Il Doge Lercari e quella risposta “storta” a Versailles

Il bombardamento di Genova del 1684 da parte dei francesi rappresenta uno degli eventi più pesanti che la città abbia subito. Al termine il Doge Francesco Maria Imperiale Lercari fu costretto a recarsi personalmente a Versailles per fare atto di resa e sottomissione. E’ legittimo domandarsi quali furono le valutazioni che portarono chi esercitava il potere decisionale a non fare un atto di resa prima dell’inizio dei bombardamenti navali. Vi fu indubbiamente una sottovalutazione degli effetti dei bombardamenti, avendo recentemente i francesi bombardato Algeri con esigui risultati.
Poi vi è da considerare che la Repubblica era stata recentemente falcidiata dalla peste del 1656-1657 che aveva decimato la classe patrizia che governava la città.

Fatto sta che il 18 maggio 1648 146 consiglieri su 150 decisero di non arrendersi. Iniziarono così undici giorni di lanci di proiettili di pietra da 40 e 90 chili oltre a micidiali granate incendiarie per un totale di 13300 colpi. Un soldato francese si vantò di avere potuto leggere il suo libro sull’imbarcazione alla luce di Genova che bruciava. Ma la storia ha un altro risvolto, perchè i francesi pensarono di avere mozzato le difese e tentarono il 22 ed il 23 maggio lo sbarco a terra, ma ebbero amare sorprese. Le truppe che sbarcarono sulla foce del Bisagno vennero accerchiate ed uccise. A Sampierdarena, 3500 uomini scesero dalle galee, trovarono ad accoglierli gli “uomini feroci” della Val Polcevera, gli stessi miliziani che nel 1625 avevano fronteggiato i piemontesi, aiutati i da miliziani spagnoli giunti in aiuto sul territorio. I francesi ebbero considerevoli perdite e risalirono sulle loro imbarcazioni. I bombardamenti ripresero e cessarono il 29 quando le navi salparono e lasciarono il golfo. Quello che rimase fu una città esausta e provata, in preda a fenomeni diffusi di sciacallaggio. Il Doge si preparò per l’atto di resa, ma pativa il mal di mare e quindi furono  preparare le carrozze per Versailles.

Ivi giunto , gli venne domandato cosa lo stupisse maggiormente della Reggia e della sua magnificenza. Rispose in genovese con due parole: “Mi chi” (Io qui). I francesi rimasero molto contrariati.

Scrisse il francese Jean Janin, raffinato scrittore e grande viaggiatore nel suo “En Italie” (1852), al proposito:  “… Per capirla, quella risposta, che in fondo è molto semplice e bella, bisogna aver conosciuto Genova ed aver visitato da cima a fondo i suoi palazzi. Infatti se i cortigiani di Luigi XIV avevano creduto di stupire il Doge di Genova con lo splendore e la magnificenza di Versailles è perchè ignoravano da quale città provenisse.
Se avessero saputo che quel mercante, rappresentante di una città di mercanti, aveva anche lui il suo palazzo di Versailles e che il suo si trovava in una strada che ne era piena, non si sarebbero precipitati a chiedergli “Cosa vi stupisce di più, Monseigneur?” E di cosa volevate che si stupisse quell’uomo? Dei vostri palazzi di pietra? Egli ne aveva uno in marmo! Delle vostre colonne di marmo? Egli aveva le colonne in porfido! Delle vostre colonne in porfido? Egli aveva le colonne tempestate in lapislazzuli. Del vostro architetto Mansart? Egli aveva  come architetti Francesco Falcone, Andrea, suo fratello e Carlo Fontana, che aveva innalzato l’obelisco di Roma e aveva costruito scalinate più belle di quelle di Versailles. Voi avevate delle statue di Coysevox, egli aveva statue di Puget. Lebrun era il pittore del Re, il pittore del Doge si chiamava Paolo Veronese. Il re faceva dipingere il proprio ritratto da Mignard: il Doge faceva dipingere sua moglie, suo figlio ed il cane da Van Dyck. Cosa quindi, pur nella magnifica Versailles, poteva stupire lui, il Doge di Genova, la cui camera era affrescata dall’Aldobrandini, le cui tappezzerie erano disegnate dal Romanelli, che aveva al suo esercizio il Correggio, Tiziano, il Caravaggio? Di cosa poteva stupirsi quel Re di una Repubblica che non comprava a caso i dipinti dei maestri celebri ma che, di padre in figlio, faceva venire in casa i pittori e diceva loro: “In questo posto mi ci vuole un capolavoro” e che aveva ai suoi ordini il Tintoretto, cosi’ come suo nonno aveva avuto Albrecht Durer? Un uomo che aveva commissionato “La Maddalena” a Paolo Veronese apposta perchè coprisse un pezzo di  muro della sua casa, di cosa poteva stupirsi?”

Mauro Salucci è nato a Genova. Laureato in Filosofia, sposato e padre di due figli. Apprezzato  cultore di storia, collabora con diverse riviste e periodici . Inoltre è anche apprezzato conferenziere. Ha partecipato a diverse trasmissioni televisive di carattere storico. Annovera la pubblicazione di  “Taccuino su Genova” (2016) e“Madre di Dio”(2017) .   “Forti pulsioni” (2018) dedicato a Niccolò Paganini è del 2018 e l’ultima fatica riguarda i Sestieri di Genova.

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