La mia vita a quattro ruote

Non è facile per chi subisce una disabilità fondare sé stesso, soprattutto in un’epoca come la nostra che respinge e ripiomba costantemente ai margini chiunque si discosti dalla normalità convenzionale.

Non è facile, ma qualcuno ce la fa.

Iacopo Melio, classe 1992, studia scienze politiche all’Università di Firenze e ama la musica di De Andrè e Guccini. È un ragazzo come tanti solo che, per spostarsi, usa quattro ruote…”perché sono nato comodo”, scherza.
La sua sfida parte con un articolo pubblicato sul suo blog – ”Sono single per forza, non piglio l’autobus!”- che diventa virale e si trasforma in un progetto: #vorreiprendereiltreno, una battaglia contro le barriere architettoniche che impediscono a chi ha problemi motori di muoversi in libertà sui mezzi pubblici e di viaggiare come vorrebbe.

Oggi, a due anni dalla nascita della onlus #vorreiprendereiltreno, lo intervistiamo per ripercorrere insieme i traguardi raggiunti e per dare un’occhiata a cosa prepara per il futuro.

Il 31 gennaio 2015 nasce #vorreiprendereiltreno. E’ cambiata la sua vita?
Assolutamente sì, basti pensare che adesso non ho più tempo libero, spesso nemmeno per studiare! Gestire una onlus di livello nazionale, almeno dal punto di vista mediatico, è un grande impegno. Anche perché l’associazione è composta all’atto pratico da sole tre persone, incluso me. Richiede un costante lavoro sia rispondere a tutti, sono circa 500.000 le persone che ci leggono ogni giorno sui social – un numero incredibile in soli due anni! – sia portare avanti iniziative di sensibilizzazione, abbattimento delle barriere sul territorio e collaborazioni varie.

Un progetto realizzato sul territorio che le sta particolarmente a cuore.
Per Natale abbiamo acquistato un’auto completamente accessibile che verrà destinata al mio comune, Cerreto Guidi che si trova in provincia di Firenze, per il trasporto scolastico di ragazzi disabili. 30.000 € di investimento in un solo anno è un risultato enorme per una onlus.

Progetti futuri?
Vogliamo acquistare delle rampe da distribuire, gratuitamente, agli esercizi commerciali della mia zona per abbattere le barriere al loro ingresso. E ovviamente continuare a sensibilizzare nelle scuole, nelle aziende, per strada con manifestazioni e dove capita. E poi due collaborazioni video con due “webstar”, per amplificare la nostra voce. Ci sarà da divertirsi.

Ai politici italiani piacciono molto le grandi opere. Eliminare le barriere architettoniche sarebbe un’opera grandissima. Perché, invece, c’è un totale disinteresse?
Perché tristemente la categoria dei disabili è una minoranza e come tale non smuove interessi di alcun tipo, né economici, né in fatto di voti. Basterebbe cambiare la concezione culturale secondo la quale abbattere le barriere aiuti solo i disabili, in realtà è un aiuto per chiunque, comprese le mamme coi passeggini o chi va in bici.

Massimo Cacciari, ospite da Lilli Gruber, inciampa in una gaffe clamorosa sui disabili: “Anche un cieco, un sordo, un handicappato capirebbe che in Italia c’è bisogno di un governo in questo momento”. Fanno più male le barriere architettoniche o quelle culturali?
Quelle culturali, assolutamente. L’ignoranza e la superficialità sono ben più dure da abbattere rispetto a uno scalino. Occorre una rivoluzione sociale e deve partire dalla comunicazione e da un nuovo modo di interpretare la disabilità.

C’è un disegno di legge, che è fermo in parlamento da due anni, per introdurre nel nostro Paese l’assistenza sessuale. L’Italia è troppo bigotta per il sesso assistito per i disabili?
L’Italia è bigotta riguardo la sessualità a 360 gradi, figuriamoci nel mondo della disabilità. Viene visto come un bisogno in secondo, terzo, ultimo piano… Quando in realtà quello alla sessualità è un diritto di tutti, soprattutto di chi ha una disabilità intellettiva grave e deve quindi essere educato nel gestire certi impulsi.

La onlus  #vorreiprendereiltreno ha un grandissimo seguito, anche sui social. Le hanno già proposto di entrare in politica?
Sì, già dal primo anno sono arrivate proposte politiche di tipo regionale (addirittura non locale), senza far nomi, e destò scalpore sui giornali il mio rifiuto. Ho detto di no non perché non mi interessi (credo nella politica e nella buona volontà delle persone), ma perché al momento ci sono altre priorità per me (come quello di laurearmi). Un impegno simile sarebbe risultato ad oggi presuntuoso da parte mia: penso che ogni cosa debba essere fatta a suo tempo. Per il futuro mai dire mai.

Simona Tarzia

Simona Tarzia

Sono una giornalista con il pallino dell’ambiente e mi piace pensare che l’informazione onesta possa risvegliarci da questa anestesia collettiva che permette a mafiosi e faccendieri di arricchirsi sulle spalle del territorio e della salute dei cittadini.

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