Quando la salute dipende dal CAP

Genova – A Genova, il tasso di mortalità varia in base al quartiere di residenza.
È quanto emerge da uno studio dell’ISDE – Medici per l’Ambiente – illustrato in un convegno al Circolo ARCI Zenzero da Valerio Gennaro, epidemiologo del Policlinico San Martino e membro ISDE, che ha commentato i risultati conclusivi per il 2016.

I dati epidemiologici sulle 25 circoscrizioni genovesi mostrano che in alcuni quartieri si vive peggio, e si vive peggio da troppo tempo: “Di fatto – spiega Gennaro – il dato di mortalità dimostra che c’è un eccesso di casi in certi quartieri e che, tendenzialmente, sono sempre gli stessi”.
Un problema ben definito dal punto di vista geografico, che tocca le circoscrizioni di Prà, Rivarolo, Bolzaneto, Cornigliano e San Fruttuoso.

NOTA A COMMENTO DELLE TAVOLE
Con SMR si intende “Rapporto Standardizzato di Mortalità”, cioè il rapporto tra il numero di casi osservati e il numero di casi attesi ed esprime l’eccesso o il difetto di mortalità esistente. La standardizzazione  permette di quantificare il fenomeno al netto di specifici fattori confondenti, quali ad esempio l’età, dei quali si annulla l’effetto.

Una delle cause di questa disparità potrebbe essere di natura socioeconomica: nei quartieri più poveri, infatti, le condizioni di forte stress lavorativo, il precariato o addirittura l’indigenza seguita al periodo di crisi che stiamo vivendo, potrebbero avere conseguenze significative sulla salute.
“La parte socioeconomica – continua Gennaro – ha un ruolo importante e basterebbero pochi mesi di studio per capire la quota di decessi ad essa attribuibile, estrapolandola dalle altre cause quali quella ambientale o la distanza dai servizi”.

I TEMPI
Tempi brevi, dunque, per fornire alla politica dati reali sui quali agire tempestivamente.

E, infatti, Gennaro precisa: “Per integrare i dati andando più in dettaglio sulle patologie, perché ora stiamo guardando solo il complesso dei decessi, direi che basterebbe un anno. In un anno potremmo introdurre una variabile che stimi queste differenze, ma solo se si decide che questa è una grande opera necessaria”.

Una decisione irrinunciabile per la politica se vuole calibrare sui  bisogni effettivi della popolazione le risorse economiche destinate alla salute.

Tanto è vero che Gennaro si preoccupa di mettere a fuoco come la ricerca sulla salute collettiva sia più accurata rispetto ad altre variabili, ad esempio il PIL, che da sole non bastano per dare risposte ai cittadini: Ragionare sulla diagnosi collettiva finalizzata alla salute pubblica permette di identificare i fattori di rischio e raggiungere in futuro quel progresso che l’Unione Europea identifica con il miglioramento della qualità e quantità della vita della propria comunità. Sono proprio la salute e la qualità della vita, prima ancora dell’economia, i veri indicatori del progresso“.

I COSTI
Un’attività di ricerca, quella sul soggetto collettivo, che avrebbe dei costi contenuti in quanto si potrebbero usare le risorse di un ente pubblico come il Policlinico di San Martino e il suo gruppo di epidemiologi, si tratterebbe, eventualmente, di assumere dei tecnici – puntualizza Gennaro – un paio di persone mirate per la parte statistica e demografica, che si occupino di input dei dati e della loro verifica e analisi. Non è un gran costo rispetto a quello che richiede una qualsiasi macchina molecolare che ci permette di fare test sulle possibili alterazioni genetiche”.

Non solo, l’indagine a monte sulle cause comuni, come i problemi specifici dei quartieri a più alta mortalità, è più economica perché permette di individuare una soluzione senza aspettare il malato a valle. Non dimentichiamo che un giorno di ospedale costa circa 1.000 euro a paziente.

I RITARDI
Una ricerca tutto sommato facile da realizzare, che necessita di tempi brevi e ha costi limitati: perché la politica non si è mai interessata in tal senso?

“Sono temi delicati – risponde Gennaro – si parla di morti, malati, di problemi giudiziari e del lavoro, di per sé ci sta che non si parta alla garibaldina. Detto questo, che non si parta affatto o che si torni indietro è ancora peggio. La colpa è un po’ di tutti, anche dei cittadini che decidono si debba parlare d’altro” e conclude un po’ amaramente: “Abbiamo perso la passione civile, quel considerarsi comunità e difenderci a vicenda”.

Simona Tarzia

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.

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