Diavoli Zero, il manicomio di Pratozanino

Ciao, io abito qui. Hai delle batterie per la mia radio? 
– Mi spiace non ne ho, ma ho delle monete.
Sì,sì, dammi le monete, dammene tante. Devo comperare le batterie per la radio.
– Ma cosa  ascolti alla radio?
Ascolto il mondo senza farmi toccare.

Sono passati quasi vent’anni dalla realizzazione di questo lavoro. Decisi  di comporlo con una Hasselblad SWC perché il formato quadrato mi dava l’accelerazione prospettica giusta. Tutte stupidaggini. Mi sono reso conto che la sofferenza, il dolore e le urla che trasudavano dai muri scrostati sarebbero stati la mia inseparabile guida nei 7 mesi successivi. 

Nel 1907, a causa della carenza di strutture manicomiali, la Provincia di Genova approvò il progetto della costruzione del Manicomio Provinciale di Cogoleto. L’isolamento geografico e soprattutto la lontananza dal capoluogo ligure agevolarono la scelta di questo territorio. La struttura doveva ospitare circa 2.400 degenti. Nel manicomio di Cogoleto erano assistiti i pazienti ritenuti inguaribili e pericolosi per la società. Ma venivano richiusi anche bambini considerati “difficili”, primogeniti non in grado di ereditare il patrimonio di famiglia, alcolisti e i violenti in genere ma che non avevano patologie psichiatriche conclamate. Insomma, un “parcheggio” per persone scomode.
Il 26 marzo 1907 venne presentato al Consiglio Provinciale un progetto di esecuzione dei lavori stralciato dal progetto generale, che comprendeva la costruzione di 5 padiglioni per agitati, due per semiagitati, due per malati tubercolotici, due per malati comuni e infine altri adibiti ad abitazione degli operatori infermieristici e degli impiegati. All’interno della struttura erano presenti anche una lavanderia industriale, il guardaroba generale, la sartoria, l’abitazione del personale ecclesiastico, l’officina per le riparazioni meccaniche, il forno, le cucine, l’abitazione dell’agronomo, e la casa del direttore del manicomio.

Dall’isolamento dell’ospedale psichiatrico derivò la sua autonomia economica. Adiacente alla struttura, collocata su una collina poco distante, sorgeva la fattoria che procurava al manicomio di Cogoleto e in parte anche al manicomio di Quarto, a Genova, verdure e carni macellate. Per la produzione venivano utilizzati i degenti. L’ergoterapia veniva utilizzata per curare i disagi mentali degli ospiti grazie alla possibilità del lavoro all’aria aperta, o in locali ariosi. In realtà i prodotti agricoli erano oggetto di vendita e rappresentavano un modo per sfamare i malati risparmiando sul bilancio dell’ospedale.
Dalla seconda metà degli anni ‘ 60, grazie alla revisione dei concetti dell’assistenza psichiatrica, l’ergoterapia entrò in una profonda fase di crisi poiché, utilizzata in maniera sbagliata, venne denunciata come istituzione antiumana celata sotto un’apparente intenzione terapeutica.
I malati lavoravano anche 10 ore al giorno per avere in cambio un pacchetto di sigarette.

fp

Non ho voluto mortificare le immagini sfregiandole con orrendi marchi. Mi affido alla serietà di chi le guarderà. 

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Fabio Palli

Spirito libero con un pessimo carattere. Fotoreporter in teatro operativo, ho lavorato nella ex Jugoslavia, in Libano e nella Striscia di Gaza. Mi occupo di inchieste sulle mafie e di geopolitica.

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