È morto “u Ninnu” Agosti, il console della Culmv

Genova Era un uomo del Novecento Giovanni Agosti – nel senso che ha attraversato i suoi grandi avvenimenti italiani -, figura storica del lavoro portuale a Genova, dal 1966 al 1984 console della Compagnia lavoratori merci varie (Culmv), scomparso oggi  all’età di 95 anni. Secondo in popolarità, in ambito portuale, forse solo all’altro console Culmv per antonomasia, Paride Batini, al quale non a caso ha lasciato il posto al momento di andare in pensione.
Uomo del Novecento, dicevo, ancora lucidissimo nonostante l’età ultra ottuagenaria, con una serie infinita di avventure alle spalle. Momenti di storia a cui avevo fatto l’orecchio durante le cene di Natale in cui si riuniva la mia famiglia. Mio padre in fondo, a questo punto, di anni ne avrebbe avuti  solo due di più di lui.
E quindi la guerra, i tedeschi, la frequentazione sporadica, visto che il padre era originario dell’Emilia e antifascista, con i balilla, il primo lavoro in porto, a come garzone, militare nel battaglione San Marco. Tornato a Genova dopo l’8 settembre trova lavoro ai cantieri di Sestri. 

Ha raccontato lo stesso Agosti al collega Renzo Parodi nove anni fa: «L’8 settembre ero a Santa Marinella, nei pressi di Roma, fante di marina del Battaglione San Marco. Ci avevano trasferiti da Tirrenia per fare da guardia del corpo al governo Badoglio, a dirlo mi scappa da ridere. Quando la radio annunciò l’armistizio noi esplodemmo di gioia. La guerra è finita!, gridavamo. Il nostro tenente, un piemontese, ci radunò in piazza e ci parlò: Ragazzi, la guerra non è affatto finita. Abbiamo i tedeschi in casa e non vi lasceranno neanche gli occhi per piangere».

E poi il campo di concentramento, tre mesi a Mathausen.
Ha raccontato ancora Giovanni Agosti: «In ogni fabbrica agiva il comitato clandestino che aveva organizzato gli scioperi del marzo 1943. Io lavoravo a Sestri, nel cantiere navale. Qualche giorno prima del rastrellamento era salito a bordo il direttore generale dell’Ansaldo e ci aveva avvertiti: “Non scioperate più o vengono i tedeschi e vi portano tutti in Germania.  E il 16 giugno del ’44, arrivarono tedeschi, ci radunarono e ci caricarono sui mezzi dell’Uite, l’Amt dell’epoca, e ci trasportarono alla stazione ferroviaria di Campi. Caricati sui vagoni iniziò il nostro calvario. Nessuno era riuscito ad avvertire i familiari, nessuno sapeva che cosa ci aspettava. Ma capivamo che si metteva male e che non avremmo rivisto i nostri cari per molto tempo, forse mai».

Dopo?

«Abbiamo fatto tappa al confine, poi a Linz, in Austria, e infine a Mauthausen.
Scesi dal treno, dopo un po’ di cammino abbiamo visto i tedeschi disarmare le Brigate Nere che li avevano aiutati nel rastrellare le fabbriche. Ciazeivan comme di figgeu piccin. Si vede che non si fidavano di loro. A Mauthausen li hanno messi da una parte, certo non potevano rinchiuderli con noi. Non so che fine hanno fatto. Noi siamo rimasti più di tre mesi a Mauthausen a lavorare duro, dodici ore, giorno e notte. Da mangiare ci davano una sbobba schifosa. Mi feci animo: se volevo sopravvivere, dovevo ingoiarla. Trascorsi tre mesi, hanno cominciato ad assegnarci ai nostri lavori di specializzazione. Smistati in diversi campi – io finii nei pressi di Linz – ogni mattina eravamo condotti in fabbrica. Si facevano i turni, una settimana di notte e una di giorno, dieci ore a turno. Ricordo dei prigionieri spagnoli, gonfi in faccia per la fame. I tedeschi erano aguzzini. Appena tornato dalla Germania. Sono entrato nel consiglio di amministrazione della Culmv nel 1953, sono stato vicecapo e poi capo della sezione più grossa, la San Giorgio, quella dei giornalieri che lavoravano in stiva. I camalli lavoravano a terra, i cassai riparavano le casse rotte, gli imballatori che cucivano i sacchi rotti, i portabagagli, le sezioni erano sette. Nel 1966 ero diventato console».

La storia in sintesi è più o meno questa.  Poi c’è tutto il resto, in una città che piano piano sta perdendo la sua professione portuale, e dove la trasformazione del lavoro dei lavoratori della Compagnia viaggerà di pari passo con quella del porto. In una città dove prima il Pci ammicca alle Br come i compagni che sbagliano e poi dopo l’assassinio di Rossa taglia tutti i ponti.
Discorsi iniziati e lasciati a metà fra una portata e l’altra durante qualche pranzo a casa Agosti, insieme a Eugenio, il secondo genito mio collega al Corriere Mercantile e compagno in comitato di redazione.

Mi piace ricordare suo padre, con le parole di un altro mio amico, Arcangelo Merella, consorte della primogenita Isoletta, che Giovanni Agosti lo ha frequentato per una vita prima come esponente politico e poi come suocero: «CIAO NINO! Alla soglia dei 95 anni ci ha lasciati Giovanni Agosti, u Ninnu, uomo giusto, generoso, altruista, rigorosamente onesto. Una vita spesa per il Lavoro, per il porto, per la grande comunità dei camalli ai quali si sentiva, sempre, intimamente legato. Di straordinaria sensibilità sociale verso i più deboli e i poveri, elargiva senza ostentare, con enorme discrezione, piccoli aiuti ogni qualvolta riteneva il gesto utile a lenire un po’ di sofferenza. Attaccato alla tradizione, anche politica, aveva la capacità di immaginare un futuro diverso, di inevitabile cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, nell’evoluzione della politica senza mai però rinnegare, neppure per un attimo, la fede nei valori di giustizia, libertà, solidarietà che hanno costituito e caratterizzato la sua lunga vita di uomo, di dirigente politico, di militante e amministratore pubblico. Deportato nei campi di concentramento è tornato a casa più forte di prima, portuale e poi per 16 anni Console della Compagnia Unica quando i portuali erano 8.000, è stato socio fondatore della Cooperativa Negro poi Consigliere Comunale e Provinciale, dirigente sindacale e, in ultimo, Presidente Onorario dell’Associazione di ex deportati “16 Giugno”. Ma per me è stato soprattutto un insostituibile nonno dei miei figli, punto di riferimento morale e affettivo».

E non posso che pensare, insieme ad Arcangelo, quale tipo di rapporto possa avere avuto con i suoi nipoti, quest’uomo dolce, attento, disponibile, pronto a raccontare la sua storia ma mai in prima persona e solo perché i presenti potessero trarne qualche insegnamento. Nei momenti in cui ero ammesso all’intimità della sua famiglia lo vedevo esattamente così, attento agli altri, alle opinioni degli altri, pronto a mettersi in gioco, a ribattere, a rispiegare, a cercare di farsi capire, a darsi agli altri. Non a caso Arcangelo Merella ha postato tre foto.

 

Giovanni AgostiNella prima (la foto di copertina) è ritratto con Sandro Pertini, uomo d’altri tempi. Nella seconda è in giacca e cravatta a una manifestazione ufficiale e nell’ultima è con il grembiule da militante in un ristorante della Festa dell’unità. Nel 1984 andò in pensione per dedicarsi alla famiglia, ai nipoti che sarebbero arrivati e ancora un po’ alla politica. Lasciò il suo “regno” nelle mani di Paride Batini con un lavoro in profonda trasformazione. Qualcuno cercava di creare un po’ di antagonismo, ma alle domande più torbide lui rispondeva sempre con un sorriso. E ancora otto anni fa raccontava”.

Giovanni AgostiHo conosciuto Paride Batini tantissimi anni fa, quando lui era ancora un avventizio. Ma già all’ inizio della sua vita nella Compagnia Unica dimostrava di volersi impegnare attivamente nella vita interna della Culmv, tanto che faceva parete della commissione degli avventizi a Roma. Fin da allora era un ragazzo vicino alla sua gente. È lui che mi ha sostituito nel 1984, quando sono andato in pensione. Ha raccolto un’ eredità difficile: sono stati tempi non certo facili peri portualie per chi li ha guidati. Le difficoltà erano già fortissime durante in miei diciotto anni da console. L’ avvento dei contenitori nel trasporto delle merci aveva già ridotto fortemente il ricorso al lavoro degli scaricatori. Quando ero stato eletto console, nel 1966, i portuali erano 8.500, quando me ne sono andato si erano ridotti a 4.500. Oggi sono 1.500. Batini ha attraversato le fasi più tempestose nei cambiamenti dell’ organizzazione portuale. Devo dire che ce l’ ha messa tutta per reggere questo impatto, una dedizione che gli fa onore. Negli ultimi anni sapevo della sua malattia, ero informato delle sue condizioni da amici comuni, ma non ho mai cercato di incontrarlo perché mi rendevo conto della delicatezza della situazione”.  Personaggi che hanno fatto la storia della nostra città. Come il compianto sindaco Fulvio Cerofolini, la cui nipote Camilla, primogenita della figlia Mariella si è spostata con il primogenito di Arcangelo Merella, Francesco, rendendo u Ninnu bisnonno. 

I funerali di Giovanni Agosti ai terranno lunedì alle 11,45 nella chiesa Sacro cuore di Carignano. Alla famiglia le mie personali condoglianze e quelle di Fivedabliu.

Paolo De Totero

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