Apologia degli Umarell, a Bologna spunta la loro piazza

Bologna è avanti. L’ho sempre saputo. E non tanto per gli incontri casuali con un suo ex sindaco che gravita ormai da tempo e per amore nella mia città. Che, fra l’altro, a Bologna ha pure subito parecchie contestazioni. Il mio cuore musicale comunque è un po’ più in là sull’Appennino fra Modena e Pistoia, a Pavana, nella zona che ha dato i natali al mio cantautore storicamente di riferimento. Quello che un’occhio di riguardo per gli anziani l’ha sempre avuto sin dai suoi anni giovanili. Quello di Amerigo. Il testo racconta del rispetto e dell’empatia che andrebbero portati agli anziani, al loro vissuto e alle loro storie. Con tanto di infantile stupore per il cinto erniario, talvolta esprimendo gratitudine quando ce le raccontano.

Ecco, parole e musica di Francesco Guccini:

“Quand’ io l’ ho conosciuto, o inizio a ricordarlo, era già vecchio 
o così a me sembrava, ma allora non andavo ancora a scuola. 
Colpiva il cranio raso e un misterioso e strano suo apparecchio, 
un cinto d’ ernia che sembrava una fondina per la pistola. 
Ma quel mattino aveva il viso dei vent’ anni senza rughe 
e rabbia ed avventura e ancora vaghe idee di socialismo, 
parole dure al padre e dietro tradizione di fame e fughe 
E per il suo lavoro, quello che schianta e uccide: il fatalismo. 
Ma quel mattino aveva quel sentimento nuovo per casa e madre 
e per scacciarlo aveva in corpo il primo vino di una cantina 
e già sentiva in faccia l’ odore d’ olio e mare che fa Le Havre, 
e già sentiva in bocca l’ odore della polvere della mina. 
L’ America era allora, per me i G.I. di Roosvelt, la quinta armata, 
l’ America era Atlantide, l’ America era il cuore, era il destino, 
l’ America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata, 
l’ America era il mondo sognante e misterioso di Paperino. 
L’ America era allora per me provincia dolce, mondo di pace, 
perduto paradiso, malinconia sottile, nevrosi lenta, 
e Gunga-Din e Ringo, gli eroi di Casablanca e di Fort Apache, 
un sogno lungo il suono continuo ed ossessivo che fa il Limentra. 
Non so come la vide quando la nave offrì New York vicino, 
dei grattacieli il bosco, città di feci e strade, urla, castello 
e Pavana un ricordo lasciato tra i castagni dell’ Appennino, 
l’ inglese un suono strano che lo feriva al cuore come un coltello. 
E fu lavoro e sangue e fu fatica uguale mattina e sera, 
per anni da prigione, di birra e di puttane, di giorni duri, 
di negri ed irlandesi, polacchi ed italiani nella miniera, 
sudore d’ antracite in Pennsylvania, Arkansas, Texas, Missouri. 
Tornò come fan molti, due soldi e giovinezza ormai finita, 
l’ America era un angolo, l’ America era un’ ombra, nebbia sottile, 
l’ America era un’ ernia, un gioco di quei tanti che fa la vita, 
e dire boss per capo e ton per tonnellata, “raif” per fucile. 
Quand’ io l’ ho conosciuto o inizio a ricordarlo era già vecchio, 
sprezzante come i giovani, gli scivolavo accanto senza afferrarlo 
e non capivo che quell’ uomo era il mio volto, era il mio specchio 
finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo…

E perciò, ripensandoci, non mi sorprende nemmeno troppo la storia degli Umarell che, sempre per parlare di grandi romagnoli, mi riporta immediatamente a quel poetico nonno di Titta perso nella nebbia in Amarcord di Federico Fellini. Il più autobiografico dei film del regista riminese. E l’anziano è il nonno, che nella civiltà contadina pur inurbata che ricorda Fellini, ha sempre rappresentato il capostipite della famiglia.

E quindi mi e sembrato un giusto omaggio quello del Comune di Bologna di dedicare una piazza proprio agli Umarell, quei pensionati che con le braccia incrociate dietro la schiena osservano con attenzione il lavoro al di là delle transenne nei cantieri biascicando fra sé e sé che probabilmente il tutto si poteva fare meglio. Ne ha dato notizia in un breve articolo, qualche giorno fa, il Corriere.it:
“BOLOGNA – È un po’ nascosta, ma un occhio attento la saprà scovare. E poi quella recinzione del giardino, come miele per le api per gli «umarells» bolognesi che da oggi possono festeggiare. O fermarsi a contemplare la targa che indica il loro nome. La prima e unica piazzetta a loro dedicata, nel cuore della Cirenaica, al quartiere San Vitale-San Donato, in via Scipione dal Ferro, a Bologna. 
Gli anziani «antenna sul territorio»
Come sempre accade in questi casi, all’inaugurazione tutti si sono professati umarells. E i più giovani, solo per una questione anagrafica, hanno promesso che lo diventeranno. In realtà l’unico ad avere i titoli per parlare a nome della categoria era Franco Bonini, insignito del premio di Umarells dell’anno nel 2015. «Sempre a gratis – spiega – non ho mai chiesto un euro». L’artefice di tutto questo è invece Danilo Masotti, colui che ha riscoperto quella vecchia parola dimenticata del dialetto bolognese, l’ha mandata online sul suo blog a metà degli anni 2000 e poi ci ha scritto un libro di successo. Con l’obiettivo di far conoscere a tutta Italia questi anziani signori bolognesi (ma in realtà ogni città ha un suo umarell) e rendergli finalmente il giusto onore. Perché loro «sono la nostra antenna sul territorio, per i cantieri, le buche, gli alberi, i marciapiedi», ringrazia il presidente del quartiere San Donato-San Vitale Simone Borsari. «Ci permettono di affrontare il tema della sicurezza e della vivibilità senza parlare di degrado e violenza. Sono l’antidoto al razzismo e all’intolleranza», quasi s’inchina al loro cospetto l’assessore alla Cultura Matteo Lepore”.

E già alcuni mesi fa gli Umarell mi si sono presentati come una potente metafora del nostro paese, attualmente alle prese con una riforma delle pensioni, dopo la famigerata legge Fornero,  che chissà se mai, al di là delle promesse elettorali di Matteo Salvini, di Luigi Di Maio e del Centrodestra, vedrà la luce.

Una piazza per ricordare, e magari chissà una festività dedicata. Il monumento c’è già anche se nelle dimensioni ridotte dei 14 centimetri di altezza. A produrlo ci ha pensato THEFABLAB che ha avuto la genialità di realizzare in 3D una icona da scrivania balzato nelle ultima festività natalizie in testa alla graduatoria dei regali di Natale. Insomma l’Umarell come il milite ignoto. Come lui muto e ignoto eroe dei nostri tempi appena scampato, o forse no, alla guerra generazionale che ha contrapposto freschi o anziani pensionati usciti dal mondo produttivo con la pletora di giovani in cerca di prima occupazione o emigrati all’estero in cerca di lavoro. Come se poi fossero tutti babypensionati o peggio difendessero con le unghie vitalizi d’antan o prebende dorate.

Danilo Masotti, antropologo urbano, al contrario, che con felice intuizione ne ha compreso i tratti positivi ci ha scritto due libri nel giro di dieci anni descrivendoli così “Sono tanti vivono in mezzo a noi ci osservano….e noi osserviamo loro“. All’inizio, nel 2007 Masotti li descriveva così “li “umarells” sono gli ometti pensionati bolognesi: hanno sempre qualche soldo da parte, aiutano a comprare la casa, quando tirano le cuoia lasciano in eredità denaro e/o immobili, educano i nipotini. Il PIL non cresce, ma crescono le aspettative di vita per gli “umarells”, ai quali sarebbe giusto dedicare almeno una festa nazionale. Tanto per esaltarne le accezioni positive che poi sono quelle riconosciute dai politici bolognesi che hanno inteso di dedicare loro una piazza. Con quel compito di controllo e di pungolo sul territorio. Depositari di un antico buon senso e  segnalatori di guasti, nei cantieri come di buche nelle strade, di cassonetti ricolmi e spazzatura debordante. Comunità sociale che infine rappresenta una categoria ben precisa, quella dei pensionati, sulla quale si è scatenata una sorta di battaglia generazionale e, tuttavia non sono così settari come li si vorrebbe descrivere. Non a caso Masotti li identificava con la parte buona quelli che “hanno sempre qualche soldo da parte, aiutano a comprare la casa, quando tirano le cuoia lasciano in eredità denaro e/o immobili, educano i nipotini”. Perché poi si rispolvererebbe almeno in parte la faccia buona del volontariato approdata nel nostro paese tra gli anni Sessanta e Settanta e poi misteriosamente scomparsa. Insomma mi piace immaginare che piazze o piazzette intitolate agli Umarell ce ne saranno ancora molte nelle nostre città. Dando così una nuova dignità agli Umarells, non più macchietta, anonimi ipercritici di fronte a qualsivoglia cantiere, ma ispiratori, controllori e motivatori, comunità presente e costruttori di futuro. Sino a quando, magari un pensionato visionario deciderà di lanciare un partito che superi le barriere ideologiche della politica e punti esclusivamente sullo spirito di servizio e sull’esperienza demode’ e d’antan. Ma non andiamo troppo avanti che sennò Berlusconi dopo gli animalisti della Brambilla, fenomeno ormai in caduta, mi ruba il copyright.

E poi a me piace Guccini, con quel suo approccio ad Amerigo – in realtà Merigo, il prozio di Guccini – anziano tornato al paesello dopo il viaggio di lavoro e sudore in America. Il vate di Pavana che in eta più matura comprende e canta la saggezza nell’epilogo che vi ripropongo a futura memoria “sprezzante come i giovani, gli scivolavo accanto senza afferrarlo e non capivo che quell’ uomo era il mio volto, era il mio specchio
finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo,
finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo,
finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo…”

Paolo De Totero

Paolo De Totero

Quarantacinque anni di professione come praticante, giornalista, vicecapocronista, capocronista e caporedattore. Una vita professionale intensa passata tra L’Eco di Genova, Il Lavoro, Il Corriere Mercantile e La Gazzetta del Lunedì. Mattatore della trasmissione TV “Sgarbi per voi” con Vittorio Sgarbi e testimone del giornalismo che fu negli anni precedenti alla rivoluzione tecnologica, oggi Paolo De Totero è il direttore del nostro giornale digitale.

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