“Fammi lavorare due mesi e poi troviamo una tana e compriamo le armi”. Le intercettazioni della Digos genovese che inchiodano i terroristi islamici

Su Tik Tok i video con machete e coltelli

Genova – Una cellula terroristica che stava diventando operativa in Italia: “Fammi lavorare due mesi e poi troviamo la nostra tana. Due mesi e comincio a comprare le armi”.
C’era anche questo in una delle intercettazioni degli inquirenti finite nell’indagine antiterrorismo di matrice jihadista che stamattina ha messo in manette un gruppo di cittadini pakistani legati a uno degli attentatori che a settembre 2020 attaccò l’ex sede di Charlie Hebdo, a Parigi, ferendo due giornalisti a colpi di mannaia.

Il capo è un un 25enne pakistano residente a Chiavari che ha ottenuto lo status di rifugiato

Le parole sono quelle pronunciate da T. Y., un 25enne pakistano residente a Chiavari che nel 2005 aveva ottenuto lo status di rifugiato.
L’accusa è quella di aver tentato di costituire cellule terroristiche operative sul territorio italiano. Un primo passo che avrebbe potuto portare ad azioni violente. E infatti dalle pagine di Tik Tok il leader 25enne incitava a uccidere i “blasfemi”, brandendo machete o coltelli di grandi dimensioni e facendo il gesto di tagliare la gola. Oppure appariva avvolto da tunica e copricapo neri, declamando testi che inneggiavano alla violenza.
Il punto di svolta nell’inchiesta, ad aprile dello scorso anno, è stato il suo rientro in Italia dalla Francia, dove era stato arrestato due mesi prima per porto d’armi perchè girava in un luogo pubblico con un grosso coltello.
Dalle indagini, coordinate dalla procura di Genova, è emersa una pubblicazione continua di video e post apologetici e violenti riconducibili alla cellula, ramificata in diverse province italiane e in alcuni Paesi europei (Francia e Spagna), e riconducibile a un più ampio gruppo di giovani pakistani, auto-denominatosi “Gruppo Gabar”.
Oltre alle manifestazioni di vicinanza all’autore dell’attacco di Parigi, anche lui membro del Gruppo Gabar Francia, e di piena condivisione delle motivazioni che lo avevano indotto a passare all’azione, l’indagine ha consentito di delineare il substrato ideologico e confessionale dei sodali, sempre intenti a diffondere online dottrine religiose improntate alla violenza e con una forte visione antioccidentale, in piena aderenza alla linea dei predicatori che incitano all’uccisione di coloro che si “macchiano” di blasfemia.

“Abbiate un po’ di pazienza ci vediamo sui campi di battaglia”

Due mesi prima dell’attentato sotto l’ex sede del giornale satirico Charlie Hebdo a Parigi, alcuni degli arrestati dalla Dda di Genova si erano fatti una foto sotto la Torre Eiffel con l’attentatore e l’avevano pubblicata sui social con la didascalia “abbiate un po’ di pazienza ci vediamo sui campi di battaglia”.

terrorismo

14 ordinanze e 6 arresti in Italia

Al momento sono sei le persone arrestate in Italia nell’ambito di questa inchiesta, più una in Spagna.
Due persone sono state arrestate a Genova, una a Firenze, una in provincia di Reggio Emilia, una a Bari e una a Treviso. Dall’estate 2021 gli investigatori hanno documentato numerosi incontri tra gli indagati che, periodicamente, hanno raggiunto il territorio italiano, in particolar modo Fabbrico, in provincia di reggio Emilia, dove T. Y. si era stabilito perchè aveva trovato lavoro.
L’Italia, secondo gli inquirenti, era il luogo privilegiato per il supporto logistico del Gruppo Gabar. Una circostanza dimostrata anche dall’arresto a Lodi, a fine settembre 2021 di Ali Hamza, pachistano di 19 anni, su mandato di arresto europeo emesso dalla procura antiterrorismo di Parigi perchè legato all’attentatore di Charlie Hebdo al punto da aver ottenuto l’incarico di diffondere il video di rivendicazione dell’attacco una volta andato a buon fine.
Da ultimo, l’impianto investigativo ha trovato una conferma in una recente operazione in Spagna che, a febbraio 2022 ha portato all’arresto di cinque persone, di cui almeno tre in contatto con gli odierni indagati e tutti riconducibili al Gruppo Gabar.

Parente, operazione tra le più importanti in Italia

“Si tratta di una delle operazioni contro il radicalismo islamico tra le più importanti in Italia. Da quando faccio antiterrorismo, e sono tantissimi anni, io 14 ordinanze sinceramente non le ricordo. E questo serve a dare la dimensione non nazionale ma europea dell’operazione”.
Lo ha detto Diego Parente, capo della Direzione centrale della polizia di prevenzione, oggi in questura a Genova, durante la conferenza stampa nella quale sono stati illustrati i dettagli dell’operazione.
“Questa operazione è l’esemplificazione di quello che è il sistema italiano di contrasto al terrorismo: noi non aspettiamo che accadano i delitti, noi abbiamo come stella polare la prevenzione e l’obiettivo è quello di disinnescare prima le minacce”.

Pinto, fase embrionale scoperta con l’attività di prevenzione

Stessa conferma è arrivata dal Procuratore capo di Genova Francesco Pinto che, sempre in conferenza stampa, ha sottolineato che questo tentativo di creare una cellula terroristica sul territorio nazionale “è stata scoperta grazie a un’attività di carattere preventivo e di intelligence” e “sulla base di recenti arresti” in cellule parallele “sub operative in Francia e in Spagna”.

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Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.
Il mio impegno nel giornalismo d’inchiesta mi è valso il “Premio Cronista 2023” del Gruppo Cronisti Liguri-FNSI per un mio articolo sul crollo di Ponte Morandi. Sono co-autrice di diversi reportage tra cui il docu “DigaVox” sull’edilizia sociale a Genova; il cortometraggio “Un altro mondo è possibile” sul sindaco di Riace, Mimmo Lucano; “Terra a perdere”, un’inchiesta sui poligoni NATO in Sardegna.