Emergenza Covid-19: nel 2003 avevamo i protocolli, nel 2020 li abbiamo usati?

“Nella maggior parte dei casi infatti ogni nuova malattia infettiva fa molte vittime prima che i ricercatori riescano ad individuare l’agente infettante e ad arginare l’epidemia. Il timore ancestrale di essere alle prese con un nemico sconosciuto sembra dunque essere rinato in questi ultimi anni e la parola d’ordine tra infettivologi ed esperti di sanità pubblica é una sola: “essere pronti” ad affrontare la grande sfida della medicina moderna nell’era globale”.

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LE LINEE GUIDA DI REGIONE LIGURIA PREVISTE PER LA SARS NEL 2003

Inizia così il documento della Regione Liguria redatto nel 2003, durante l’amministrazione di Sandro Biasotti, quando ci trovammo a dover far fronte all’allerta sanitaria SARS (SARS-CoV)  ricevuta dal Ministero della Salute.
L’obiettivo cui miravano queste linee guida era di impedire la circolazione del virus, e per farlo era stato tracciato un protocollo ben definito da seguire per arginare la diffusione della SARS-CoV, che prevedeva la creazione di un “focal point” regionale (pag20) con l’Osservatorio Epidemiologico per le Malattie Infettive, con la Clinica di Malattie infettive dell’Università di Genova, gli Uffici di Sanità Marittima (l’USMAF), e il Servizio regionale Igiene Pubblica e Veterinaria. Insomma, a una prima analisi e dopo 17 anni, si può dire che la questione fu presa con una certa serietà.

Ma il documento riserva altri passi interessanti

Uno riguarda l’attacco del virus ai sanitari: “È necessario sottolineare che “il tasso d’attacco” della SARS, sugli Operatori Sanitari nelle zone epidemiche, è stato drammatico (pag.43) sino al momento di una massiccia adesione a standard assistenziali adeguati. Com’è noto le misure di isolamento riducono il tasso di acquisizione di nuovi contatti e le procedure di controllo, ad esempio l’uso dei DPI di III categoria, riducono le probabilità̀ di trasmissione durante il contatto”.

Quindi, con il possibile arrivo della Sars-CoV-2 (nel nostro caso il Covid-19) in Europa e in Italia, sarebbe stato opportuno premunirsi con i DPI necessari al fine di preservare proprio i sanitari che hanno il compito di assistere e curare i cittadini infettati dal virus.
Nell’ambito della sicurezza del paziente, questo esaustivo documento regionale del 2003 chiarisce anche come ci si deve comportare con i malati e quali sono le misure da adottare in caso di isolamento   nell’abitazione. È un lungo elenco da cui estrapoliamo i punti salienti, ma chi avesse voglia di leggerlo integralmente lo potrà trovare QUI (Pag32-33).

[…] 4. In caso di comparsa di sintomi deve:

“Telefonare immediatamente alla struttura deputata alla sorveglianza (U.O. Igiene e Sanità Pubblica o medico curante, se delegato) per essere sottoposto ad accertamenti presso il reparto di malattie infettive, al quale dovrà recarsi direttamente rispettando le indicazioni che le sono state date dai sanitari incaricati della sorveglianza.

Restare a casa in una stanza con la porta chiusa e la finestra aperta (in caso non sia possibile, assicurare frequenti ricambi d’aria). Le altre persone della famiglia dovranno rimanere lontane dalla persona malata, indossare la maschera di tipo chirurgico alla comparsa dei primi sintomi.
Tossire e starnutire direttamente su di un fazzoletto di carta.

C’era anche l’adeguato smaltimento

Il paziente dovrà riporre questi fazzoletti in un sacchetto di plastica impermeabile che dovrà chiudere ermeticamente e portare con sé per l’adeguato smaltimento.
Lavarsi frequentemente le mani in particolare dopo un contatto con i fluidi corporei (secrezioni respiratorie, urine e feci) abbassare sempre il coperchio del water prima di scaricare l’acqua per impedire l’aereosolizzazione di materiale eventualmente infetto.

Altro punto che le Linee guida tengono in considerazione è il dato relativo alla letalità (pag.9) “Il tasso di letalità (fatality ratio) della malattia è stato stimato: inferiore all’1% nei soggetti di età <= 24 anni; il 6% in quelli tra 25 e 44 anni; il 15% nei soggetti tra 45 e 64 anni; oltre il 50% nei soggetti >= 65 anni”.

Le RSA il punto debole

In parole semplici, considerando che la popolazione ligure in 17 anni è progressivamente invecchiata  arrivando ad avere il 28,5% con più di 65 anni, probabilmente andavano monitorate con molta più attenzione le RSA, veri e propri luoghi di forte fragilità, sia per quanto riguarda la gestione interna degli ospiti, ma soprattutto per la fornitura di DPI.
Infine, in questo documento un po’ trascurato, abbiamo trovato un passaggio interessante che sottolinea come va trattata una persona che presenti i sintomi in base al criterio epidemiologico, molto ben descritto nel vademecum del 2003:

“Il triage di persone con tosse o febbre deve comprendere alcune domande iniziali, volte a valutare i seguenti elementi:
Recente viaggio in aree affette da SARS,
Recente contatto (negli ultimi 10 giorni) con un ammalato di SARS, ????
Presenza di febbre, 
TosseDispnea.
Una persona che rispetta il criterio epidemiologico e presenta, inoltre, febbre e/o sintomi respiratori deve essere considerato come un caso sospetto di SARS o Persona sotto Osservazione (PSO) e, indipendentemente dalle condizioni cliniche, deve essere classificato come codice rosso per la necessità di un tempestivo isolamento e di immediata attuazione della altre misure di prevenzione”.

 

 

 

 

 

 

 

L’utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale, i famosi DPI, pur ricorrendo spesso in questa esaustiva relazione, sono stati nella realtà, insieme alla disponibilità di posti letto in terapia intensiva, l’anello debole nella gestione della pandemia da Covid-19, dapprima sottovalutata, poi rincorsa con affanno, e non ancora vinta

LE LINEE GUIDA DEL MINISTERO DELLA SANITÀ PREVISTE PER LA SARS NEL 2003

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Tra le altre cose esiste un altro documento dimenticato, ma non da noi che ne abbiamo parlato , redatto dal “Coordinamento interregionale per il controllo delle malattie infettive e le vaccinazioni” sempre nel  2003che spiega per filo e per segno che: “Il nuovo virus che dal novembre scorso ha dato origine a una nuova malattia infettiva nel genere umano appartiene alla famiglia dei Coronaviridae, il cui diametro varia dagli 80 ai 160 nanometri. Il SARS – CoV è quindi un nuovo virus non precedentemente presente nell’uomo o in animali. La sorgente del virus non è conosciuta ma la manifestazione clinica sembra essere comparsa per la prima volta nel novembre 2002 nella Regione del Guandong. È un virus a RNA, muta in quanto avvengono errori nella trascrizione del suo corredo genetico. È stato tipizzato geneticamente in vari laboratori nel mondo e filogeneticamente assomiglia a quello del bovino, del maiale e del topo“.
Poi sulle caratteristiche cliniche scrive: “Il sintomo più frequente è rappresentato dalla febbre superiore a 38°C; per questo motivo la febbre rappresenta il principale criterio dell’attuale definizione di caso. Tuttavia, la febbre può non essere presente nelle fasi iniziali della malattia o in soggetti che hanno comorbidità. La febbre è in genere associata a brividi, sensazione di freddo, mialgie”. 

Ma uno dei punti di maggior interesse si può leggere da pagina 25 e segg:

Prima di disporre l’isolamento domiciliare bisogna valutare
“le condizioni cliniche del paziente;
l’anamnesi epidemiologica;
????se l’abitazione presenta requisiti tali da consentire un isolamento in condizioni di sicurezza per gli altri componenti del nucleo familiare”.

Per quanto concerne l’abitazione devono essere soddisfatti i seguenti requisiti:

“Deve essere disponibile una camera da letto separata con finestra e un bagno separato dagli altri componenti la famiglia ove isolare il paziente;
deve essere disponibile un telefono;
l’abitazione deve essere situata in una località da cui sia possibile raggiungere agevolmente le strutture di assistenza in caso di eventuali urgenze.
Deve essere presente almeno una persona che sia in grado di assicurare assistenza al domicilio e seguire le indicazioni del servizio di Sanità Pubblica”.

La/le persone che assicurano l’assistenza a domicilio devono essere istruite su:

“Modalità di gestione dell’isolamento,
uso di presidi di protezione individuale,
modalità di decontaminazione degli effetti letterecci (lenzuola e federe, ad esempio), dei vestiti, delle stoviglie e di altri articoli utilizzati dal paziente”.

Un protocollo severo

Si tratta di una serie di procedure piuttosto precise e rigorose tanto che, riportate alla crisi sanitaria odierna, non avrebbe trovato nella realtà genovese una efficace applicazione se non in rarissimi casi. Infatti le dimensioni abitative tali da garantire che il sospetto contagiato possa vivere in isolamento senza il rischio che altri componenti della famiglia vengano infettati, potendo quindi  usufruire di camera con bagno ad uso esclusivo è una pia illusione. Ci chiediamo se queste condizioni siamo state verificate, o chi doveva verificarle, perché in caso di abitazione non idonea a ospitare un paziente positivo andavano trovate soluzioni differenti che garantissero la sicurezza di tutta la comunità.  Senza contare che nella “frenesia da contagio” igienizzanti e altri prodotti  sono spariti dal mercato quasi istantaneamente, sostituiti spesso da altri “farlocchi” e quindi inefficaci, su cui è dovuta intervenire spesso e con efficacia la Guardia di Finanza.

Mancavano i DPI

 Un fatto incontrovertibile è che l’approvvigionamento di DPI nelle strutture sanitarie era insufficiente ad affrontare l’emergenza sanitaria, e che nonostante le notizie preoccupanti che arrivavano dalla Cina, chi era preposto ad affrontare un’eventuale epidemia abbia ragionato con il principio del “Io speriamo che me la cavo”, lasciando nelle mani della sorte la vita dei malati, dei sanitari e dei cittadini.
Naturalmente, le fazioni  politiche si rimpalleranno, anzi già lo stanno facendo,  le responsabilità di questa disfatta finché, trascorsi un po’ di mesi, finirà tutto  a prendere polvere in “cantina”.
Non ci appassiona sapere se le responsabilità siano dell’amministrazione centrale o di quelle locali,   dovrebbe essere compito di altri stabilirlo, ma di certo la nostra preoccupazione è stata tanta quando abbiamo visto attivarsi i comitati per fornire DPI allo Scassi, che versava in condizioni di estrema emergenza. Non siamo neanche stati in grado di fornire ai Vigili del Fuoco e alla Polizia di Stato gli  strumenti di protezione per non infettarsi durante la loro fondamentale attività sul territorio. E mentre la politica si scontra sui social e in tivù con dei battibecchi da cortile, noi aspettiamo di sapere quante piccole aziende e quanti artigiani e commercianti rimarranno sepolti dalle macerie di questa emergenza sottovalutata.

fp

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Fabio Palli

Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.