Il negretto dove l’ometto?

In tanti anni vissuti a stretto contatto con i fotografi ne ho viste molte. Perché l’arte di cogliere l’immagine, alla fine, quando diventa un lavoro, si trasforma nella necessità di saper mettere nell’immagine tutto. Anche quello che non c’è.
O, magari, di cancellare il sovrabbondante. C’era un fotografo che viaggiava con un bambolotto nel bagagliaio della sua auto, che lasciava con noncuranza sull’asfalto quando doveva fotografare i rottami di una macchina coinvolta in un incidente. Un altro che nello stampare l’immagine di un gol se mancava il pallone lo inseriva a bella posta. Per non parlare delle malizie dei fotografi che ti scattavano le fototessera. Occorreva avere e saper dimostrare qualche pratica in camera oscura.

L’avvento del Photoshop ha determinato una sorta di rivoluzione, con tutto quello che ne è conseguito. Con i telefonini e le tecnologie sempre più all’avanguardia e con la conseguente facilitazione di torme di utenti diventati fotografi a bella posta. Quando vedo quei rossi virati dei tramonti, con le nuvole azzurrate, viaggiare sui profili social di tanti miei amici penso che sia stata una grande rivoluzione. Un po’ meno nel momento in cui vengo travolto da immagini del profilo, o anche no in cui  il mio social interlocutore ha pensato di ridisegnarsi con un muso di maiale e orecchioni da coniglio. Adesso, si fa per dire, e’ di moda la barba e il berrettone di babbo natale, o inserire l’immagine del profilo personale nella ghirlanda natalizia. Così è se ci pare.
Poi ci sono gli slogan di giornata inseriti, a scopo di propaganda o di atto di fede, sotto al mezzo busto. Perché la comunicazione, politica e non, così viaggia veloce.
Insomma pensavo di essere ormai vaccinato a tutto. Ho notato, per esempio l’effetto rigenerante, di certi programmi di Photoshop su molti miei amici e soprattutto amiche. In un solo clic sono scomparse rughe, zampe di gallina, si sono gonfiate o assottigliate le labbra, vellutate pelli ormai sature, cancellati nei e illuminati gli occhi. Potere del ritocchino, per il quale, almeno in foto, i chirurghi plastici non necessitano.

E così mi è capitato di riflettere sull’importanza della comunicazione attraverso le immagini. Dove fondamentale è diventato quello che si vuol mostrare, non quello che realmente è. Soprattutto in ambito politico, in cui non è più tanto facile fare la tara al potere della narrazione. Proprio come se si trattasse di un qualunque spot pubblicitario.

Paola Bordilli Assessore al Commercio
Paola Bordill

E nonostante tutto sono rimasto perplesso di fronte ad una fotografia che l’assessore al commercio all’artigianato e al turismo del Comune, Paola Bordilli, ha recentemente inserito nel suo profilo. Ovviamente la Bordilli, che è una bella donna e sul suo profilo si descrive “Ci metto anima&faccia senza abbassare lo sguardo, con il CUORE PULITO si può andare avanti senza paura”. Lei, la bella Paola, sta in primo piano a bordo di una bicicletta risciò. Sul risciò cabinato che si porta al seguito è stato collocato un ufficio mobile per le informazioni turistiche. Il sito della foto con l’assessore sorridente e sui pedali è, ovviamente, piazza De Ferrari, lato ingresso Ducale. Solo che sullo sfondo, seduto sul bordo della vasca comparirebbe un ragazzo di colore – probabilmente un extracomunitario -. Così, mentre nella foto inviata dall’ufficio stampa del Comune, il giovane di colore appare in tutta la sua “negritudine”, in quella che la Bordilli pubblica sul suo profilo compare/scompare appena appena avvolto da un alone di nebbia. E non capisco se l’assessore abbia voluto tutelarne la privacy, provare un effetto “Michael Jackson”, o se l’intenzione fosse quella di cancellarlo del tutto. Come se a Genova le cosiddette “risorse” di boldriniana memoria dovessero essere destinate a scomparire, o la loro presenza diventasse scomoda, soprattutto se pubblicata sul sito di un assessore del comune di Genova in quota Lega. Alle dipendenze di un vicepremier e ministro degli interni che sugli immigrati sta facendo una battaglia politica. A meno che, poi, come asseriscono molti sociologi a buon mercato, la foto non venga elaborata come fosse la trasposizione di un sogno nella realtà.

Comunque, tanto per non lasciare la Bordilli tutta sola, in compagnia del suo proverbiale fascino, vorrei farvi riflettere su questa notizia comparsa qualche giorno fa su “La Repubblica”, notorio giornale di opposizione dove lavorano sciacalli, pennivendoli e puttane. Scrive il collega “Niente che possa ricordare ai bambini le altre culture o la propria cultura di provenienza, se diversa da quella italiana. Così, nel regolamento dell’asilo nido comunale di Codroipo, in provincia di Udine, è stato eliminato, con un emendamento approvato dalla maggioranza in consiglio comunale, ogni riferimento alle “diverse culture” o alle “culture di provenienza” degli alunni. Come racconta il Messaggero Veneto, questa decisione avrà tra le conseguenze anche quella di mettere al bando bambolotti con la pelle di colore diverso da quella bianca, strumenti musicali che vengono utilizzati in altri Paesi o giocattoli che possano ricordare, appunto, culture diverse”. In pratica fra i giocattoli, indicati come strutture didattiche, spariranno strumenti musicali che si riferiscono ad altri Paesi e bambolotti di colore.

Insomma l’osservanza della linea politica prescinde dai problemi di coscienza e, talvolta, vale bene un clic di Photoshop.

Giona

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.

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