del merito, o del demerito, è tornata, volenti o nolenti, a risultare essenziale, dopo la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica e la messa in mora del povero Mario Draghi. E dunque onore al merito dei vincitori e disonore incombente sui perdenti, alla ricerca di un modo e di un metodo che vada oltre al tracollo e permetta di risultare competitivi.

Tre donne sugli scudi, dunque

Pur nel momento difficile e contraddittorio del taglio della ciocca in segno di protesta e solidarietà con le donne iraniane dopo la morte di Masha Amini, la ventiduenne uccisa in Iran dopo l’arresto per aver indossato male il velo e il decesso di Hadis Najafi che ha perso la vita durante la manifestazione di protesta. E poi, tanto per tornare a casa nostra, con FdI che nell’ultima seduta del consiglio regionale non ha votato l’ordine del giorno presentato dal consigliere Pd Roberto Arboscello per ribadire e sostenere l’impegno a garantire il pieno diritto all’interruzione di gravidanza.

Con successiva proposta di legge regionale, proprio da parte di FdI,  di aprire in Liguria sportelli Pro vita in ogni ospedale della regione in cui si eseguono le interruzioni di gravidanza. Proposta, del resto, in linea con quanto la candidata premier aveva detto proprio nel comizio conclusivo della sua campagna elettorale. Parole apparse piu un artificio retorico che una blindatura della 194: “Vogliamo dare diritto alle donne che pensano che l’aborto sia l’unica scelta che hanno, di fare una scelta diversa.

Non stiamo togliendo un diritto ma aggiungendolo. Non voglio abolire la 194, non voglio modificarla, ma applicarla integralmente anche nella parte che riguarda la prevenzione. Il che significa aggiungere diritti, non toglierli”. Sillogismi, competenza e merito, insomma. Anche se sul tema Livia Turco ribatte diretta e mette le mani avanti: “Non servono prediche morali, dobbiamo ricominciare la battaglia per fare applicare la 194”.

Giorgia Meloni

La liquidità della politica

Perchè, forse , a fronte degli artifizi retorici, non può che apparire in chiara controtendenza come la prima aspirante premier donna, di fronte ad una legge per le donne, approvata 44 anni fa dopo estenuanti battaglie civili, messa in discussione prima negli Stati Uniti e recentemente in Ungheria, si ritrovi di fatto perfettamente in linea con il pensiero del leader ungherese Victor Orban e con l’ultima querelle sul cosiddetto battito cardiaco, che prima o poi anche in Italia potrebbe integrare quella forma di prevenzione di cui genericamente parla la Meloni.

Il tutto frutto di quella liquidità della politica ormai basata più sul senso dell’apparire che sulla reale comprensione degli slogan e degli artifici dialettici.

Giusto una insostenibile scioglievolezza e praticata con estrema disinvoltura.

Già la scioglievolezza, da “scioglievole”; parola sdoganata persino dalla nostrana Accademia della Crusca in omaggio al linguaggio pubblicitario improntato al food. Scrive  a tal proposito Laura Guerra: “Scioglievole.  Parola nuova appena entrata nel Vocabolario dell’Accademia della Crusca, il più importante, antico e prestigioso istituto di ricerca, raccolta e analisi filologica della lingua italiana. Un aggettivo – dicono gli studiosi cha funziona ed è riuscito a ritagliarsi un piccolo, ma sempre crescente, spazio di utilizzo e di diffusione.

Formato dal verbo che acquisendo il suffisso  – evole  colma la mancanza di un vocabolo astratto adatto a raccontare lo sciogliersi piacevolmente in bocca di un alimento. Lanciata come descrittore del cioccolato, l’aumento della curiosità  verso l’alta cucina,  l’incremento della comunicazione gastronomica e la grande attenzione rivolta al cibo in questi ultimi anni, ne hanno favorito l’uso per raccontare ingredienti, bocconi, pietanze e il più famoso piatto italiano, la pizza.

In particolare per quest’ultima, la definizione è usatissima nel network di più di 120 ispettori che recensiscono le pizzerie italiane per la guida on line  50 Top Pizza.  Vi ricorrono sia per raccontare le proprietà dell’impasto e del gradevole contatto con il palato, sia aspetti, consistenze e sapori dei vari stili di pizza preparati in Italia e in tutto il mondo. Scioglievole e scioglievolezza sono entrati a pieno titolo nell’ “italiano gastronomico”,  lo testimoniano oltre ai media specializzati anche il ricorrere di queste parole in rete facendo una ricerca su google, sia nei servizi giornalistici pubblicati sui principali quotidiani italiani”.

E dunque l’irresistibile scioglievolezza della politica italiana e dei suoi protagonisti. Con tanto di posizionamenti, riposizionamenti, partiti fondati e dissolti nel giro di qualche mese, stampelle della maggioranza e terze gambe moderate, segreterie in ambasce e dimissioni, o ritiri e rottamazioni promesse e mai mantenute.

Stefano Anzalone

L’irresistibile attrazione del gruppo misto o del carro del vincitore

Ultimo, ma non ultimo protagonista di questa idea di liquidità e scioglievolezza, il transfuga per antonomasia e pellegrino per scelta Stefano Anzalone, approdato in Regione solo due anni fa alla corte del Governatore Giovanni Toti, come consigliere in quota di “Cambiamo”. Con un passato fra la polizia di Stato e la politica a dir poco movimentista. Del resto il curriculum di Stefano Anzalone che compare nel sito della Regione Liguria parla chiaro “È nato il 3 maggio 1963. Entrato nella Polizia di Stato nel 1983, ha ricoperto diversi ruoli e mansioni andando in quiescenza con la qualifica di Sovrintende Capo, ha ricoperto il ruolo di Segretario Provinciale del Sap ed è nell’esecutivo Nazionale Sap.

Dal 2002 al 2007 è stato consigliere municipale a Genova, dal 2007 è sempre stato rieletto in Consiglio Comunale ricoprendo il ruolo di capo gruppo Consigliere Delegato Assessore allo Sport. Dal 2014 è sempre stato eletto in Città Metropolitana ricoprendo il ruolo di consigliere delegato alle partecipate. Dal 2017 è stato insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica”.

Il nostro ex consigliere comunale delegato ed oggi solamente consigliere regionale in quota “Cambiamo”, durante la sua carriera politica di gruppi ne ha cambiati parecchi, dall’IDV del suo mentore e collega Giovanni Paladini, al gruppo misto con “Progresso Ligure” che gli ha consentito di far da stampella all’ex sindaco Marco Doria in occasione di una difficile votazione sul bilancio comunale. In seguito, lasciato  il centro sinistra e rimesse le deleghe allo sport, il passaggio al gruppo Forza Italia per sostenere l’allora sindaco neoeletto Marco Bucci.

Infine, appunto, la penultima derapata con passaggio a “Cambiamo” come anfitrione di quel gruppo politico con quell’incipit che Anzalone, bontà sua, ha dimostrato di prendere certamente sul serio. Perciò da vero animale politico dei giorni nostri, da runner partitico, probabilmente considerando il flop delle ultime elezioni dove il raggruppamento di Toti “Noi Moderati” ha ottenuto un risicato 2 per cento, l’ultimissima giravolta di qualche giorno fa.

Insomma un bel salto nel vuoto tenendo conto che alle ultime regionali “Cambiamo con Toti presidente” aveva superato il 22 per cento. Nel comunicato diramato dallo stesso Anzalone per spiegare la sua dipartita il consigliere regionale spiega che intende portare avanti l’ambizioso progetto di unificazione dei moderati con il gruppo “Progresso ligure”. Una sorta di terza stampella, o quarta gamba, pur promettendo di continuare a sostenere gli amici della coalizione di centrodestra e il presidente Toti nella guida della Regione.

Giovanni Toti

Rimpasto imminente

Che poi a tener alta la tensione post elettorale in via Fieschi non ci ha pensato solo e soltanto il pellegrino Anzalone con tutta quella sua ansia che lo ha portato a cavalcare lo spirito di cambiamento nell’intento, più o meno avvertibile, di voler progredire… guardando avanti, magari ad una nomina imminente, delega o dicastero. Magari, dicono i rumors in via Fieschi, il suo gesto altro non è stato che l’immediata reazione ad una risposta negativa del Governatore, impegnato a sfogliare la margherita dei suoi ultimi accoliti per far subentrare qualcuno al posto di Ilaria Cavo, magari non precisamente nei dicasteri di sua competenza.

Dicono ad esempio che Simona Ferro assessore in quota FdI, avrebbe dato la sua disponibilità a subentrare alla collega promossa a Montecitorio occupandosi della delega alla cultura. Lasciando magari sul piatto lo sport. E perciò chi meglio di Anzalone che nella sua lunga carriera di assistente della coppia, poi scoppiata, dell’IDV Giovanni Paladini e Marylin Fusco, fra le società sportive ha razzolato in lungo e in largo. Acquisendo la necessaria esperienza per ricoprire la delega allo sport a palazzo Tursi pur nelle vesti di consigliere.

Solo che il Governatore Toti deve avergli risposto di avere altri programmi. Anche perchè al momento parrebbe trovarsi in pole position la fidatissima Laura Lilli Lauro, anche lei campionessa della doppia poltrona in contemporanea, proprio come era accaduto dal 2020 al 2022 a Stefano Anzalone.

E dire che proprio Toti, quasi profetico, aveva messo le mani avanti, rispondendo a chi gli chiedeva di una possibile rotta dei suoi uomini di fronte ad un risultato elettorale inaspettato: “L’ultima delle mie preoccupazioni è che qualcuno possa lasciare la Lista Toti dopo i risultati elettorali. La libertà individuale fa parte di quei principi costituzionali che non vanno modificati.

Dovremo fare una riflessione, a partire da stasera: la Lista Toti è il nerbo di questa amministrazione, ha fatto parte di quel progetto politico di Noi Moderati che ha lasciato risultati non soddisfacenti per nessuno, ma credo che nessuno possa puntare il dito ed ergersi a giudice. Tutti sono responsabili quando la politica non funziona come si deve, ma la Lista Toti ha il compito di portare in fondo la legislatura regionale, attuare quello che abbiamo promesso ai cittadini, rispettare gli impegni presi di riforme e di miglioramento della regione.

Credo che nessuno si sottrarrà a questo compito”. Un richiamo all’unità e alla coerenza, almeno per chiudere temporaneamente possibili falle, con tanto di progettazione per il futuro imminente: “Per quanto riguarda Regione Liguria, l’orizzonte è di tre anni: bisogna che le classi dirigenti di quel mondo civico, fatto dalla lista Toti ma anche dalle liste genovesi, spezzine, imperiesi e di altri territori che hanno avuto grandi successi nei mesi passati e hanno costituito il nerbo della maggioranza di centrodestra, si interroghino su che cosa vogliano fare da grandi. Il risultato di Noi Moderati non è soddisfacente neppure in questo territorio, penso che una riflessione vada necessariamente aperta. Il che non cambia le prospettive del governo regionale né di quelli comunali, che vanno avanti”.

Francesco Maresca
Francesco Maresca

Da Tursi solidarietà al Governatore

Intanto da palazzo Tursi arriva un comunicato che mette fine a un possibile stillicidio: “Alla luce delle recenti notizie di stampa a seguito dei risultati delle elezioni politiche, gli esponenti della Lista Toti in consiglio e giunta comunale di Genova, confermano e ci tengono a ribadire con convinzione il senso di appartenenza e la piena adesione al progetto politico e amministrativo del presidente Giovanni Toti e sono pronti a lavorare insieme già da subito per raggiungere insieme importanti obiettivi. Con tanto di firma di Marta Brusoni l’assessore portata in quota proprio da Anzalone e dell’altro assessore Francesco Maresca, totiano da sempre, e dei consiglieri Nicholas Gandolfo (capogruppo), Federica Cavalleri, Tiziana Lazzari e Lorenzo Pellerano.

Ma la partita è ancora tutta in salita. Anche perchè c’è un’altra delega che dovrebbe toccare a un esponente di Fratelli d’Italia, in sostituzione dell’altro parlamentare in partenza dello scranno della giunta regionale, l’assessore uscente Gianni Berrino. Con ridistribuzione delle sue deleghe al turismo, al lavoro e al turismo.

 In omaggio a un principio di territorialità dovrebbe subentrare un esponente del ponente. Tre i nomi, quello del sindaco di Stellanello Claudio Cavallo, del capogruppo di FdI a Sanremo Luca Lombardi o dell’ex sindaco di Imperia Paolo Strescino. Anche se non è detto che non torni in ballo il capogruppo Stefano Balleari, l’ex vicesindaco che nella passata amministrazione, a palazzo Tursi con Marco Bucci, aveva proprio fra le sue deleghe la mobilità e il trasporto pubblico locale. In un derby tutto ligure fra il ponente della nostra regione e Genova.

E infine, ultimo ma non ultimo, resta il problema della delega alla sanità, ad oggi saldamente nelle mani del Governatore. Toti, però, pare intenzionato a lasciare quando arriverà in consiglio regionale il nuovo piano socio sanitario che prevede, fra l’altro, il disegno di accorpamento delle strutture e la realizzazione di nuovi ospedali e case di comunità grazie ai soldi del Pnrr. Con una programmazione importante che richiederà quotidianamente la massima attenzione. Con tanto di casting fra i tecnici e pressoché immediate riserve da parte di Enrico Castanini di Liguria Digitale e del presidente dell’ordine dei medici Alessandro Bonsignore. Resta ancora in corsa il direttore generale del San Martino Salvatore Giuffrida.

Sussurri e grida e ufficialmente attento silenzio stampa, perfettamente in linea con il nuovo look presidenziale di Giorgia Meloni. Per cui è probabile che il silenzio venga interrotto solo quando tutti i tasselli saranno irrevocabilmente al loro posto.

 

Mario Tullo
Mario Tullo

La pretattica dei vincitori e l’abuso di autocritica dei vinti

Perchè se nelle fila del centrodestra vige la regola del silenzio monastico, interrotto soltanto da qualche snello comunicato stampa, sull’altro versante, quello della sinistra, va in onda lo spettacolo dello stracciamento delle vesti. Con un segretario nazionale dimissionario che nonostante la gogna pubblica, almeno nelle dichisrazioni della prima ora, non potrà essere utilizzato giammai come il capro espiatorio. Nonostante la tentazione storica di quell’ “Enrico stai sereno” che nonostante tutto ha finito per caratterizzarne tutta la sua storia politica e personale.

Mario Tullo, con tutta quella strada nei suoi sandali, dalla Fgci sino al parlamento, dalla sezione sotto casa sino agli scranni di Montecitorio, offre un quadro partecipato di tutta l’amarezza di quei comunisti lì, che si ammazzavano di lavoro alle feste dell’Unità tra settembre e ottobre, con tanto di copiose precipitazioni atmosferiche. E scrive sul suo profilo: “Un compleanno triste.

Il 13 ottobre si aprirà la nuova legislatura, il giorno dopo il Partito Democratico compie 15 anni. Sarà un compleanno senza festa. Il partito, nato dopo le lezioni del 2006 che videro il centro sinistra prevalere di pochissimo, con lo scopo di unire le migliori tradizioni della sinistra italiana con quelle del cattolicesimo popolare non ha la faccia di un entusiasta adolescente ma quella di una persona molto anziana affaticata e consumata. Mi sono andato a rileggere il Manifesto dei Valori del PD e al netto della vocazione maggioritaria che cozza con l’attuale legge elettorale, resta un bel documento dove si legge tra l’altro: «il Partito Democratico intende contribuire a costruire e consolidare, in Europa e nel mondo, un ampio campo riformista, europeista,  e di centro-sinistra, operando in un rapporto organico con le principali forze socialiste, democratiche, progressiste e promuovendone l’azione comune». Ma non siamo percepiti così”.

L’illusione delle primarie

E prosegue, sempre Tullo: “Oltre 3.500.000 di italiani salutarono quella scelta e la sostennero recandosi ai gazebo per votare alle primarie, talvolta facendo lunghe code, entusiasti e speranzosi. Li abbiamo delusi, non siamo riusciti a definire per il PD un’identità politico/culturale per il  nuovo secolo come ci eravamo proposti.

Domenica il PD ha raccolto poco più di 5.300.000 di consensi  alla Camera, nel 2008 all’esordio furono 12000000, nel 2013 8.600.000, nel  2018 6100.000, questi aridi e tragici numeri possono bastare, credo,  a dimostrare che continuare così rasenterebbe l’accanimento terapeutico.

Al momento della nascita del PD, i DS superavano di poco il 17% e la Margherita non arrivava all’11.

Si aprirono porte e finestre ma l’entusiasmo della prima fase durò poco. Sarebbe troppo facile e sciocco pensare che basti cambiare l’ennesimo segretario, anche qua i numeri dicono molto: il decimo in quindici anni, no questa volta forse non basta neppure aprire porte e finestre, bisogna tirare giù la casa e ricostruirla. Per dirla con Venditti: “No, compagni, amici, io disapprovo il passo, manca l’analisi e poi non c’ho l’elmetto”.

La società italiana e non solo  é  profondamente cambiata  anche rispetto a quando il PD nacque e servono risposte nuove ed adeguate per cui non siamo preparati ed organizzati ad offrirle. Si dice giustamente non servono ricette del passato e tantomeno impensabili forme organizzative dell’altro secolo. Condivido, ma poi penso alle automobili dei giorni nostri che parlano, che hanno la capacità di posteggiare e frenare da sole e che cambiano marcia  automaticamente, ma nessuno ha mai pensato di farle uscire dalla fabbrica senza gli specchietti retrovisori che ci aiutano a non andare a sbattere.

Serve un congresso vero, una fase costituente aperta e qui le lacune statutarie del PD se non si interviene limitano qualsiasi ragionamento, perché ci porterebbero dritti alle primarie, con gli iscritti “dell’ultimo giorno” e  il solito  regolamento dei conti interni; a differenza di altre esperienze europee le diverse sensibilità culturali ad oggi nel PD non sono state una ricchezza ma un grande limite, come emerso anche nella formazione delle ultime liste elettorali.

Un congresso che ridefinisca l’identità, le alleanze sociali ancor prima di quelle politiche. Una costituente aperta ai cittadini, all’associazionismo, al mondo dei lavori e dei saperi, aperta all’ascolto che discuta tesi a confronto che decida sulla politica ancor prima che sui nomi. Una costituente aperta sull’esito finale che possa portarci anche a percorrere nuove strade o diverse”.

Troppa sovrapposizione fra gruppo dirigente e gruppi parlamentari

Poi la ricetta con tanto di strategia: “Sarà compito dei nuovi eletti contrastare questa destra, in particolare sulle annunciate riforme costituzionali che potrebbero snaturare la nostra Repubblica, lasciando ad altri il compito di riorganizzare e rifondare il Partito, considerando che un altro limite del PD, sempre più negli anni, é aver fatto coincidere troppo il gruppo dirigente con i gruppi parlamentari, così come la sua attività.

In questi giorni si dice giustamente che tocca ad una nuova generazione, io preferisco dire tocca a nuove energie. Non sempre le due cose coincidono. Chi come me ha avuto ruoli nel passato é bene che si limiti a dare una mano, senza rivendicare particolari protagonismi, anche perché siamo una parte del problema. Io ho già scelto di farlo nel 2018 e ne sono felice.

Quando abbiamo fatto nascere il PD dicevamo che lo facevamo per i nostri figli, ai nostri figli questo PD non piace, e se a tuo figlio una cosa non piace provi a rifarla. Se sapremo promuovere una nuova fase costituente con umiltà, con spirito aperto e inclusivo, possiamo sperare di salvare il progetto. É giusto provarci e vale ancora la fatica dell’impegno, diversamente si dovrà attendere che altri provino a dare rappresentanza a chi oggi non ce l’ha”.

Parole condivisibili anche se viene da obiettare, naturalmente, ma dove era proprio Tullo nel momento in cui il partito andava sempre più sfaldandosi e non solo per le lotte delle correnti, ma per leader e leaderini e peones come lui allineati e ossequienti, schiavi, come dice lui oggi, del gruppo dirigente e dei gruppi parlamentari che coincidevano. E dove erano allora tutti gli altri pronti a recitare il quotidiano “obbedisco”? Onore al merito, comunque per l’autocritica. Per la prima volta dissacrante.

Gianni Crivello
Gianni Crivello

La macchia di Stazzema

E poi c’è il mio amico social Gianni Crivello, antagonista dal 2017 al 2022 del sindaco confermato Marco Bucci. Crivello il capo dell’opposizione per cinque anni, rimasto fuori per questione di briciole di voti. Anche lui prende parte al redde rationem della nostra sinistra intenta a strapparsi le vesti e leccarsi le ferite. E spiega, in linea con Mario Tullo: “Vogliamo ripartire da una vera Costituente della sinistra??

Oppure ancora una volta, si pensa prima ai nomi, rispetto ai contenuti??

Lungi da me, riassumere i dati, flussi, le mappe che confermano una nostra, sonora sconfitta.

Cito un risultato elettorale, che può descrivere quanto è accaduto nel nostro paese, dove la destra è prima in 98 province su 105:

Comune di Stazzema, in provincia di Lucca, uno dei luoghi simbolo della Resistenza, dove sulle montagne di Sant’Anna, furono fucilati, 560 civili… Fratelli d’Italia è il primo partito, col 32%

Rivolgo un invito, a chi fosse interessato, a leggere sul sito di Articolo Uno, una seria riflessione, che condivido in toto di ArturoScotto, dal titolo: “Ora una costituente della sinistra. Non è il tempo delle risposte ordinarie”

Cito un passaggio che ritengo (da tempo) assai convincente:

” Un processo costituente per una forza politica nuova, nome, simbolo, modello di organizzazione, che dica chiaramente chi vuole rappresentare, per cosa si batte e contro quali interessi milita…”

Aggiungo che si tratterebbe di un percorso vero, fondamentale, indispensabile per una sinistra di buon senso. Una sinistra, un centrosinistra, che la finisca di guardare solo il proprio dito, negli interessi di se stessa e quindi di tutto il paese.

Ad oggi non guardare la luna, ha contribuito alla legittima e democratica elezione di una presidente del consiglio, di destra, come Giorgia Meloni!!”.

Come dire che il momento dell’insostenibile scioglievolezza contrapposta al pragmatismo della politica per forza deve essere concluso. Che poi, non casualmente, si trattava dello spot pubblicitario di un cioccolatino, neanche di una pizza. Perché al momento di godurioso, o libidinoso a seconda delle legittime preferenze, come il riferimento al mitico cioccolatino a forma di boule vedo poco. Anzi a giudicare dalle previsioni funeree tra rincari, chiusure, disoccupazione e povertà galoppante, mi verrebbe proprio da dire: “Contrordine compagni. La confusione sotto il cielo è grande, ma la situazione è tutt’altro che eccellente. Anzi siamo veramente nella merda. E nessuno escluso”.

Paolo De Totero

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.