Beirut, 23 settembre 2006: un buon tè e una scatola di ravioli

In un trasferimento da Tiro a Beirut presi al volo un pulmino che mi costò 5 dollari per fare 300 km. Per me un’inezia per l’autista una cifra importante. Dopo qualche chilometro salì a bordo una signora già avanti nell’età e con una vita dura alle spalle. Forse una contadina, anzi, di certo una contadina, perché mi poggiò sulle gambe una gallina (viva e vivace) e lo fece con una certa titubanza rendendosi conto che non ero parte del paesaggio. Memore degli scappellotti presi da mamma Marisa quando, seduto sull’autobus esitavo ad alzarmi in presenza di un adulto, donna, donna incinta, invalido, lavoratore, disoccupato, militare, vigile, maniscalco, prete e suora, insomma chiunque avesse più dei miei 8 anni, mi alzai per farle posto e lei mi rispose con un breve sorriso “no, grazie, sono ancora giovane”.
La gallina mi piantò gli artigli nelle gambe per buona parte del tragitto ma di fronte a un’ottuagenaria che, senza fiatare si fece almeno 100 di chilometri in piedi, non potevo di certo lamentarmi.

Nei quartieri a sud di Beirut, completamente devastati dalle bombe al fosforo, sorseggiai un buon tè in una casa senza tetto e seduto su quello che rimaneva di una bomba da 1.000 libbre. Il padrone di casa mi offrì  quello che aveva e io divisi con lui un potabilizzatore per l’acqua e una razione di ravioli in scatola, gentile omaggio di un capitano della base di Tibnin. Conservo qualche decina di scatti di quella giornata perché, in definitiva, non sono mai stato un fenomeno nel fare il mio mestiere, e ho sempre partecipato troppo alla vita delle persone. Fare un lavoro dettagliato e scavare nel dolore di quell’uomo e dei suoi figli – la moglie era morta sotto le bombe – sarebbe stato come farlo sulla mia famiglia. Inviai in agenzia, allora GraziaNeri, gli scatti che servivano e misi da parte i miei sogni di gloria dedicandomi ad ascoltare le parole di un meccanico libanese.

In quei posti erano tempi di degrado, anche morale, quando da un lato del marciapiede le case venivano rase al suolo e dall’altro lato le Lamborghini erano intatte e lucide. Ma anche di avventure e racconti, di persone semplici che vagavano in cerca delle loro poche cose sepolte sotto le macerie, di orgoglio e speranza, di voglia di ricominciare e di dignità.
Di genitori che volevano mandare a scuola i bambini perché “un giorno diventerà medico e aiuterà il suo popolo”.

fp

Fabio Palli

Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.

One thought on “Beirut, 23 settembre 2006: un buon tè e una scatola di ravioli

  1. Racconti che toccano il Cuore. Hai tralasciato un’opportunità per stare bene con te stesso e le persone che hai incontrato; questo è un Uomo.

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