Processo Morandi, protesta dei cronisti davanti al tribunale: no al bavaglio

La manifestazione di oggi contesta l’ordinanza del tribunale che vieta le riprese audiovisive di tutte le udienze successive alla prima

Genova – “Il crollo di ponte Morandi è un evento che ha scosso non solo il nostro Paese ma tutto il mondo, è un fatto eclatante, clamoroso. Non siamo davanti a fatti intimi ma a responsabilità pubbliche. Non è accettabile che venga oscurato un processo per un fatto di questo genere. Faremo di tutto perché questo non sia un precedente”.
Così il presidente dell’ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Bartoli, arrivato oggi a Genova per appoggiare la protesta dei colleghi dopo l’ordinanza del presidente del tribunale che vieta alle telecamere l’accesso all’aula per tutte le udienze successive alla prima.
Fotografi e videoperatori hanno potuto filmare stamattina solo dieci minuti dell’udienza, entrando scaglionati nella tensostruttura allestita nell’atrio di palazzo di giustizia. Dopodiché è scattato il divieto, fatto che ha portato i cronisti a protestare aprendo uno striscione rosso con su scritto ‘No al bavaglio’ davanti all’ingresso del tribunale.
Tra i motivi dell’ordinanza ci sarebbe un non meglio specificato rischio di spettacolarizzazione del processo: “Sul rischio di spettacolarizzazione preferisco non commentare” ha aggiunto Bartoli che invece sull’interpretazione della legge che dà al presidente del tribunale la facoltà di oscurare il processo risponde che “questo è uno stravolgimento delle norme e dei principi che regolano la democrazia nel mondo“.

“Praticamente il processo per il crollo del Morandi viene trattato come un concerto rock dove si possono riprendere i primi 10 minuti senza poter raccontare cosa succede dopo” accusa il presidente dei cronisti liguri, Tommaso Fregatti, che poi aggiunge: “Siamo qui per protestare e chiedere al giudice di cambiare idea e ammettere le telecamere, i fotografi e le radio. Sono morte 43 persone e tutti devono sapere cosa è successo e il motivo per cui è crollato il ponte. Non condividiamo la motivazione dell’ordinanza che parla di spettacolarizzazione del processo. I giornalisti non spettacolarizzano nulla ma raccontano i fatti”.

Raccontare i fatti si chiama diritto di cronaca. Lo ricorda anche Alessandra Costante, vicesegretaria dell’Fnsi, il sindacato unico e unitario dei giornalisti italiani. “Noi abbiamo il diritto e il dovere di fare informazione e questo diritto-dovere in questo momento viene negato da un giudice con un’ordinanza francamente incomprensibile” sottolinea aggiungendo che questa “è una delle pagine più brutte e oscure della storia italiana. Il 14 agosto del 2018 è crollato un ponte per la mancata manutenzione e si è portato dietro 43 vite: la spettacolarizzazione è questa, non quella dei cronisti e degli operatori che entrano in un’aula di giustizia e documentano quello che accade. La giustizia viene amministrata in nome del popolo italiano e l’articolo 21 della Costituzione dice che i cittadini hanno il diritto ad essere informati”.
E non è la prima volta che in un tribunale le telecamere vengono oscurate. Succede anche in Calabria dove al maxi processo contro la ‘Ndrangheta, Rinascita Scott, sono vietate le riprese video.
Le restrizioni alla stampa sono un trend di questo Paese” precisa la segretaria generale aggiunta dell’Fnsi, Anna del Freo. “Non dimentichiamo la distorsione che è stata fatta della direttiva europea sulla presunzione di innocenza con la riforma Cartabia, che ha dato ai magistrati la possibilità di selezionare le notizie. Cioè: scelgono loro cosa dare alla stampa e cosa no. Ma secondo la legge italiana sono i giornalisti ad essere i custodi dell’informazione”.

Che il diritto di cronaca non comprenda le immagini è una visione assurda, antidiluviuana” denuncia il presidente dell’ordine ligure, Filippo Paganini, che poi fa un po’ la storia dei processi “trasmessi integralmente” in tv dal 1969 a oggi, passando per ‘Mani pulite’ e fino a ‘Un giorno in pretura’. “Non si capisce bene chi si vuole tutelare“, dice Paganini che tiene a chiarire: “Qui non si tratta di un processo per stupro o che riguarda un minore. Qui siamo di fronte a un processo in cui si chiede giustizia per 43 morti”.

Sono giornalisti anche i colleghi che trasmettono le immagini“, lo ribadisce Paolo Perrucchini. Il presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti è anche lui a Genova, davanti al tribunale, per protestare contro “questa brutta mania che sta prendendo piede di non ammettere i giornalisti nelle aule di tribunale”.
Di più. Il divieto stabilito dall’ordinanza impedisce persino l’uso delle immagini che saranno trasferite in sala stampa dal circuito chiuso allestito in aula.
“Il divieto dell’immagine in un processo come questo è davvero un tentativo di mettere il bavaglio all’informazione” conclude Perrucchini annunciando battaglia: “Per questo noi stiamo combattendo qua, per testimoniare il dovere nostro di informare e il diritto dei cittadini di essere informati”.

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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.