Alessandro Barberio, psichiatra di MSF: “Lesbo mi ricorda un manicomio d’altri tempi”

Per 14 anni ho lavorato come psichiatra nel dipartimento di salute mentale di Trieste. Sono considerato un esperto nella gestione di emergenze di salute mentale avendo assistito persone con dipendenze e morbosità psichiatriche. Curo persone vittime di tratta, fornisco assistenza psicologica ai rifugiati e alle persone in carcere, offro la mia consulenza in materia di protezione e collaboro in alcuni programmi di recupero sociale. Nel corso della mia professione, ho acquisito una significativa esperienza clinica e professionale in contesti difficili e situazioni di crisi.

Dopo tanti anni di professione medica, posso dire di non aver mai assistito un numero così grande di persone bisognose di assistenza psicologica come a Lesbo. La stragrande maggioranza dei pazienti presenta sintomi di psicosi, ha pensieri suicidi o ha già tentato di togliersi la vita. Molti non sono in grado di svolgere nemmeno le più basilari attività quotidiane, come dormire, mangiare o parlare.

Il campo di Moria a Lesbo sta scoppiando: vi sono oltre 9.000 persone, un terzo delle quali sono bambini, stipate in uno spazio attrezzato per accoglierne al massimo 3.100. Le condizioni di vita spaventose sono alla base del tracollo fisico e psicologico delle persone. Tra i richiedenti asilo ci sono persone vittime di forme estreme di violenza e tortura, subite sia nel loro paese di origine sia durante la fuga. Sono stati gravemente traumatizzati, mentalmente e fisicamente.

Nella loro prigionia sull’isola di Lesbo sono costretti a vivere in un contesto che favorisce una violenza costante, inclusa quella sessuale o di genere, che colpisce bambini e adulti. Questa violenza scatena lo sviluppo di gravi sintomi psichiatrici. L’aumento del numero degli arrivi, combinato con il più basso tasso di trasferimenti verso la terraferma, esaspera ulteriormente queste condizioni e contribuisce al crescente aggravamento dei problemi psicologici di queste persone.

Ogni giorno le équipe di MSF a Mitilene e Moria, oltre a dover colmare le lacune del sistema sanitario locale, faticano a coprire gli enormi bisogni medici, da quelli pediatrici a quelli di salute mentale. In più ogni giorno assistiamo alla violazione del sistema di asilo, al deterioramento delle condizioni di vita e al fallimento del governo greco, dell’Europa e delle Nazioni Unite nel rispondere a questa crisi. La nostra limitata capacità di modificare sostanzialmente la situazione aumenta il livello di stress. Inoltre c’è un afflusso sempre crescente di nuovi e più gravi casi psichiatrici e non credo che questa tendenza cambierà presto finché la politica di contenimento rimarrà in vigore.

Mentre queste persone vulnerabili attendono la conclusione della loro domanda di asilo, mi colpisce come le condizioni di vita spaventose, l’esposizione a continue violenze, la mancanza di libertà, il grave deterioramento della salute fisica e mentale e le pressioni sugli abitanti dell’isola facciano assomigliare Lesbo a un vecchio manicomio come non ne esistono più in gran parte dell’Europa, dalla metà del XX secolo.

Nel frattempo, la tensione e la sofferenza tra i cittadini e le persone che lavorano in organizzazioni locali o governative sono sempre più visibili. Altre ONG con le quali collaboriamo sono ugualmente angosciate e sopraffatte fino al punto di sospendere o ridurre le attività, aggravando ulteriormente questa situazione disperata.

Considerando la totale violazione dei diritti umani e le gravi necessità mediche e psichiatriche che affrontiamo ogni giorno, è chiaro come Moria si trovi in uno stato di emergenza. Sarebbe irragionevole e non etico non prendere immediatamente provvedimenti risolutivi. Sulla base della mia lunga esperienza clinica e dell’analisi di questo difficile contesto, credo fermamente che la situazione attuale degenererà drasticamente già a partire dalle prossime settimane, fino al punto di far precipitare l’isola nel caos estremo.

 

 

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